Sensi di colpa

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AVVISO: Questo capitolo contiene un po' di angst (ma non temete: verrà molto di peggio).



Indietreggiai. Di colpo mi sentivo spompata e sentivo il dolore causato dalle ferite che mi erano state inflitte durante la battaglia, come se tutta l'adrenalina fosse svanita all'improvviso. Continuai ad indietreggiare finché il mio corpo colpì qualcosa di morbido. Mi girai di scatto, puntando il pugnale contro la figura che avevo davanti. Lo abbassai solo quando realizzai che era Bepo. Aveva le braccia tese verso di me, forse per rassicurarmi, ma io non volevo che mi toccasse. Mi osservava preoccupato, come se potessi fare qualcosa di avventato, come se potessi crollare da un momento all'altro. E aveva ragione, ero in un momento di confusione totale.
Mi guardai attorno. Solo in quell'istante notai che c'era silenzio. La battaglia era finita e noi avevamo vinto. Ma non riuscivo ad essere felice, avevo ucciso un uomo, e tanti altri erano morti, o gravemente feriti. Per fortuna nessuno dei nostri sembrava aver riportato troppi danni.
«La prossima volta ci penseranno bene prima di iniziare combattimenti che non sono in grado di portare a termine» udii qualcuno in lontananza. Sanji. Sembrava una cosa che avrebbe detto lui.
«Beh, compare, credo che per loro non ci sarà una prossima volta» disse un'altra voce, a cui seguitarono delle risate. Non era Sanji, erano solo Penguin e Shachi. Strinsi i pugni con rabbia. Come potevano essere tanto insensibili? Delle persone erano appena morte! E la cosa che mi faceva stare peggio, era che una di queste era morta per causa mia. Mi girai verso Ryu. Era ancora steso per terra, puntellato su un gomito, in attesa che qualcuno lo aiutasse ad alzarsi. Nonostante il suo sguardo fosse pieno di gratitudine verso di me, non riuscivo a ricambiarlo, o a sentirmi appagata, perché niente avrebbe riportato indietro l'uomo che avevo ucciso.
«D'accordo. Forse è meglio se ti riporto sul sottomarino» fece Bepo, apprensivo.
D'improvviso, come temeva lui, crollai. Tutta la forza abbandonò i miei muscoli, e io dovetti appoggiarmi a lui per non accasciarmi al suolo. Mi cinse le spalle con il braccio e mi strinse a sé, sostenendo il mio peso. Qualcuno recuperò da terra la mia ascia e la consegnò all'orso, che la prese in custodia. Poi cominciammo a camminare in quel modo, con lui che mi sorreggeva, ripercorrendo a ritroso la strada che avevamo fatto prima, con al seguito alcuni componenti della ciurma.

«Segui la luce» mi ordinò uno dei medici, puntandomi contro una di quelle apposite piccole torce.
Feci quello che mi aveva comandato. Non ne avevo nessuna voglia, ma non avevo la forza per ribattere. Avrei potuto benissimo medicarmi da sola, ma Bepo aveva insistito affinché si occupasse qualcun altro di me. Forse non aveva tutti i torti, visto lo stato in cui stavo. A peggiorare la situazione, c'era Omen che lungo tutto il tragitto di ritorno aveva continuato a rassicurarmi dicendomi che quei brutti ceffi erano sconfitti e che non ci avrebbero mai più dato fastidio, finché il Visone non gli aveva intimato di darci un taglio. Capivo le buoni intenzioni, ma come uomo, e soprattutto come pirata, non ci aveva capito un cazzo. Non era perché ero spaventata che ero in quelle condizioni. Maya ebbe la decenza di stare zitta; e ogni tanto mi osservava con uno sguardo compassionevole e un sorriso che sembrava spruzzare solidarietà da tutti i pori. Bepo aveva provato a consolarmi, ma non c'era niente che potesse smuovermi da quello stato semi-catatonico in cui ero. Anche durante il viaggio in barca, in cui un po' mi ero ripresa, ero stata terribile con lui. Altri sensi di colpa da aggiungere alla lista.
«Come ti senti?» mi chiese il medico.
Come mi sentivo? Bella domanda. Uno schifo. Un vero schifo.
«Sto bene» risposi leggermente infastidita, mentre scendevo dal lettino. L'addome mi faceva male – come biasimarmi, mi ero presa in pieno una mazza chiodata sullo stomaco – ma non era quello a provocarmi più sofferenza. E neanche il taglio sul collo, o i lividi sulla mandibola. Per quelli sarebbe bastata la fasciatura che mi avevano fatto, una pomata e qualche antidolorifico, nel remoto caso in cui il dolore fosse diventato insopportabile. Le ferite sarebbero guarite in pochi giorni, almeno quelle visibili. Per quelle dentro, quelle dell'anima, temevo che ci sarebbe voluto più di una semplice fasciatura e qualche giorno di riposo.

Lost girl - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora