Pericoli

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Mi tirai su rapidamente, rimisi alla rinfusa gli strumenti medici dentro allo zaino e mi infilai in fretta e furia – e con poca delicatezza – i pantaloni lunghi sopra alle garze e agli altri pantaloncini. Chiunque fosse stato, non doveva vedere che ero ferita. Sfilai l'ascia dal suo fodero e la impugnai con entrambe le mani, assottigliai gli occhi e mi portai in posizione di combattimento, preparandomi a lottare.
Tirai un sospiro di sollievo, e rimisi Mr. Smee al suo posto solo quando notai che le voci che avevo sentito appartenevano ai miei compagni.
«Eccoti! Finalmente ti abbiamo trovato!» esclamò uno di loro.
Sospirai, esausta da tutto quel susseguirsi di eventi surreali. I sei si fermarono un momento a squadrarmi. Avevo ancora un po' di fiatone, i pantaloni – che avevo infilato a tempo record – erano storti e spiegazzati e, anche se non potevo vedermi, ero piuttosto sicura di avere un'aria stravolta e i capelli spettinati, quasi elettrici. In più, non avevo in mano il contenitore trasparente che avevano tutti gli altri. Nella confusione, mi ero totalmente scordata di recuperarlo. Non che ci tenessi, comunque. Mi osservarono con aria interrogativa per un po'.
«È stata una caccia piuttosto... avvincente» cercai di giustificarmi io, sorridendo goffamente «Ma alla fine ho vinto io» dissi con orgoglio, tirando su il braccio e mostrando i miei muscoli in segno di vittoria.
«E dov'è il Rubeus Candidum?» chiese uno dei miei compagni, sospettoso.
Boccheggiai. «Beh, ho vinto, ma... è fuggito» alzai le spalle.
Quelli scossero la testa con disappunto. Non mi avevano mai visto di buon occhio da quando ero entrata nella ciurma. Forse pensavano che avrei potuto rubare il favore e il riguardo che il capitano aveva per loro. O forse erano solo seccati – esattamente come me – per aver dovuto svolgere quel compito ingrato. Dopotutto eravamo medici, non entomologi, e tantomeno acchiappa-insetti. Se solo avessero saputo la verità su quello che era successo, avrebbero smesso di essere così scettici nei miei confronti. Ma avevo deciso che nessuno sarebbe venuto a conoscenza di niente: era una questione mia e mia soltanto. Quei tre cacciatori di taglie cercavano me, solo me. Pertanto, per quanto mi riguardava, la battaglia era iniziata e finita lì, su quel ponte.
«Per fortuna ci abbiamo pensato noi» annunciò un terzo, mostrandomi il suo contenitore, con dentro quel maledetto insetto. Aveva un aspetto innocuo, visto così. E pensare che aveva causato tutte quelle morti e tutto quel trambusto.
Fortunatamente, nessuno dei miei compagni aveva notato le chiazze rosse di sangue disseminate qua e là per il ponte. Mi sarebbe piaciuto ripulire anche quelle, se ne avessi avuto il tempo. Ma i medici parevano avere fretta. Di solito, come Law, andavano sempre con calma, ma evidentemente c'era qualcosa di quest'isola che li inquietava particolarmente. Come dar loro torto, del resto?
«Coraggio, non perdiamo altro tempo e raggiungiamo il capitano. Lo abbiamo già avvertito con il lumacofono che stiamo arrivando» ordinò quello che era stato temporaneamente nominato capo.
Raccolsi da terra tutte le mie cose e poi mi incamminai insieme al resto della combriccola verso l'accampamento, abbandonando finalmente quella parte di isola che per me aveva rappresentato un incubo vivente. Eravamo d'accordo che avremmo proceduto per il sentiero principale, che era un percorso sterrato a forma di spirale. Saremmo dovuti passare all'esterno dell'isola e ci avremmo messo un po' di più, ma era un percorso più sicuro di quanto non sarebbe stato se avessimo tagliato per la foresta.
«Per fortuna nessuno di noi si è ferito nel cercare di catturare quel dannatissimo insetto, avremmo rischiato la vita, altrimenti» commentò poco dopo uno di loro.
Mi bloccai all'istante. Di colpo mi ricordai le raccomandazioni di Law e spalancai gli occhi. In tutto quel trambusto, non avevo avuto modo di ripensarci. Non potevo farlo. Non potevo andare al campo, o sarei stata contagiata sicuramente. Bastava un taglio, un piccolo, minuscolo taglio e il virus si sarebbe furtivamente e silenziosamente intrufolato nella ferita. Poi si sarebbe lentamente sparso in ogni arteria e ogni vena del corpo del malcapitato, prendendo il comando di quella ormai fragile figura umana e portandola alla morte. Non potevo assolutamente rischiare, anche perché il mio non era un misero taglietto, ma un vero e proprio squarcio.
«E adesso che ti prende?» chiese uno dei medici, notando che mi ero fermata. Aveva un tono piuttosto infastidito e sospettavo che non avrebbe ammesso repliche, ma io ci dovevo provare lo stesso.
«Non posso venire al campo con voi, mi dispiace» dissi decisa.
«Che cazzo dici? Smettila di farci perdere tempo e muoviti».
Sperare che avrebbero capito era superfluo.
Iniziai ad indietreggiare, quasi terrorizzata al pensiero di poter contrarre la malattia.
Almeno un paio dei miei compagni sbuffarono, prima che uno di loro mi afferrasse il braccio e mi intimasse di non dire stronzate e di continuare a camminare. Mi spinsero nel mezzo e mi circondarono, così da non poter fuggire, quasi avessi una scorta personale di guardie del corpo. Mi avrebbero fatto comodo anche prima che mi imbattessi negli uomini di Ruben, ma sarebbe stato chiedere troppo. E anche se fossero stati al mio fianco, non ero del tutto sicura che mi avrebbero protetto, o anche solo aiutato. Sospettavo che fossero un po' sadici, proprio come il mio maestro. Il colmo, per un dottore. Oltretutto, loro non ne erano consapevoli, ma mi stavano conducendo al patibolo.
Proseguimmo a camminare in quella formazione per qualche minuto, finché non ricominciò a farmi male la ferita. A quel punto dovetti retrocedere nelle ultime file, sia perché avevo rallentato il passo, sia perché iniziavo ad avere una faccia sofferente. Non volevo darlo a vedere, ma stavo soffrendo ed ero anche parecchio preoccupata. Praticamente mi stavo dirigendo verso morte quasi certa. Forse sarebbe stato meglio vuotare il sacco e raccontare tutto. No. Non potevo farlo.

Lost girl - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora