Capitolo 11

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Just a castaway, an island lost at sea, oh
Another lonely day, with no one here but me, oh
More loneliness than any man could bear
Rescue me before I fall into despair, oh
I'll send an S.O.S. to the world

The Police, Message in a Bottle

You look pretty
with blood all over your face

Eros

Pensava spesso a cose brutte. Continuava a immaginare il peggio, mentre se ne stava sdraiato nel letto, con lo sguardo perso verso il soffitto scrostato. Eros aveva davvero dimenticato cosa significasse essere felice.

Oppure, forse, non lo era mai stato.

Il futuro, poi, il futuro lo terrorizzava a morte. Cosa sarebbe diventato? Cosa gli sarebbe successo da lì a poche ore?
La sola idea di potersi immaginare di nuovo nel suo salottino privato, nell'Heden, lo terrorizzava. Non aveva il coraggio di pensarci. Non ancora.
Adesso che stava quasi assaporando la libertà, aveva paura di restarne fregato di nuovo.
Aveva l'occasione per cambiare la sia vita.

Niente di più, niente di meno.

Adesso che aveva di nuovo delle speranze, aveva paura di restare di nuovo solo, di credere che avrebbe perso tutto.
Ancora una volta.
Non sarebbe riuscito a sopravvivere.

Si ritrovò a ridere, a ridere di un'amara consapevolezza: che era nato solo e che uno come lui l'amore non l'avrebbe mai ricevuto, né meritato. Sapeva a cosa stava andando incontro, conosceva le sue scelte. Quasi un'assurda e bizzarra condanna, visto il suo nome. Si mise a sedere, portandosi le mani sul volto stanco.

Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Se Thanatos non avesse vinto lo scontro? E se lo avessero scoperto e marchiato come ribellista? Poul forse non l'avrebbe salvato e avrebbe venduto il suo contratto, condannandolo alla morte.
Non era pronto ad affrontare tutto quello.
Eros non era coraggioso, anzi.

Si pizzicò il polso, quasi alla ricerca di una conferma che fosse ancora vivo. La bocca era secca e ogni muscolo del corpo indolenzito. Osservò l'ennesima siringa abbandonata lì sul comodino.

Da quando il generale Schultz tornava a trovarlo anche nei suoi incubi, quella fottuta dipendenza era peggiorata. Sentiva ancora gli ansimi dell'uomo bruciargli la pelle, mentre teneva una mano stretta contro la sua nuca. Lo teneva fermo di schiena contro una parete e ogni tocco bruciava come fiamme ardenti.

Eros trattenne l'ennesimo conato di vomito. Strisciò lungo il materasso e si allungò verso il comodino, dove una bottiglia di vino era ancora aperta dalla sera prima. Ne ingurgitò una quantità spropositata e socchiuse gli occhi, nel frattempo che la gola andava a fuoco.

Quel giorno ci sarebbe stato lo scontro.
E lui sarebbe andato a vederlo, sperando internamente che Thanatos vincesse, nonostante, da bravo cittadino di Sol, avrebbe dovuto fare il tifo per il Generale.
Eppure, c'era un pensiero ricorrente nella sua testa. Così violento da fargli quasi paura. Non credeva di poter immaginare così tanta violenza, ma voleva che quell'uomo morisse.
Voleva vederlo esanime e sanguinante.
Voleva sentire le sue urla rimbombare per la vecchia Arena.
Forse solo così avrebbe smesso di tornare a violentarlo anche nei suoi sogni.

Si tirò giù dal letto, forse troppo in fretta, perché la stanza prese a girargli intorno.  «Posso farcela.» Mormorò a se stesso.

Una volta in piedi, dovette reggersi alla parete per non spiaccicarsi al suolo come un moscerino. Eros si osservò allo specchio, maledicendo il proprio aspetto ancora una volta. Se non fosse stato così, nessuno lo avrebbe mai notato.
La sua bellezza era stata la sua condanna. A nessuno era mai importato dei suoi talenti o dei suoi sogni. Era bellissimo, non sarebbe servito un angelo simile all'Accademia.
Ma alla Mostra sì, e anche troppo.
Quando aveva ucciso una parte di sé, ancora una volta la sua bellezza lo aveva condannato.
Poul gli aveva offerto un posto dove vivere, dopotutto.

𝐒𝐡𝐚𝐝𝐨𝐰𝐬 𝐚𝐧𝐝 𝐂𝐡𝐚𝐨𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora