Capitolo 18

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Ægon

Quella notte non aveva chiuso occhio. Dubitava che qualcuno in tutta Sol ci sarebbe riuscito nei giorni a seguire.

Nella sua testa rimbombava ancora la voce metallica e profonda di Thanatos, che aveva minacciato chiunque, incitando un liberi tutti.

Si mosse nervoso nel proprio letto, scalciando le coperte che avevano preso ad attaccarsi al corpo, asfissiandolo come un mantello troppo stretto.

Si alzò di scatto. Ormai dormire non era altro che un'utopia. Indossò la felpa col simbolo dell'Akademie e si allontanò dal letto.

«Dove stai andando?» Jacob si tirò a sedere, stropicciandosi gli occhi con le maniche del pigiama, la voce ancora impastata dal sonno.

Ægon sbuffò scocciato. Si sentiva sempre più iper-controllato. «A fare una passeggiata, non riesco a dormire.» Prima ancora che l'amico potesse ricordargli di star trasgredendo di nuovo alle regole della loro amata Akademie, uscì dalla propria stanza.

Ormai del coprifuoco gli importava ben poco e il guardiano era così pigro che non si sarebbe stupito se l'avesse trovato a dormire nel suo piccolo ufficio -più simile a uno stanzino.

Nel caso, avrebbe detto di starsi dirigendo in infermeria. Il che era vero. Aveva bisogno di fare un po' di sogni tranquilli. Ægon trattenne il fiato, quando sentì alcuni passi in avvicinamento.

«Dannato Spritz» Bofonchiò, pensando al guardiano. Si intrufolò in uno degli armadietti del corridoio, richiudendo l'anta quanto bastava per poter sbirciare da una piccola spirale di luce.

Si diede subito dello stupido. Lì dentro gli mancava l'aria, il sudore cominciò ad appiccicarglisi addosso, togliendogli il fiato. Di colpo si sentì di nuovo la giovanissima recluta di qualche anno prima, in balìa del generale Schultz.

Ricordava ancora la prova di sopravvivenza, così come aveva amato descriverla. Ægon non aveva potuto rifiutarsi o sarebbe apparso debole ai suoi occhi. Così si era semplicemente adeguato alle ottime prestazioni dei suoi compagni. Avrebbero dovuto testare chi riuscisse a stare più tempo nascosto in una cassa, in attesa che il pericolo passasse. Ægon aveva vinto, certo. Ma nessuno sapeva che in realtà era svenuto lì dentro. Quando era uscito fuori, era solo perché si era ripreso all'improvviso.

Ricordava a stento le congratulazioni del Generale. Quel suo piccolo segreto lo aveva confidato solo a Miguel. D'altronde, lui era un curatore, non lo avrebbe mai messo in pericolo, andando a spifferare a tutti il suo terrore per gli spazi stretti e angusti.

Chiuso lì dentro, si sentiva morire.

«Che diavolo stai facendo lì?» Herica spalancò l'anta dell'armadio, restando ferma a guardarlo.

Ægon tirò un sospiro di sollievo e uscì, tremando nervoso. Di colpo sentiva di nuovo le voci di alcuni ribelli nella sua casa. Cercavano sua madre e ridevano. Lui si era nascosto nel piccolo armadietto in basso della cucina. La sua mamma gli aveva detto che lì sarebbe stato al sicuro, che non gli avrebbero fatto del male.
Sentiva ancora le risate crudeli dei ribelli. Sua madre non si era unita apertamente alla loro causa. Suo padre se n'era andato chissà dove, a spendere tutti i suoi soldi, dopo essere caduto in disgrazia al termine dell'Incidente. Erano sempre soli, lui e la mamma. Ma erano felici. Fino a quel giorno.

Si accasciò a terra. Herica si inginocchiò al suo fianco. «Ægon, stai bene? Che ti prende?»

Non poteva dirle di certo quanto fosse debole. O forse sì? Di Herica poteva ancora fidarsi, no? Sbuffò un pesante fiotto d'aria e socchiuse gli occhi. In Akademie non erano permesse troppe debolezze del passato. Non sarebbero stati lucidi, se avessero permesso al loro vissuto di influenzarli. Dovevano essere sempre forti e coraggiosi. Freddi e calcolatori. Delle macchine perfette.

𝐒𝐡𝐚𝐝𝐨𝐰𝐬 𝐚𝐧𝐝 𝐂𝐡𝐚𝐨𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora