Turbolenze

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Angolo autrice

Salve, amici. Eccoci con questo esperimento sociale noto come "i piecuri negli universi alternativi".
Qui https://x.com/sdero21/status/1767225075529347475?s=46&t=sVVznL-NP0vMYFYESV2qoA per il contesto perché sinceramente il capitolo mi ha prosciugata e quindi non tengo genio di scrivere altro stasera haha

Per i prossimi dovrò fare una serie di premesse ma per il primo spero parli da solo.
Unica cosa che devo dirvi: la storia è ambientata a Londra e Rosa parla solo inglese col piecuro (solo nei primi capitoli e poi capirete why) perché è na sor ra fess ❤️
Ho messo tra parantesi le traduzioni per chi non conosce l'inglese.

Spero vi piaccia. Lasciatemi un commento qui o su Twitter - se vi va.

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Il volo Napoli - Londra lo innervosisce sempre un po'. Non sa perché e neanche se lo chiede. A Carmine Di Salvo Londra piace. Soprattutto gli piace la sua vita a Londra. Gli piace il fatto che nessuno rida al pensiero che un Di Salvo sia un uomo di legge. Gli piace che quel cognome in quella città non significhi assolutamente niente, che nessuno sappia del peso che porta a Napoli e della fatica di convincersi - crescendo - che quel cognome non lo avrebbe limitato,  non lo avrebbe definito.

Certo gli manca il mare. Ricorda sempre con un certo imbarazzo quando all'inizio camminava per le strade del centro aspettandosi che se avesse continuato a camminare, se lo avesse desiderato abbastanza, oltre i palazzi, oltre la city, lontano da tutta quella gente che sa solo correre e guardare dritto davanti a sé, avrebbe trovato quella traversa nascosta che lo avrebbe portato al mare.
A volte gli manca anche il sole e il caldo che si attacca addosso e il caffè che si può bere anche amaro che tanto è più buono. Infine gli manca sentir parlare napoletano. Gli manca la genuinità di quel linguaggio così immediato, senza filtri, vero. Sbrigativo quando occorre, poetico quando serve.

Così quando tutte queste mancanze si affollano in un giorno in cui piove troppo e il cielo non ha nessun colore e il blonde roast di Starbucks è finito e resta solo il dark roast che sa di bruciato e non se ne scende neanche con lo zucchero, Carmine Di Salvo prenota sempre un biglietto aereo per Napoli. Per ritornarci e ricordarsi tutto ciò che invece non gli piace e non gli manca.

Il volo di ritorno a Londra forse lo innervosisce perché ogni volta spera che sia diverso, che il rumore del mare magari è diventato più forte di quello degli spari nei vicoli dove non entra il sole, che il sapore del caffè gli lasci la bocca più amara del pensiero di rivedere sua madre. 

Ma non succede mai. A Napoli non trova mai nulla che lo trattenga. E allora quel volo di ritorno gli sembra sempre una sconfitta, una conferma, una fuga.

Sta guardando il golfo gradualmente scomparire dalla vista del finestrino quando sente una voce femminile vagamente familiare.

"Sir? You alright? You can hold my hand if you like?"

(Signore, sta bene? Può prendermi la mano se vuole.)

Proviene da un paio di file dietro probabilmente. Sarà rivolta al solito passeggero di turno terrorizzato dal decollo, pensa.

A Carmine sembra di riconoscere la voce ma non l'accento. Lo sente meno neutro del solito. Più marcatamente napoletano. Anche a lui capitava spesso un tempo.
Di ritorno da Napoli gli servivano sempre un paio di giorni per riprendere a parlare inglese con più naturalezza.

Che la croce e delizia dei giorni suoi fosse napoletana lui lo sapeva. Lo sapevano tutti. Non c'è nessuno a corte che non l'abbia sentita dire almeno una volta "Neapolitan, if you must" (Napoletano, se proprio) quando il giudice Tallamy batte il martelletto a suon di "Let the Italian show begin!" (Che cominci il circo italiano!) prima di ogni udienza che li vede rivali.

Gli viene da ridere al pensiero che in due anni di battibecchi e dialoghi al vetriolo quel napoletano di cui lei tento si vanta non sia mai uscito dalla sua bocca. Ancor di più al pensiero che neanche in questa circostanza stia accadendo.  Quante erano le probabilità di ritrovarsela sullo stesso volo e che fosse seduta accanto all'unico passeggero straniero?

Nulla è scontato quando si tratta di Rosa Ricci. Neanche ad alta quota, pensa chiudendo gli occhi e lasciandosela alle spalle.

Come tutte le volte che esce dall'aula e si convince che la sua è solo curiosità professionale. Che in fondo di quella cosa alta un metro e venti si deve preoccupare solo quando dice "Objection, your honor" (Obiezione, vostro onore). Che l'unico motivo per cui il suo numero l'ha salvato sotto la voce "Tarantè" è perché gli piace pensare al fastidio che le darebbe se lo sapesse.

A Rosa Ricci volare piace.  Le piace la prevedibilità del viaggio. Come tutto si ripete, ogni volta sempre allo stesso modo. Le file ordinate al controllo passaporti, le azioni meccaniche degli assistenti di volo, gli annunci di decollo e atterraggio del pilota, il fatto che passi sempre prima il carrello delle bibite e poi quello degli snack. Non ci sono sorprese. Solo un serie di regole- tutto sommato facili da seguire - che per tre ore contengono e definiscono la tua vita. Le piacciono queste situazioni in cui sente di avere tutto sotto controllo perché è il solo modo che conosce di rilassarsi. E anche perché le ricordano quanta strada ha fatto da quando era solo una ragazzina in balia degli eventi, che passava da una casa famiglia all'altra, che quando tornava a casa non disfaceva mai la valigia perché sapeva che presto o tardi Don Salvatore Ricci le regole le avrebbe violate di nuovo e allora un'assistente sociale sarebbe venuta a prenderla e le avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene mentre la portava via dagli affetti forse per sempre.

Anche il suo viaggio a Napoli due volte l'anno segue sempre lo stesso itinerario: visita al cimitero per salutare suo fratello Ciro, tappa al carcere di Poggioreale per salutare suo padre, passeggiata sul lungomare Caracciolo per omaggiare sua madre.

Wash, sink, repeat. (Lava, sciacqua, ripeti).

A volte si chiede se sia normale che a soli trent'anni preferisca la monotonia all' imprevedibilità ma poi si ricorda di tutte le sorprese che la vita le ha rifilato nei suoi primi quindici anni di esistenza e allora si convince che forse nessun psicologo la biasimerebbe mai per questo.

È assorta nei suoi pensieri quando sente la presa del suo vicino di sedile che si avvinghia di nuovo alla sua mano, spaventato per la discesa tanto quanto lo era per il decollo.

Di norma odia il contatto fisico con gli sconosciuti ma lo lascia fare perché pensa che in fondo anche a lei sarebbe piaciuto se qualcuno le avesse tenuto la mano quando aveva paura. Come la notte che le dissero che Ciro era morto in carcere o il giorno del suo primo processo, quando sentiva sulle spalle tutto il peso di proteggere un innocente così come nessuno aveva fatto con suo fratello.

"Welcome to London Stansted" (Benvenuti all'aeroporto di Londra Stansted), annuncia il pilota nuovamente distogliendola dai suoi pensieri.

Rosa è sempre l'ultima ad alzarsi. Le piace godersi gli ultimi minuti della fine di un volo guardando fuori dal finestrino mentre tutti si affrettano a recuperare il bagaglio a mano e a correre sulla pista per raggiungere lo shuttle prima degli altri.

Tutti tranne uno, realizza quando finalmente si alza e si ritrova faccia a faccia con l'unico elemento di imprevedibilità della sua vita negli ultimi due anni.

"Comm' era Napule sti juorne? Bell comm 'a te, RosaRí?" , le chiede ben consapevole che non gli risponderà mai.

Per un attimo gli sembra di leggerle nei pensieri. Gli sembra che lei gli  stia per dire "Ma vafancul, Di Salvo".

"After you." (Dopo di te.), risponde lei invece. Nel tono più piatto che conosce. Sforzandosi immensamente di non tradire alcuna emozione.

Carmine le sorride. Perché lui fa così. Sorride sempre quando sa di averla messa in difficoltà.

"Bell comm' o' sorriso tuoj", pensa Rosa ma non glielo dice.

Fuori ha appena smesso di piovere, il cielo sembra meno grigio del solito e in lontananza un ragazzo trasporta pacchi di blonde roast.

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