Banchetto

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Prima che potessi accorgermene mi ritrovai in cucina, seduta su una sedia e circondata da pirati che battevano le posate sul tavolo in attesa di avere del cibo.
Avevamo navigato per un paio di ore per poi risalire in superficie e fermarci per festeggiare il mio ritorno. Il pensiero che si tenesse un banchetto in mio onore mi faceva sentire speciale, ma ciò che apprezzavo di più era che per quella sera, in quella particolare occasione, non eravamo obbligati a portare la divisa. Potevamo scegliere come vestirci. Io avevo optato per un semplice - ma sempiterno - tubino nero che avevo ritrovato per caso nell'armadio. Avevo preferito l'eleganza alla sensualità. Era un vestito classico e comodo, che per un banchetto da pirati era anche troppo raffinato. Non che mi importasse, ero contenta della mia scelta, e qualora si fosse sporcato avrei pur sempre potuto lavarlo. Ciò che mi aveva letteralmente lasciata a bocca aperta, però, era stato l'abbigliamento di Law. Sopra ai suoi pantaloni maculati spiccava una felpa color arancione pastello. La felpa che gli avevo regalato io per il suo compleanno, qualche mese prima. Quando lo avevo visto, dopo un primo momento di sbigottimento, gli avevo rivolto uno sguardo carico di gratitudine e commozione. Non sapevo perché, ma mi sembrava di stare vivendo un sogno. Oltretutto, era la prima volta che vedevo i due tavoli della sala da pranzo riuniti. L'atmosfera che c'era quella sera mi aveva scaldato il cuore. Erano tutti lì per me, e sembravano contenti di riavermi tra i piedi. Persino il Capitano sembrava sereno. Non lo avevo mai visto così disteso e rilassato in tutta la mia vita.

«Ecco qui! Servitevi e mangiate in abbondanza!» gridò Ryu, mentre portava in tavola l'ultimo vassoio, come sempre aiutato dal grosso Jean Bart, ormai diventato il cameriere ufficiale della ciurma. Il menu prevedeva diverse squisitezze ed io già mi leccavo i baffi, pronta a divorare tutto quel ben di Dio. A parte la variegata sfilza di antipasti, non vedevo l'ora di mettere le mani sugli spaghetti ai frutti di mare e, più di ogni altra cosa, sul vino.
«Vino?» mi chiese Penguin, seduto alla mia destra.
Lo guardai come se fosse ebete. In effetti, un po' lo era se aveva bisogno di chiedermelo. Ghignai di soddisfazione nel momento in cui mi riempì il calice. Lo colmò quasi fino all'orlo, con mia somma gioia. Poco dopo, Shachi, seduto alla mia sinistra, mi versò nel piatto due cucchiaiate consistenti di spaghetti. Non mi feci pregare e - dopo che ebbi preso un paio di tartine al salmone - iniziai a bere e mangiare.
«Ehi!» ci richiamò Maya, ma nessuno la degnò di un minimo di attenzione. Eravamo tutti troppo impegnati a ripulire le stoviglie. «Fermi, animali!» ci riprovò, stavolta con più convinzione.
Il Capitano sollevò una mano e stavolta ci fermammo tutti, tra lo stupore generale.
«Prima dobbiamo fare un brindisi in onore di Camilla,» disse la mia amica, guardandomi con dolcezza.
«Giusto!» concordò Ryu, sbattendo una mano sul tavolo e facendo tremare le vettovaglie. Si alzarono tutti in piedi e sollevarono i loro bicchieri. Persino il chirurgo lo fece.
«A Camilla!» esclamarono all'unisono, poi fecero cozzare i calici uno contro l'altro. Ma io, per tutta la durata del brindisi, guardai solo Law. Anche lui mi stava fissando. Mi sorrise e io sorrisi a lui. In quel momento fu come se ci fossimo soltanto noi due in quella stanza. Stavamo facendo il nostro brindisi mancato, quello che aspettavamo di fare da tanto tempo. Quello che spettava ai sopravvissuti. Annuimmo entrambi impercettibilmente e sollevammo ulteriormente i bicchieri.
«Alla salute, Capitano,» mimai con le labbra. Lui ghignò e, per dimostrarmi quello che credevo fosse rispetto, bevve un sorso di vino. Non aspettai di certo un suo cenno per fare altrettanto, anche se la sorsata che ingollai io fu un po' più generosa.

«Comunque, bel taglio di capelli,» commentò uno dei medici mentre masticava una forchettata di spaghetti. A poco a poco, stavano iniziando a notare il mio cambiamento. «Questo caschetto ti dona. Ti fa sembrare più matura e anche più agguerrita.»
Gli sorrisi e lo ringraziai. Era quello che speravo che qualcuno mi dicesse, in realtà.
«È vero, stai divinamente,» lo supportò Shachi.
«Ma tu staresti bene anche calva,» mi fece sapere Penguin.
Lo sguardo di tutti i Pirati Heart si spostò automaticamente verso Ryu, che - inutile dirlo - fissava con aria minacciosa chiunque osasse guardarlo. Qualcuno si schiarì la voce, mentre io trattenni una risata.
«A dire la verità, staresti bene anche se non avessi le tette,» commentò l'Orca, ingurgitando una vongola.
«Per fortuna però ce le hai,» si espresse il Pinguino con voluttà. I suoi occhi si posizionarono automaticamente sul mio décolleté e le sue dita iniziarono a muoversi con impazienza.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, poi feci strisciare indietro la sedia e cinsi le spalle dei due idioti che mi stavano accanto.
«I miei due piccoli ruffiani pervertiti,» proclamai sarcastica, facendo cozzare le loro teste con forza l'una contro l'altra. Si lamentarono per un po' mentre venivano derisi dal resto della ciurma. Erano molesti, era vero, ma tutto sommato ero felice di poter rivivere quei siparietti.
All'improvviso, qualcosa attirò la mia attenzione. Uno scintillio, più precisamente. Scostai Penguin con poca grazia e mi sporsi verso Maya, seduta ad appena un posto di distanza da me. Sul suo anulare sinistro risplendeva un anello. Le presi la mano e assottigliai gli occhi per osservarlo meglio. La fascia di metallo era composta da due fasce più piccole intarsiate di brillanti che si intrecciavano tra loro armoniosamente. La pietra al centro dell'anello doveva essere un diamante. Aveva una forma squadrata, e le proporzioni erano perfette. Non era microscopica, ma non era neanche troppo appariscente. In compenso, però, non si risparmiava sulla brillantezza. Quasi avrebbe potuto fare concorrenza ad un faro per le navi in una notte nebbiosa. Era bellissimo. Non sapevo che dire. Mi chiesi come accidenti avessi fatto a non notarlo prima. Forse, visto il valore che aveva, a Maya non piaceva portarlo in giro e se lo metteva solo nelle occasioni speciali. Come darle torto, se avessi avuto io al dito un brillocco del genere, lo avrei chiuso in cassaforte fino alla fine dei miei giorni.
«È quello che penso che sia?» chiesi alla mia amica, mentre l'eccitazione diventava sempre più palpabile da entrambe le parti. Il suo volto, dapprima titubante, si aprì in un sorriso radioso e lei annuì. I suoi occhi luccicavano. Non la avevo mai vista così contenta. Spostai il mio sguardo su Omen, come sempre accanto alla ragazza, che stava sorridendo fiero. Almeno per mangiare si toglieva la maschera.
Non potevo crederci. Si erano fidanzati ufficialmente e si sarebbero sposati. Ed io non ero stata presente al momento della proposta. Me l'ero persa.
«Quando... Quando è successo? Come? Ma soprattutto... Perché diavolo non me lo avete detto subito!?» domandai confusa, alzando il tono di voce ad ogni parola che pronunciavo.
Nella stanza calò il silenzio. Maya sorrise debolmente.
«Te lo avremmo detto con calma. Stasera è la tua serata e non volevamo rovinartela,» affermò materna, piegando la testa da un lato.
«Rovinarmi la serata? Pensavate davvero che una notizia così bella potesse rovinarmi la serata?» Ero leggermente delusa. Era assurdo che credessero ad una cosa del genere.
«Beh, ora lo sai. E ti spiegheremo tutto ciò che vuoi sapere, ma lo faremo con calma,» tagliò corto Omen, per evitare una potenziale lite.
Annuii, non potendo fare a meno di concordare con lui.
«Ti sei persa tante cose.» Maya abbassò lo sguardo.
Sospirai e sorrisi malinconicamente. Era vero, mi ero persa tante cose; e mi dispiaceva, ma che potevo farci? Non l'avevo chiesto io di ritrovarmi in fin di vita dopo essermi scontrata con Doflamingo, né avevo chiesto di passare quattro mesi assieme ai Rivoluzionari. Le cose erano andate come erano andate, e per quanto avessi desiderato di ricongiungermi ai miei compagni, non mi dispiaceva che gli eventi avessero preso quella piega inaspettata. Era stata un'esperienza di vita che mi aveva insegnato tante cose e mi aveva fatto diventare più forte, in tutti i sensi.
Sospirai di nuovo e decisi di non stare a rimuginarci troppo. Sarebbe stato meglio riportare la conversazione su argomenti più allegri.
Attorcigliai il dito attorno ad una ciocca di capelli e iniziai a giocherellarci.
«Se è per questo anche voi vi siete persi tante cose,» dichiarai, cercando di rimanere vaga il più possibile. Volevo alimentare la loro curiosità, e anche la loro invidia. Se erano convinti che non sapessi come divertirmi senza di loro, si sbagliavano di grosso. Ma visto il modo in cui mi ero divertita, quella era una cosa che mi sarei tenuta volentieri per me.
«Oh, sì. Il Capitano ce lo ha detto,» iniziò Shachi, facendomi allarmare.
«E siamo gelosi,» continuò Penguin, con la bocca piena. Mi ero dimenticata che l'uno completava le frasi dell'altro.
Spalancai gli occhi, terrorizzata. Che cosa volevano insinuare? Lo sapevano? Sapevano come avevo passato la maggior parte del tempo in quei mesi? Law era stato così bastardo da spifferare tutto? Spostai lo sguardo su di lui.
«C-che vi ha... che vi ha detto?» balbettai, per poi assottigliare gli occhi e rivolgere uno sguardo truce al chirurgo, che sorrise compiaciuto. Deglutii sonoramente.
«Ci ha detto che la Base dei Rivoluzionari pullula di belle donne,» mi spiegò Shachi, afflitto. Il mio cuore riprese a battere.
«Oh. Oh, certo. Certo. Già. Ovvio! La Base dei Rivoluzionari... pullula di belle donne,» ripetei, tirando un sospiro di sollievo tra me e me. Rivolsi uno sguardo grato al Capitano, seguito poi da uno di ammonimento. Avrebbe fatto meglio a tenere la sua boccuccia chiusa, o gliel'avrei chiusa io stessa. Il pensiero che avesse del materiale con cui ricattarmi mi metteva i brividi. Era un uomo d'onore, che non faceva questo tipo di cose - almeno, non con i suoi sottoposti - ma con lui non si poteva mai sapere.
«Allora, non ci vuoi dire che cosa hai fatto in questi mesi?» tornò alla carica l'Orca.
«Scommetto che ti siamo mancati molto.» Penguin sghignazzò e si avventò su un povero gamberetto. Riflettei bene prima di rispondere.
«Sì, mi siete mancati, ma devo dire che non vi ho pensato troppo. Mi sono tenuta piuttosto impegnata,» replicai sogghignando.
«A fare cosa?» chiese Bepo, sinceramente curioso.
Mi schiarii la voce e notai con la coda dell'occhio che Law aveva iniziato a ghignare. Voleva vedere quale bugia avrei tirato fuori.
Posai lo sguardo sugli spaghetti che avevo sul piatto. Gli spaghetti erano cibo, quindi non c'era pericolo che facessero domande scomode o allusioni di qualsiasi tipo. Anche se non potei non ripensare all'ultima volta che li avevo mangiati. Quella era un'allusione grossa come una casa. Era tardi, erano all'incirca le undici di sera, e io e Sabo ci eravamo casualmente persi la cena, così avevamo deciso di passare in sala mensa per spizzicare qualcosa prima di andare a dormire. Era semi-deserta, c'erano solo un paio di inservienti che stavano finendo di pulire. Erano rimasti soltanto due piatti, che io ed il biondo avremmo dovuto condividere: uno con gli spaghetti al sugo di pomodoro e l'altro con le polpette. Non sapevo come, ma alla fine, invece di mangiare il cibo, ci eravamo ritrovati a tirarcelo. Ad un certo punto, il fratello di Rufy mi aveva tirato una polpetta proprio in mezzo alla scollatura, e io per vendicarmi gli avevo disegnato una forma fallica sulla guancia con il sugo degli spaghetti. Quanto avevamo riso. Se ci ripensavo, ancora mi veniva da ridere. Per un breve momento mi era sembrato di essere ritornata ai tempi in cui ero un'innocente adolescente. Poi, però, la battaglia si era spostata sotto al tavolo, e ciò che era avvenuto lì... non era tanto da innocenti adolescenti.
Gli inservienti a quel punto se ne erano andati da un pezzo. Eravamo rimasti soli. E là sotto, lontano da occhi indiscreti e con il sugo nei capelli, era avvenuta una delle tante magie che avevamo prodotto io e il Rivoluzionario. Quella di quella sera era stata una ricetta perfetta: spaghetti, sugo e polpette. Mancava solo un po' di pepe per condire il tutto, ma a quello avevamo pensato noi.
Me ne ero dimenticata, ma anche quella era stata una performance degna di nota, nonché la nostra prima volta fuori dalla camera da letto. La nostra prima volta fuori da quella bolla sicura che ci eravamo creati; che mi ero creata. Non mi sarebbe dovuto piacere così tanto, perché eravamo più esposti che mai, eppure era stato elettrizzante. Sabo mi aveva detto che era perché, in fondo, mi piaceva il brivido che mi procurava il rischio di poter essere scoperti. Aveva ragione. Di tanto in tanto mi piaceva rischiare. Del resto, ero pur sempre un pirata.
Iniziai ad arrotolare gli spaghetti attorno alla forchetta, poi appoggiai il gomito dell'altro braccio sul tavolo e infine affondai la mano tra i capelli con aria sognante. Risposi di getto e senza pensarci minimamente, tanto ero persa nei ricordi.
«Sess...» Spalancai gli occhi e mi bloccai appena in tempo, mentre iniziavano a piovermi addosso gli sguardi interrogativi e perplessi di tutti. «...ioni. Sessioni,» cercai di correggermi, nella speranza che non avessero capito l'allusione, che più che allusione era un enorme cartello autostradale le cui lettere erano state scritte a caratteri cubitali.
«Sessioni?» si incuriosì ancora l'orso polare.
«E di cosa?» volle sapere Maya con un'alzata di sopracciglia. Quella maledetta ne sapeva una più del diavolo. Forse aveva intuito tutto. Dannazione.
«Di allenamento. Sessioni di allenamento. Di cosa, sennò?» mi affrettai a replicare, tentando di nascondere il panico crescente che si stava impossessando di me.
«Quindi hai faticato parecchio,» rifletté Penguin.
Rivolsi uno sguardo disperato al Capitano, in cerca di aiuto, ma lui stava sogghignando bellamente. Non aveva intenzione di darmi una mano, avrei dovuto cavarmela da sola. Come biasimarlo, però, ero stata io stessa a mettermi nei casini.
«Ma ti hanno dato da mangiare, vero?» Per fortuna intervenne Ryu, che con la sua inconsapevole intromissione mi salvò dall'imbarazzo. «Perché se così non fosse...»
«Immagino siano stati allenamenti intensi,» commentò Law, cercando di trattenere il pericolosissimo ghigno che stava per spuntargli sulla faccia.
Alzai un sopracciglio e lo guardai male, posando la forchetta e tenendomi pronta a scattare qualora avesse rivelato troppo. Sì, aveva decisamente capito cosa c'era sotto. Con lui non si poteva sperare di passarla liscia. Mi era mancato, ma non avrei esitato a tappargli la bocca, se avesse osato accennare anche al più piccolo dei particolari. Quando fu di nuovo sul punto di parlare, trattenni il fiato e mi aggrappai al tavolo stringendolo con le dita e sgualcendo la tovaglia.
«E dicci, ti è piaciuto tirare di spada?» chiese, sogghignando con malizia.
Lo fissai per qualche secondo, assumendo un'espressione stupita. Mi ripresi quasi subito e iniziai a ridere sommessamente e scuotere la testa.
"Che impertinente," gli comunicai con lo sguardo che gli lanciai.
«Sì, molto,» risposi, cercando di rimanere il più seria possibile. «Sai, dovresti provarci anche tu. Distende i nervi e libera la mente. Anche se forse preferisci il tiro al bersaglio,» continuai, guardandolo dritto nelle pupille con un luccichio maligno negli occhi.
«Capitano, non sapevo che giocassi a freccette,» si intromise Bepo, che fortunatamente non era bravo a cogliere i riferimenti. Nel frattempo, il resto della ciurma aveva iniziato a squadrare prima me e poi il chirurgo a ripetizione, come se stessero osservando un'accesa partita di tennis.
«Non ci gioca, infatti.» Mantenni lo sguardo, ormai ermetico, su Law e feci una rapida alzata di sopracciglia. Non potei trattenermi dallo sfoggiare uno sfrontato ghigno sulle labbra. «Dovrebbe, però. Gli farebbe bene un po' di movimento.»
«Sono sicuro che in questi mesi tu abbia fatto abbastanza movimento per tutti,» mi incalzò. La sua espressione era impenetrabile e ferma, attendeva che ribattessi alle sue provocazioni. Non gli avrei dato questa soddisfazione, però. Sapevo di non poter vincere.
Nella sala da pranzo era calato il silenzio. Sospettavo, per mia fortuna, che nessuno avesse idea di cosa stessimo parlando io e il chirurgo. Ormai la conversazione era diventata un passo a due sapientemente studiato per non far capire al pubblico la storia che c'era dietro.
«Io giocavo a freccette,» annunciò Kenji ad un certo punto, per smorzare il silenzio. «È tutta una questione di baricentro.»
Lo disse con una convinzione, ma allo stesso tempo con un'innocenza tali che non potei fare a meno di scoppiare fragorosamente a ridere. Risi così tanto che rischiai seriamente di strozzarmi con il cibo. E anche Law fece lo stesso, sebbene cercasse di trattenersi il più possibile. Fu quando lo vidi ridere così che mi balenò un'idea in testa. Forse, il fatto che lui sapesse, non lo rendeva automaticamente un pericolo, ma anzi, poteva essere addirittura un mio complice in questa faccenda, e chissà che dopo qualche tempo non avremmo riso insieme delle mie "avventure".

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