Disperazione

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AVVISO: Questo capitolo sarà lungo, oscuro e pieno di terrori. Sono presenti scene di violenza abbastanza esplicite, quindi decidete a vostra discrezione se leggerlo o meno. Buona lettura (anche se credo che sarebbe meglio non dirlo).

Allungai al massimo la mia Mr. Smee, preparandomi a tornare all'attacco. Combattevamo da appena cinque minuti ed ero già stremata. Fino a quel momento il fenicottero aveva solo giocato con me, ma i suoi fili, che facesse sul serio o meno, erano acuminati e taglienti. Più taglienti di quanto mi aspettassi. Ero piena di graffi, ferite e lividi sparsi per il corpo, ed iniziavano a farmi male. Stavo provando parecchio dolore, per quanto tentassi di nasconderlo e ignorarlo. Non volevo che Law mi vedesse soffrire. E poi, dovevo continuare il mio assalto disperato verso l'uomo che ci aveva rovinato la vita, che però aveva schivato praticamente tutti i miei colpi. Ed era riuscito ad annullare con una facilità disarmante tutti quelli che non aveva schivato. Non avrei resistito a lungo, di questo passo. Ma non potevo mollare, non ora.
Mi scagliai contro il Demone Celeste con una violenza inaudita, ci misi tutta la forza che avevo in corpo. Ovviamente il biondo parò il colpo e la mia ascia cadde di nuovo a terra, sempre con un tonfo metallico. Mi afferrò il polso sinistro ed io mi ritrovai sospesa in aria, a penzolare come un salame. La posizione in cui ero non era tanto diversa da quella in cui era Law a Dressrosa, appena prima che il Joker gli mozzasse il braccio. Ecco perché ero terrorizzata da quello che avrebbe potuto farmi. Ero in totale balìa di quel mostro, che aveva promesso di farmi soffrire atrocemente prima di darmi il colpo di grazia. Non era un uomo onorevole, ma manteneva la parola quando si trattava di far provare dolore alle sue vittime. Cinque minuti. Ero riuscita a resistere per soli cinque minuti. Non potevo più nulla contro di lui, ormai. Lo osservai attentamente, cercando di capire quali fossero le sue intenzioni, mentre un brivido di terrore mi attraversava il corpo. Purtroppo non riuscivo a captare niente, dato che si stava limitando a ridere sguaiatamente. Mi aspettavo che da un momento all'altro potesse sollevare la gamba e poggiarla sopra la mia spalla, per poi riservarmi lo stesso identico trattamento che in passato aveva riservato al chirurgo. Invece, agì in un modo che non mi sarei mai aspettata. Fece un'improvvisa e impercettibile - ma brusca - mossa con la mano con cui mi reggeva. Sentii un crack. Mi aveva spezzato il polso. Urlai in preda alla sofferenza più totale, come non avevo mai fatto, e per qualche secondo tutto si fece bianco e sfocato. Era il dolore peggiore che avessi provato in vita mia. Quando la mia vista ritornò normale, notai che il chirurgo, di fronte a me, aveva un'espressione turbata ed angosciata. Il fenicottero mollò la presa ed io caddi a terra come un sacco di patate. Mi afferrai il polso e rimasi a dimenarmi al suolo, preda di lancinanti fitte. Percepivo formicolii dolorosi lungo tutto il braccio e potevo sentire l'osso nell'esatto punto in cui si era rotto. Tentai di aprire e chiudere il pugno, per impedire che la circolazione si arrestasse, ma ogni minimo movimento che compivo faceva un male cane. Tutto il mio corpo tremava e dalla mia gola uscivano lamenti soffocati. Dovevo tenere fermo il polso con qualcosa, o avrei rischiato grosso.
«Adesso smettila, Doflamingo,» gli intimò il mio Capitano, che non mi aveva persa di vista nemmeno per un secondo. «La tua battaglia è contro di me. Lei non c'entra nulla.»
L'ex membro della Flotta dei Sette rise di nuovo. «Si è offerta lei di prestarsi a questo piccolo gioco.»
Effettivamente non aveva tutti i torti. Mi prese per un braccio - il sinistro, tanto per cambiare - e mi tirò su come se fossi un manichino. Probabilmente ero proprio questo per lui.
«Dimmi, Camilla,» esordì, pronunciando il mio nome con enfasi, quasi come se fosse una parola proibita. Con uno scatto mi fece fare mezzo giro, in modo tale che guardassi in faccia il chirurgo. Il biondo era alle mie spalle e il suo avambraccio avvolgeva il mio collo in una morsa da cui era impossibile liberarsi e che mi impediva di fare qualsiasi movimento. Era come un pitone che strangolava lentamente la sua preda. «A chi di voi due devo dare ragione?»
«A chiunque tu voglia,» sputai. Tanto ormai non c'era più nulla da perdere e non avrebbe comunque fatto alcuna differenza. Nessuno dei due si poteva più salvare. Avevo fatto una stronzata, ma almeno avevo agito per una giusta causa. Saremmo morti entrambi, però io sarei morta con la consapevolezza di aver fatto qualcosa. Per la prima volta, nella mia breve vita, non ero stata una codarda. Mi ero esposta per qualcuno che non fossi io e non ero rimasta nascosta a guardare impotente l'orrore che avevo davanti. Di certo la mia non sarebbe stata una morte eroica, ma se proprio fossi dovuta scomparire da quel mondo, lo avrei fatto con il cuore un po' più leggero. Almeno, cercavo di convincermi che sarebbe stato così. Perché non mi sentivo affatto sollevata all'idea di trapassare, e tantomeno lo ero all'idea che lo avrebbe fatto anche Law.
Con la coda dell'occhio vidi l'ex sovrano di Dressrosa alzare le sopracciglia, come se la mia risposta avesse reso ancora più divertente quel suo stupido gioco.
«Furba, la ragazza. Te la sei scelta proprio bene, Law,» asserì, con una disgustosa punta di malizia nella voce.
«Non darle retta. Non sa quello che dice,» replicò il mio maestro, rivolgendomi uno sguardo eloquente, che sapevo bene cosa stesse a significare e cosa mi volesse comunicare.
«A me pare che sappia il fatto suo,» commentò Doflamingo, sempre più intrigato da quella situazione surreale.
«Lei non è altro che una mia sottoposta. Non significa e non ha mai significato nulla per me,» affermò fissandomi negli occhi, gelido ed impassibile. Sussultai. Le sue parole, dette così a sangue freddo, mi fecero male, ma sapevo che stava solo cercando di proteggermi da un destino infausto.
«Allora non ti dispiacerà se la uccido.» Tirò fuori la sua pistola con uno scatto repentino e me la puntò alla tempia.
Vidi il chirurgo spalancare gli occhi, digrignare i denti e stringere i pugni per un solo secondo, prima di ritornare alla sua solita espressione composta. Potevo comprendere bene la frustrazione di non poter fare niente per aiutarmi. Mi sentivo alla sua stessa maniera. Lo guardai, i miei occhi, per quanto impauriti, erano fermi, pronti ad accettare il loro destino. Doflamingo alzò il cane. La scena si stava ripetendo esattamente come nel mio sogno. Solo che stavolta nessuno avrebbe potuto salvarmi. Law trasalì, io abbassai le palpebre e strinsi i pugni, dimenticandomi che avevo un polso rotto, che in quella posizione mi faceva ancora più male.
«Va bene così, Traffy. È stato bello fino a qui, ed è stato bello conoscerti,» gli sussurrai con un filo di voce, nella speranza che mi sentisse. Lo dissi tutto d'un fiato, avevo paura che da un momento all'altro il biondo mi avrebbe sparato e che non avrei più potuto dire quello che sentivo il bisogno di dire. Cercai di sorridere per rassicurarlo il più possibile, ma chissà come mai l'idea di morire non mi rendeva tanto allegra. Ed io non avevo la famigerata "D." nel nome, quindi non ero destinata a spirare con il sorriso sulle labbra.
"Ci siamo," pensai, stringendo ancora di più le palpebre. Supplicai che fosse una cosa veloce ed indolore.

Lost girl - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora