Incidenti

308 33 15
                                    

"Oh oh", avevo detto, guardando in basso. Dopodiché, ero ricaduta all'indietro e Penguin e Shachi mi avevano afferrata per le braccia. Bepo aveva fissato le mie ferite per un po', poi si era ripreso e si era catapultato fuori della stanza chiamando Law a gran voce. Questo è tutto ciò che ricordo. Non avevo perso i sensi, semplicemente non mi ricordavo come avessi fatto ad arrivare sul lettino dell'infermeria. Ed ora ero lì, con un tizio che mi stava disinfettando il braccio e la parte destra dell'addome. Non ero nemmeno sicura di sapere il suo nome. Lo lasciai fare, osservando il tutto in silenzio. Era pur sempre un'occasione per imparare. Quando finì di pulire le ferite, scostò la sedia dal lettino e si tolse i guanti in lattice. Se non fossi stata troppo stordita per parlare, gli avrei chiesto dove stava andando. Rimasi stesa per un paio di minuti e fissai le ferite. Senza tutto quel sangue, sembravano molto più innocue. Erano pur sempre due notevoli squarci, però.
Sentii dei passi in lontananza e la porta scricchiolare.
«Vedi cosa succede a prendersela con gli orsi polari lamentosi?»
Avevo la vista un po' sfocata – forse per la quantità di sangue che avevo perso – ma non c'era bisogno di vedere per capire chi fosse a parlare.
«Gli chiederò un risarcimento per danno biologico alla mia persona» cercai di essere spiritosa, per sdrammatizzare, ma la voce mi uscì leggermente impastata. In più, oltre alle ferite che mi aveva procurato l'ascia, provavo dolore anche per i calci di Bepo e per la botta che avevo preso ricadendo per terra. Insomma, ero stata sicuramente meglio.
«Sarai tu a ricucirmi?» gli chiesi, dopo aver fatto mentalmente il punto della situazione.
«Non temere, sarò delicato» ghignò il chirurgo, mentre si infilava i guanti. Rabbrividii leggermente. Avevo imparato a non fidarmi di quel suo sogghigno malefico. Non portava a niente di buono.
Come sempre, il mio istinto aveva ragione. Un bagliore di terrore attraversò i miei occhi quando lo vidi con una siringa in mano.
«C-che ci devi fare con quella?» domandai, balbettando e cercando di indicare l'oggetto. Sembrò sorpreso della mia domanda, e mi rispose quasi scocciato, come se fosse ovvio. Io, poi, che stavo studiando medicina, avrei dovuto saperlo meglio di tutti. E lo sapevo, poteva starne certo, ma semplicemente desideravo e speravo che si fosse sbagliato, o che l'iniezione non fosse destinata a me.
«Devo anestetizzare le ferite. O vuoi provare il brivido di sentir ricucire i lembi della tua pelle con l'ago una trentina di volte?» sorrise ancora, più sadico che mai.
Scossi la testa. Aghi, troppi aghi. Aghi ovunque. No. Non mi avrebbero avuta. Mi alzai e mi misi a sedere sul bordo del lettino, con cautela. Law era di spalle, intento a prendere il filo da sutura. Quando si rigirò, mi guardò con uno sguardo che non ammetteva repliche.
«Capitano» esordii «Sto bene. Me ne torno nei miei alloggi. Non c'è bisogno di farti perdere ulteriormente tempo. Arrivederci».
Poggiai i piedi per terra, ma esitai prima di muovere un passo. Mi girava un po' la testa, e la cosa peggiore che avessi potuto fare sarebbe stata cadere come una pera cotta davanti al chirurgo. In quel caso avrebbe potuto perfino decidere di farmi una flebo, e avrei avuto ancora aghi infilati nella carne, tanto per non farmi mancare nulla. Nonostante il mio giudizio fosse un po' annebbiato per via dell'emorragia e del dolore, conclusi che una flebo sarebbe stata peggio di un'iniezione. Quindi, l'unica cosa da fare era correre alla velocità della luce in camera mia e chiudere la porta a chiave, nella speranza che le gambe non cedessero.
«Mi stai facendo perdere tempo, ora. Torna a distenderti sul lettino.» ordinò, aspro. Il suo tono di voce e il suo modo di fare mi ricordarono di quella volta che mi ero presa un'insolazione, nel mio mondo e di quando il mio – allora non ancora – capitano aveva spinto la mia testa con due dita sul cuscino per impedirmi di alzarmi e andarmene. Pensavo che il nostro rapporto fosse cambiato, che avessimo fatto dei passi in avanti. Invece mi sbagliavo. O forse, era davvero così e lui semplicemente non sopportava le persone codarde, come lo ero io in quel momento. Decisi di abbandonare il mio geniale piano di fuga e di obbedirgli, così mi rimisi sdraiata, non senza una certa riluttanza.

Guardai l'intero processo. Ci volle circa una mezz'ora per suturare le ferite, e per me fu quasi una tortura. Mi ci vollero trentuno punti di sutura per ricucire i lembi di pelle, dodici per il braccio e diciannove per il fianco. La parte più dolorosa fu quando Law conficcò l'ago contenente il liquido anestetico nelle lacerazioni. Era così che si doveva fare, lo capivo, ma faceva un male cane uguale. E pensare che nel mio mondo molte persone mi prendevano in giro per questa mia paura "irrazionale" degli aghi. Avrei voluto vedere loro al mio posto! Ad ogni modo, quando il chirurgo iniziò a mettermi i punti, l'anestesia locale aveva fatto effetto e non avevo sentito alcun dolore, solo una leggera pressione. La parte brutta era stata il dover guardare ogni passaggio di quella operazione. Dovevo osservare per poter imparare, aveva detto il capitano, perché un giorno avrei dovuto farlo anche io, forse perfino su me stessa, e a quel punto non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarmi o a guidarmi passo per passo, e se avessi sbagliato avrei potuto pagarne caramente le conseguenze. La medicina è una cosa molto delicata. È un po' come andare in battaglia. Un'esitazione, un minimo sbaglio e sopraggiunge la morte. Solo che non sei tu a morire, ma la persona che ha affidato la propria vita nelle tue mani. Un fardello piuttosto pesante da portare, un fardello che ancora non ero pronta a sostenere, ma che prima o poi avrei inevitabilmente dovuto caricare sulle spalle.

Lost girl - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora