Lettera

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Come avevo previsto, Franky stava lavorando al sottomarino di Law, quindi rinunciai all'idea di andargli a parlare. Non volevo dare altre grane a Traffy, ma soprattutto non volevo ritrovarmi con il cuore in una scatola. In un certo senso era bello che il chirurgo si fidasse a tal punto della ciurma di Cappello di Paglia. Insomma, avrebbe potuto benissimo affidare le riparazioni a uno dei suoi sottoposti, invece aveva preferito chiedere allo stravagante carpentiere dei mugiwara. Del resto, come biasimarlo? Era grazie a loro se ora Doflamingo era in gattabuia e lui aveva finalmente avuto la sua agognata vendetta, se era finalmente libero. O forse il motivo per cui si ostinava a rimanere su quella nave di pazzi era molto più semplice e meno nobile di quanto pensassi: non era escluso che volesse solo evitare che il suo alleato facesse altri danni. Fu con questo pensiero che arrivai all'ingresso della palestra personale di Zoro. Nell'aria c'era il tipico odore maschile. Ovviamente lui dormiva come un ghiro, steso su una panca. Si vedeva che si era allenato, il suo corpo statuario era imperlato di sudore e alcune ciocche dei capelli color menta gli si erano appiccicate al viso. In quel momento fui presa dall'istinto materno. Raccolsi l'asciugamano che era per terra vicino a lui e glielo passai delicatamente su tutto il corpo. Sì, era una roccia e un mostro di potenza, ma anche lui era umano e poteva benissimo ammalarsi con gli spifferi d'aria che c'erano lassù. Meglio non correre rischi. Comunque, stanchezza o non stanchezza, riposino o no, avevo bisogno dello spadaccino e dovevo assolutamente svegliarlo.

Dapprima tentai con un approccio gentile. Lo chiamai più volte con un tono di voce moderato. Niente. Così passai a strattonarlo leggermente, ma non funzionò nemmeno questo. Provai a dargli degli schiaffi sulla faccia. Era impassibilmente dormiente. Se non avesse avuto il respiro regolare e un po' più forte del normale, tipico di chi era addormentato, avrei pensato che fosse morto. Alla fine, dopo dieci minuti passati a cercare inutilmente di svegliarlo, optai per un ultimo, imbarazzante tentativo. Mi sistemai a cavalcioni su di lui e cominciai a rimbalzargli sullo stomaco, ripetendo il suo nome a macchinetta. Se qualcuno ci avesse visto avrebbe sicuramente pensato male, ma non ci veniva mai nessuno lassù a parte il marimo, perché questa volta sarebbe dovuta essere un'eccezione? In più, dovevo vendicarmi per quella volta in cui mi aveva usata come bilanciere.
Non c'era niente da fare. Non si svegliava neanche a pagarlo e andò a finire che cedetti prima io di lui. Ancora sopra il suo corpo, cominciai a strattonargli le spalle. Poi lo presi a pugni sui pettorali.
«Il cuoco mi ha mandato a dire che la cena è pronta».
Mi girai di scatto verso la porta. Il mio cuore smise di battere per qualche secondo. In piedi, di fronte all'ingresso della palestra, un Trafalgar Law visibilmente perplesso ci osservava in tutto il suo scetticismo. Lo fissai assottigliando gli occhi, non capendo le sue intenzioni. Lui non disse, né fece niente. Ghignò semplicemente e se ne andò, lasciandomi lì come un'ebete.
Scossi la testa, sconsolata. Perché me la dovevo sempre gufare, accidenti a me!?
«Ma che diavolo...»
Sotto di me, qualcosa si mosse. Tornai a concentrarmi su Zoro. Il verde si era svegliato da nemmeno dieci secondi e già mi guardava male. Velocemente mi tolsi da sopra di lui e gli sorrisi innocentemente.
«Ciao» lo salutai con la mano e feci la vocina di una bambina di cinque anni.
«Che vuoi?» fece lui grattandosi la testa, ancora assonnato e confuso.
«Ehm... la cena è pronta» improvvisai, esitando per qualche secondo. A quanto pareva chiedergli di insegnarmi a combattere era più difficile di quanto pensassi. Non che ciò mi stupisse troppo, il mio carattere era sempre stato una combinazione letale di timidezza e orgoglio, e questo mi impediva di farmi avanti e chiedere alle persone ciò che volevo realmente chiedere loro. E poi, quello non era decisamente il momento adatto. Si era appena svegliato trovandomi seduta sul suo stomaco e mi stava guardando storto, forse pure più del solito.
«Bene».
Non disse altro e si avviò verso la porta. Prima di raggiungerlo mi rimirai qualche secondo nello specchio a muro di quella palestra-osservatorio. Ghignai. Dovevo dire che ero proprio sexy. Il mio nuovo corpo e il mio nuovo viso mi piacevano. Non mi sarebbe di certo dispiaciuto tenere le mie nuove forme per il resto della mia vita. E in fondo sapevo che, anche se ero stata "cartoonizzata", ero sempre io.

Lost girl - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora