Casa

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«È... è reale? Voglio dire, è autentico?» chiesi, fissando intensamente il mio interlocutore.
«Suppongo di sì,» mi rispose. Sembrava eccessivamente tranquillo. Io, invece, per poco non andavo in iperventilazione. «Se hai dei dubbi, perché non provi?» mi domandò a sua volta, allargando il suo ghigno.
«Tu... tu lo hai... lo hai trovato per me? Hai letto questo libro dall'inizio alla fine per trovare un modo per farmi tornare nel mio mondo?»
Annuì appena, come se rivelare la verità lo infastidisse.
«La storia narrata nel libro non è male. Un po' troppo fantasiosa, per i miei gusti,» commentò con un sorriso impertinente, quasi a volersi togliere dall'imbarazzo. Decisi di ignorarlo.
«Perché lo hai fatto?» volli sapere, ancora sconvolta. Non potevo credere che Law avesse fatto una cosa del genere per me. Aspettò un po' prima di rispondere. Sospettavo che fosse reticente.
«Mi è stato riferito che hai espresso la volontà di tornare a casa, alla tua vera casa.» Le sue iridi grigie erano puntate su di me.
«Chi te lo ha detto?» chiesi ancora. Ero consapevole del fatto che tutte quelle domande lo infastidissero, ma dovevo sapere, o non mi sarei data pace.
«Il tuo uccellino preferito,» replicò, alzando un sopracciglio.
Corrugai la fronte. Perché diavolo doveva essere così enigmatico anche in una situazione del genere?
Pensai subito a Marco, ma non riuscivo a capire cosa c'entrasse lui con tutta quella situazione. Poi, però, realizzai. Il mio "uccellino preferito" era sempre biondo, ma non era Marco. Sbuffai, d'un tratto infastidita.
«Non è il mio... Non importa.» Decisi di lasciar perdere. Non valeva la pena di mettersi a discutere di una cosa così futile in un momento come quello. Mi lasciai sfuggire una risata. A molti sarebbe potuta sembrare una risata sollevata, ma la verità - e il chirurgo, che era un attento osservatore, lo aveva capito - era che era una risata nervosa. «Hai trovato un modo. Non posso crederci.»
All'improvviso, tutto mi apparve chiaro come il sole. Spalancai gli occhi e schiusi la bocca.
«Tu e Sabo vi siete tenuti in contatto, in questi mesi!» esclamai, forse mettendoci più enfasi del necessario. Avrei dovuto aspettarmelo. Certo, era palese. Mi ricordai di una telefonata sospetta avvenuta qualche mese prima che avevo origliato per caso attraverso la porta, quando ero andata dal biondo per comunicargli degli sviluppi sull'Haki dell'Osservazione. Mi era parso di captare una voce famigliare, ma non avevo mai dato peso a quella conversazione, perché avevo altro a cui pensare. Ora, però, avevo capito tutto. Sabo stava parlando con Law, quel giorno. E chissà quante altre volte si erano sentiti e avevano parlato di me. Mi morsi un labbro e scossi la testa, pensierosa. Non ne conoscevo il motivo, ma in qualche modo mi sentivo tradita. Per mesi e mesi mi avevano tenuto all'oscuro del fatto che si parlassero, che si scambiassero informazioni su di me. Perché? Perché lo avevano fatto? Perché quell'idiota non mi aveva fatto parlare con il mio Capitano? Eppure sapeva quanto fossi in pena per lui e quanto mi mancasse.
«Sei una mia sottoposta. È mio dovere informarmi sulle tue condizioni di salute.» Lo disse quasi come se fosse una giustificazione per le sue azioni, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Sì, ma perché non hai voluto parlare con me? Sono stata per mesi e mesi senza sentire la tua voce, senza sapere come stessi.» Nel mio tono c'era una punta di rimprovero. Mi sentivo offesa.
Il chirurgo si staccò dall'anta alla quale era appoggiato e fece qualche passo verso di me. Si fermò solo quando fu sicuro che i miei occhi fossero intrecciati ai suoi. Un brivido mi attraversò il corpo nel momento in cui percepii l'intensità del suo sguardo.
«Non ti devo alcuna spiegazione, Camilla,» affermò, la voce cristallina e calma.
Sospirai. Avrei potuto stare per settimane intere a pensare alle sue motivazioni, a cosa lo avesse spinto a comportarsi in quella maniera. C'erano così tante ragioni che mi erano venute in mente, ed erano tutte nobili, in un certo senso. Mi strinsi nelle spalle. La verità era che non potevo arrabbiarmi con lui. Non potevo prendermela con nessuno, perché non ne avevo motivo. Tutto quello mi aveva portato ad avere un libro aperto sulle ginocchia che mi rivelava il modo per tornare nel mio mondo, perciò mi andava bene così. Fissai di nuovo le parole che vi erano scritte e sorrisi.
Sull'ultima pagina, una pagina vuota se non per quelle poche righe, c'era impressa una frase. Una frase che prima non c'era e che era stata la Stella stessa a scrivere. O almeno, così credevo.

Lost girl - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora