3. Bussa alla mia porta
Mangiavo chicchi d'uva a pancia in sotto sul mio letto, scrivendo sul mio diario. Fortunatamente la camera era vuota; Julie non mi avrebbe disturbata parlando al telefono ed Isobel non avrebbe fatto baccano criticandola. In genere era una routine. Dovevo ancora abituarmi al clima completamente differente da quello di New York, e per una come me, a cui piaceva starsene sotto le coperte a bere cioccolata calda mentre fuori piove, non era decisamente il massimo. Delle chiacchiere provenienti dal corridoio ed un insopportabile risatina femminile mi resero impossibile sentire la voce nel mio cervello. Sbuffando mi alzai in piedi ed indossai le ridicole ciabatte ad unicorno. Aprii la porta della mia stanza. Una splendida ragazza dalla carnagione mulatta, alta almeno dieci centimetri più di me e con dei capelli neri impossibili da non invidiare, era appesa al collo di Jake che nel frattempo le cingeva la vita con le mani. «Disturbo? O forse è il contrario?» dissi inacidita, incrociando le braccia al petto. Sulle labbra di Jake si increspò un lieve sorriso asimmetrico. La mora con il braccio tatuato si divise da lui, guardandomi piuttosto indignata. «La reginetta si è svegliata.» La ragazza gli diede un bacio sull'angolo della bocca. «Meglio che vada», sussurrò al suo orecchio. La guardai attentamente mentre si allontanava per il corridoio. «Che look.» Quel commento mi fece trasalire. Aveva uno strano modo di sorridere attraverso gli occhi. Scorse il suo sguardo blu cobalto dalla mia testa a tutto il mio corpo, fino ai piedi. Una sensazione che mi scosse le interiora, facendole agitare come anguille nell'acqua. Be', dovevo ammettere che una maglietta di Hard-Rock Dubai, con dei pantaloncini fucsia e rossi non era decisamente il massimo abbinati a certe ciabatte. «Mi farei un bagno nel letame pur di farti stare lontano da me.» «Io non credo.» Divertito, il sorriso gli si aprì di più sulle sue labbra. Il fatto che non gli morissi ai piedi, ma che semplicemente non mi piacesse, non scaturiva in lui la domanda "perché?", oppure non era offeso o incuriosito come sarebbe stata una persona matura. Lui ne era solo divertito, divertito da quell'avvenimento che capitava di rado. Possibile che nessuna ragazza, prima di me, avesse notato la sua presunzione? «Stabiliamo delle regole di sopravvivenza... Non so se ringraziare Dio, Buddha, Shiva, Allah o gli dei dell'olimpo ma a quanto pare sei il mio dirimpettaio. Perciò, regola numero uno: non rivolgermi la parola. Regola numero due: piantala di sorridere. E regola numero tre: smettila subito di guardarmi in quel modo», ringhiai. Capii che tutto ciò era inutile non appena disse: «Ciclo? Oppure solo giornata storta?» «Hai infranto la regola numero uno, la due e anche la tre!» abbaiai. Lui scoppiò a ridere. Scossi il capo, e mentre facevo per rientrare in stanza, sentii una mano stringersi attorno al mio polso. «Te l'ho riportata.» Allungai la mano per riafferrare le chiavi della mia macchina che teneva nella sua, ma lui le ritrasse a sé. «Devi ancora riscuotere il tuo favore», mi ricordò. «Non voglio sprecarlo.» Gli strappai le chiavi di mano e mi richiusi in stanza. Tolsi le bizzarre ciabatte dai miei piedi e mi infilai sotto alle coperte. Disegnai. Le mie mani danzavano autonomamente sulla carta. Sciolsi i miei capelli castani a punte bionde e appoggiai l'elastico sul comodino. Quando stavo per richiudere le palpebre, mi ricordai di aver lasciato la porta aperta. Andai a richiuderla, ma prima che potessi raggiungere la maniglia, questa mi si aprì quasi in volto. Che straordinario tempismo, pensai, e che straordinaria fortuna. «Che vuoi?» chiesi seccata. Mi diede una leggera spallata ed entrò in stanza. «Cos'è quest'invasione?» Si guardò intorno, e poi prese posto sulla mia sedia girevole. «Hai cambiato i capelli...» osservò, guardandomi attentamente. «Mi dici perché sei qui? Così ti do quello che vuoi e sparisci?» Alla mia seconda frase, un piccolo sorriso era nato sul suo viso, e adesso rideva. Capendo cosa avesse inteso, roteai gli occhi al cielo. «Mmh, interessante. Mi darai ciò che voglio?» chiese sghembo. «Non quello», sbuffai. «Mi stavo assicurando che la tua porta fosse chiusa, Boccoli D'oro. Oggi è una giornata particolare per questo college», dichiarò. Mi accigliai. «Di che parli?» La lieve curiosità mi fece ignorare il fatto che mi avesse chiamata "Boccoli D'oro." «Si dice che dieci anni dopo la fondazione del college uno studente si sia buttato dalla terrazza dell'istituto. Si è suicidato. Da allora questa giornata viene ricordata dagli studenti con diversi scherzi, anche di cattivo gusto», disse noncurante, come se ciò non lo toccasse minimamente. «Ad esempio?» chiesi, con quel po' di timore che cercavo di tenere nascosto. «Da sangue finto spruzzato addosso a profanare la tomba di quello studente.» «È macabro», esclamai sconvolta. «E non hai ancora sentito la parte peggiore... Da quel giorno, ogni anno e in questa data è morto uno studente.» Si alzò in piedi e mi si avvicinò. «Le vittime sono sempre ragazze del primo anno. Capelli chiari, occhi celesti... Fossi in te...» Un sorriso beffardo gli spuntò sulle labbra. Una parte di me quasi stava per crederci, invece si prendeva solo gioco di me. Il mio bracciò partì da solo, sferrando un pugno contro allo stomaco. Fu come colpire una solida placca d'osso... Mi feci più male io, anzi, mi feci male solo io. Bloccò il mio esile polso con la sua mano. «Non farlo mai più», intimò, fissandomi negli occhi. «Altrimenti?» «Altrimenti...» sussurrò. Mi sfiorò con le dita il mento, e per un attimo trattenni il fiato. Non è una gara d'apnea, respira, stupida! «Non mi toglierò più di torno. E tu mi piaci, credo che non lo farò in ogni caso.» Fantastico. Si gettò con fare disinvolto sul mio letto, e poi afferrò il mio diario. Io non mi sarei mai comportata così, nella camera di qualcun altro... Lo faceva perché sapeva che alla gente la sua presenza non dispiaceva mai, come alle mie amiche, se così si potevano definire. D'altro canto anche io avrei potuto cacciarlo, quella era la mia stanza, ma non l'avevo fatto. Quando però poi vidi che lo aprì, mi fiondai su di esso e cercai di prenderglielo di mano. Niente da fare, lui era più forte. «Ridammelo!» Lo sollevò sopra ai suoi occhi, e dopo averlo sfogliato un po', li strabuzzò. «Caspita, sei brava», disse d'un tratto piuttosto serio. Ringraziai l'onnipotente che fosse capitato tra i disegni e finalmente glielo strappai via. Sorrise e una fossetta gli spuntò sulla guancia. «Che caratterino», disse. «Tu mi fai innervosire...» ammisi. «Ti rendo nervosa?» «Già.» Feci una smorfia. «Nervosa nel senso agitata? Arrossisci sempre quando ti guardo». Non mi stava prendendo in giro, era serio, quasi confuso. «Ancora con questa storia? Io non arrossisco!» Lui rise e sollevò le mani in segno d'innocenza. Guardò alla sua destra, e poi alla sua sinistra. Aprì un cassetto come se nulla fosse e ci infilò la mano. La biancheria! Gemette, quando con una spinta gli chiusi le dita dentro. «Vacci piano, Boccoli D'oro» disse, dopo averla tirata fuori. «Regola numero quattro: non frugare nelle mie cose. Regola numero cinque: non chiamarmi Boccoli D'oro, né tanto meno Lexie. I miei capelli sono lisci.» «Ma sono d'oro. Le regole sono fatte per essere infrante, non te l'hanno insegnato a Brooklyn?» chiese in tono provocatorio. «E a te? Nella scuola privata dove ti ha mandato la tua famiglia miliardaria e magari anche repubblicana, non ti hanno insegnato le buone maniere?» Rise. La sua risata aveva un suono gradevole, non potei non pensarlo. «Da piccolo ho studiato in orfanotrofio, lì i bambini più grandi insegnavano tutt'altro.» Che gaffe! Porca miseria. Sbarrai gli occhi e dischiusi le labbra, sentendomi così sorpresa, così in colpa. Si mise in piedi. «S-scusa, non immaginavo che...» Fece un cenno con la mano che stava a dire, "non fa niente." «Non lo potevi sapere.» «Non avrei dovuto giudicarti, scusa.» Atterrai lo sguardo, imbarazzata. «Dopo che hai creduto a questa performance, però, penso proprio che andrò a studiare recitazione.» Ricomparve quel sorriso beffardo. Io spalancai le palpebre, indignata. Si era preso gioco di me un'altra volta. «Che stupido!» Lui sembrò prepararsi al prossimo pugno sullo stomaco che gli stavo per tirare. «Siamo democratici in famiglia comunque», ridacchiò, bloccando il polso della mano che lo stava per colpire. «Fa' la brava.» Fece gli occhioni da cucciolo, e abbassò il labbro inferiore. Le mie guance avvamparono. «Che c'è che ti fa arrossire adesso?» Forse, adesso, più che rossa ero viola poiché avevo smesso di respirare da un pezzo. «Jake!» urlò qualcuno fuori dalla porta, richiamando finalmente la sua attenzione. Era una voce femminile, un'altra. «Sarà arrivata un'altra delle tue troiette.» «Peggio...» Aprì con pesantezza la porta della mia stanza. Katy Wash. La mia indiscussa migliore amica delle medie e compagna di avventure, aveva delle valigie strette nei palmi e un sorriso da un orecchio all'altro. Stralunai gli occhi, inebetita, e poi un profumo di lamponi mi tempestò le narici, due braccia mi strinsero così forte che barcollai di qualche passo verso l'indietro. «Oh mio Dio, Alexis? Sei tu o è un miraggio? Vuoi scherzare? Stesso college? Impossibile!» strillò. Quante probabilità ci sono di riincontrare una tua compagna delle superiori in una delle milioni università del pianeta terra? A quanto pareva meno basse di quanto credevo. «Ehi...» boccheggiai, in preda a quella stretta. «Che... Sorpresa», dissi sbigottita. «Allora, come stai?» chiese elettrizzata. «Bene, tu?» «Benissimo, ora che sono qui. Studi qui anche tu?» Sembrava non essere più nella pelle per la gioia e lo stupore. Io con un sorriso annuii. Mollò le valigie e fece scorrere lo sguardo verso di Jake, che da un'espressione annoiata sembrò fingere quasi un sorriso. Lei gli saltò addosso, circondandolo con le braccia e con le gambe. Be' in confronto io potevo ritenermi anche fortunata. Ero ancora più scombussolata, ma di certo non mi stupiva che lui conoscesse una bella ragazza come lei. Solo che lei era Katy. Lo baciò, e quando il bacio smise di essere casto, guardai altrove. Che imbarazzo. Ma aspettare di essere soli? Jake la riportò a terra. Sembrava un koala che viene strappato via dal proprio albero. «Siete usciti dalla stessa camera o sbaglio? Vi conoscete?» chiese Katy corrugando la fronte. «Diciamo e voi?» chiesi. Nel suo volto c'era imbarazzo. Be', si erano appena sbaciucchiati. Domanda stupida. «Sì, eccome se ci conosciamo», disse secca. Sembrava l'avessi offesa, anzi, che stesse marcando il territorio...? Che follia. «Ho gli allenamenti di football adesso», disse lui, schivo. Sembrava voler essere ovunque tranne che lì con lei. «Ehi, ma... Aspetta», supplicò Katy, facendo due occhi da cucciolo bastonato. Sbatté le ciglia almeno sei volte. Era così bello il suo taglio d'occhi. Il secondo spasmo di invidia femminile della giornata brontolò nello stomaco. «Semmai stasera, o domani.» Si avviò verso il corridoio, con noncuranza, e poi sparì dietro all'angolo. «Che... Mh, non so che devo fare con lui», ringhiò, guardando il punto in cui era sparito. «Ti piace?» chiesi, con una punta involontaria di incredulità. Lei sbarrò gli occhi. «L'hai detto come se fosse assurdo. Merda, l'hai visto? A quale donna dotata di ormoni può non piacere?» chiese sgomenta. Io sollevai le spalle e ridacchiai. «È strano vederti», le dissi. Sospirò. «Lo so, vale lo stesso per me. Possiamo uscire insieme quando vogliamo, passare tutti i pomeriggi a fare shopping, o a dare fastidio a qualcuno...» disse maliziosa. Ahia. Katy aveva intenzione di riportare indietro l'Alexis di Manhattan? Non potevo permetterlo, ma annuii e sorrisi. «E ragazzi, ovviamente. Conosco un amico di Jake, è un po' idiota ma sexy quasi quanto lui.» Mi strizzò l'occhio con fare ammiccante. Io feci no con la testa e lei rise. L'accompagnai difronte alla sua stanza e le diedi una mano a mettere apposto tutta quella roba. In quelle due valigie alte più di me, erano rinchiusi tonnellate di abiti firmati e scarpe da Red Carpet. Chiacchierammo del più e del meno, sulle novità che avevano stravolto le nostre vite dal momento in cui ci eravamo trovate in un bivio, e alla fine avevamo scelto strade differenti. Il padre di Katy si era sposato con Eleonor Poor, la madre del nostro caro vecchio amico, Drake. Lui si era trasferito ad Orlando in seconda superiore; ora capivo come mai Katy si trovasse in Florida. Mi disse che aveva conosciuto Jake a Los Angeles, ma non chiesi quali fossero state le circostanze, né i dettagli della loro "conoscenza". L'aveva baciato come se avesse voluto farci un bambino lì, davanti a me e su quel pavimento. Poi mi disse che era venuta qui perché aveva saputo che lui studiava alla Kingstom e perché era una delle buone università più vicine ad Orlando. Il cellulare che si trovava nella tasca dei miei pantaloncini cominciò a vibrare. «Hai finito di scrivere quelle riflessioni poetiche?» chiese Julie sarcastica. «Sì, Julie, arrivo.» «Be' vedi di muoverti.» Quando riposi il cellulare, Katy aveva disegnato sul volto la voglia di dire qualcosa, ma non disse niente. Raggiunsi la porta. «Dobbiamo vederci, solo io e te, senza Julie, o Isobel...» disse contrariata, piegando una delle sue magliettine. Io aggrottai le sopracciglia. «Che...?» «Sono noiose», disse secca. «Noi no», aggiunse. «Solo perché non sono cattive come te?» Mi venne da sorridere, la sua osservazione era molto sciocca. «Come noi», mi corresse, facendo un sorriso di rimando un po' maligno. Chiusi la porta alle mie spalle, pensosa, ed andai ad infilarmi qualcosa. Indossai una di quelle canottierine per sopportare il caldo, i leggings ed un cardigan leggero qualunque. Nel corridoio c'erano più studentesse del solito. Adocchiai la mora di prima, che appoggiata alla mensola di una finestra mi lanciò una brutta occhiata. Bisbigliò qualcosa alla ragazza dai capelli color carota che era in piedi di fronte a lei, e mentre si copriva la bocca con la mano, vidi che sul braccio sottile aveva tatuate una striscia continua di rose che si incastonavano in un teschio. Era di moda qui tatuarsi teschi? «Ragazza, partecipi al gioco organizzato dall'Alpha, stasera?» disse una voce alle mie spalle. Mi voltai. Un ragazzino basso più di me, con degli occhiali neri calati sul naso ed un accenno di capelli in testa mi porse un volantino che decisi di non prendere. «Non partecipo ai giochi.» Fece una smorfia e sollevò gli occhi al cielo. «Avanti, ragazza, il premio lo decidono i vincitori!» mi incitò. «Che genere di gioco?» chiesi, con un pizzico di curiosità in più. «Cambiano ogni anno.» «Va bene, partecipo. Ma dimmi una cosa. Perché tutti qui hanno dei teschi tatuati addosso?» Non era sorpreso da quella domanda. Forse non avrei dovuto chiedere ad uno sconosciuto, ma sembrava un tipo alla mano. «Le ragazze intendi?» Io annuii. «Be' è una sorta di tradizione, come i giochi. Le ragazze che sono state con uno degli Ancients, la confraternita più esclusiva dell'università, si tatuato un teschio. Il loro simbolo.» «Mh», sospirai, «questo posto mi piace sempre meno e sembra sempre più stupido.» Lui, a quella considerazione, rise e sollevò le spalle. «Come darti torto. Sono la confraternita peggiore di tutte», dicendolo, allargò le palpebre enfaticamente. «Perché? Quante sono?» chiesi curiosa. «Tante, molte di più che negli altri college. Hai visto quanti siamo? I maschi nei dormitori femminili e viceversa! Non so neppure se sia legale.» Io sorrisi. «Forse parteciperò a questi giochi, basta che non mi facciate mai giocare a baseball.» Lui rise e scosse la testa. «Niente baseball, promesso. Qual è il tuo nome?» chiese. «Alexis, e il tuo?» «Charlie», sorrise e mi porse la mano. La strinsi, raramente lo facevo ma lui mi era quasi simpatico, o almeno tollerabile. Mi fermai difronte all'ascensore e premetti il pulsante rosso. Quando arrivò entrai dentro e mi appoggiai allo specchio alle mie spalle. La porta stava per scorrere verso sinistra, ma venne bloccata da un braccio muscoloso. Riconobbi il Rolex. Ancora Jake. Premetti il tasto del piano terra, in silenzio. Ero a conoscenza di quanto la mia espressione potesse apparire arcigna, ma se prima lui non mi piaceva, adesso che avevo saputo e capito che prendeva in giro una mia amica, non lo potevo neppure vedere. «Sei gelosa per caso?» Ruppe quel silenzio nel peggiore dei modi, tanto per provocarmi. Aveva capito che non ero una persona socievole, né minimamente gentile e probabilmente un po' instabile. Perché continuava a parlarmi? «Ti detesto e i colpi mi partono da soli in tua presenza. Per lo più sono bassa, perciò sta' attento, molto attento ai colpi bassi.» Rise di gusto. «Che ho fatto adesso?» chiese confuso e divertito insieme. «Cosa hai fatto?» ripetei. «Ogni volta che ti vedo sei con una ragazza diversa e scopro che prendi in giro anche una mia amica? Ne hai tante no? Tutte quelle che vuoi. Lascia in pace lei se non ti interessa», sbottai. «Non sei nessuno per dirmi ciò che devo fare», ribatté secco. «Fa' pure ciò che ti pare, basta che stai alla larga da persone che non ti meriti.» Gli puntai un dito contro, con gli occhi iniettati di rabbia. Ebbi un sussulto quando mi sbatté per i fianchi alla parete dell'ascensore. Si udì il mio fiato mentre si bloccava in gola. Avevo avuto un pizzico di paura. Il suo respiro mi batté sul petto. Le sue mani sembrarono in diretto contatto con la mia pelle, come se quel filo di cotone non ci fosse. «Ma che fai?» dissi con occhi guizzanti e confusi. I suoi, del blu del mare mi guardavano il petto; me ne ero accorta dal momento in cui avevo sentito il suo fiato sulla mia pelle, ma l'avevo lasciato fare. Forse perché, dopotutto, le ragazze non avevano torto a dire che essere guardate da lui era piacevole. Quel pensiero come un flash o un treno in corsa mi sfrecciò nella mente, ma quando lo concepii... Ne ero disgustata, da lui e da me stessa. «Se parli ancora ti bacio, chiaro?» disse fermo, guardandomi finalmente al di sopra del mento. Mi sentivo con le spalle al muro, tra l'incudine e il martello. Volevo sputargli addosso tutto il mio veleno, ma ero costretta a tacere. Gli rivolsi uno sguardo rabbioso, rabbioso perché mi ero lasciata trattare e guardare come avrebbe voluto una ragazza frivola e superficiale qualunque. E lui non aveva rispetto per nessuno, era uno stupido, lo detestavo ancora di più. Mi agitai per scappare via dalle sue mani bloccate sui miei fianchi. «Che c'è? Sei senza parole?» mi provocò col suo sorrisetto beffardo. Rimani zitta, rimani zitta, rimani zitta. «Faccio questo effetto.» Diventavo sempre più paonazza dalla rabbia secondo dopo secondo. La porta dell'ascensore si era aperta da un pezzo, ma noi eravamo rimasti lì dentro, sotto agli occhi di chi l'aveva appena chiamato e magari si chiedeva la ragione di quel duello di sguardi infinito. «Ehilà, Jake. I giochi, vuoi partecipare?» Una voce emerse tra quel borbottare di studenti che ci guardavano da un po', senza capire se entrare o rimanere a guardare il momento in cui lo avrei decapitato con un'ascia. Lui gli lanciò un'occhiata, allentando finalmente la presa. Potei anche respirare liberamente. Il tempo di un solo respiro. «Se vorrò partecipare ai tuoi stupidi giochi parteciperò ai tuoi stupidi giochi, altrimenti no.» Un muscolo gli guizzò sulla bella mascella ed io mi chiesi che problemi avesse, per esser stato così brusco. «Be' era per...» «Perché stai ancora parlando?» lo interruppe, ancor più scorbutico. «Lo vuoi agguantare per una maglietta e suonare come una fisarmonica perché ti ha chiesto se parteciperai ad un semplice gioco? Tu sei matto.» Gli premetti le mani sul petto per spingerlo lontano. Lontano abbastanza da avere il tempo di uscire dall'ascensore. Percorsi l'uscita verso il campus, e subito vidi Julie ed Isobel sedute sulle scalette del PringHall. Mi diressi verso di loro, osservando nel frattempo il modo in cui era stato ridotto il campus. Sugli alberi ragnatele finte e ketchup, rotoli di carta igienica a terra e qualche pupazzo di scream appeso ai rami. Sembrava la settimana di Halloween un po' prematura. «Mi dai un po' di tette?» esordì Julie, abbassando il labbro inferiore e facendo gli occhi da cucciolo. «Eh?» «Le tette! Chi è che non desidererebbe una ragazza con quelle tette?» Isobel rise. «Concordo. Ma tu hai le sue stesse tette. Smettila.» Sospirò e continuò a leggere il libro di biochimica, seduta sul gradino. Julie si fece una treccia sulla spalla, nel frattempo controllando che le cosce non le si fossero ingrossate negli ultimi due secondi. Vidi arrivare un bel ragazzo dalla carnagione scura e le spalle larghe, su di una lo zaino di scuola e sull'altra una borsa da hockey. «Ciao André», disse Isobel sorridendo, con le guance arrossate. «Ehi.» André con un sorriso di rimando si sistemò la borsa sulla spalla. «Ragazze, lui è Andrè. André, loro Julie e Alexis.» Ci stringemmo le mani. Ero felice che stesse conoscendo altri ragazzi dopo quel mezzo uomo di George. Aveva un'aria molto disinvolta e tranquilla. «Hai trovato alla fine la strada del ritorno?» chiese ad Isobel con un sorriso furbo. Lei rise timidamente ed annuì. «Devo scappare, ciao.» Le lasciò un bollente bacio sulla guancia prima di dirigersi altrove; Isobel continuò a mangiarselo con gli occhi, ancora ardente per l'agitazione. Julie le diede una gomitata sul fianco con aria ammiccante. «Mmh, niente male», commentò. Isobel ridacchiò. «Mi ha accompagnato nell'aula di biologia oggi, non avevo idea di dove si trovasse», bofonchiò. Sorrisi automaticamente. Era l'ora di pranzo e il sole era per poco nascosto da una fitta coltre di nubi sopra all'istituto. Attendevo impazientemente l'arrivo di un temporale che alleviasse il caldo afoso. Andammo in mensa da Charlotte e Jocelyn, sedendoci come il giorno precedente, in un tavolo all'aperto sotto agli alberi. Il mio vassoio pieno di cibo rimase intatto, con quelle temperature non avevo mai gran fame. Julie biascicò parole confuse mentre masticava la sua fedele insalata scondita. «Prima mi è quasi sembrato di vedere Katy Wash, lo spettro di quel mostro mi perseguita.» Inghiottì dopo aver sorseggiato un po' d'acqua. «Katy è qui.» Julie si strozzò, e si batté il pugno sul petto per far scendere il groppo. «Scherzi?» Scossi la testa, ridendo sotto ai baffi. «Stamattina era tra le labbra di Occhi Belli», dissi inforchettando un pezzo di formaggio. «Stamattina hai visto Occhi Belli? Aspetta, Katy tra le labbra di Occhi belli? Come si conoscono? Aspetta Katy è qui?» accalcò una domanda dietro all'altra. Annuii. «Non ne ho idea, parliamo d'altro.» Proprio in quell'istante vidi passare difronte a me Jake con una cheerleader dai capelli biondi e lunghi fino al sedere attaccata al braccio. Flirtavano, si vedeva lontano un miglio. Quanto era disgustoso, mi venne il volta stomaco. «Vorrei strozzarla, Alison», brontolò Charlotte con uno sguardo fulmineo. Roteai gli occhi al cielo. Vennero raggiunti da un gruppo di tre ragazze, tutte slanciate e truccate perfettamente, e due ragazzi. Uno di loro aveva un pallone da football tra le mani. Sotto il sole i capelli di Jake sembravano ancora più chiari. Avrei voluto prendere quella palla e lanciargliela in faccia. Che arrogante. Doveva avere tutto, era un ingordo. Perché anche Katy gli stava dietro? Era superiore a lui. Nel momento in cui si accorse del modo impertinente in cui lo stavo guardando, ricambiò lo sguardo. Quella fossetta gli spunto sulla guancia, si spostò il berretto dagli occhi, che nella zona d'ombra sembravano due pozzi d'acqua limpida, e lo girò al contrario. Nel momento in cui mi strizzò l'occhio una scarica mi percosse ogni cellula del corpo. Sollevai il dito medio, lui rise e mi mandò un bacio volante. «Oh Dio, Oh Dio!» squittì Maya. «L'ha mandato a te? L'ha mandato a te!» urlò Julie. Presi la mia borsa e mi alzai dal tavolo. «Basta, mi avete stufato. O adorate lui come un Dio, oppure siete mie amiche. Noi non andiamo d'accordo.» Charlotte aprì le labbra, sconvolta. «Ma come, non puoi chiederci questo», ribatté. «Non mi conoscete: io dico sempre ciò che penso e voi siete noiose, ripetitive e monotone. Basta! Ci sono tanti altri ragazzi al mondo, molto più gentili, divertenti e piacevoli di quell'insopportabile arrogante e presuntuoso che ha una ragazza diversa per ogni preservativo.» Rimasero in silenzio. «Mh, hai ragione. Smetteremo di adularlo. Infondo il massimo che ci potrà capitare è finire di nuovo nel suo letto. Non mi basterebbe. Non riuscirò mai a sposarlo», rifletté Charlotte. «A me sì», disse Joe. «Aspetta, ho sentito bene? Di nuovo?» chiese Julie sbigottita, con quel po' di invidia. Charlotte si mordicchiò il labbro. «Be'...» Prevedendo che stava per deliziarci di imperdibili particolari, presi la mela dal vassoio e nonostante i loro richiami mi andai a sedere sola nell'unica zona d'ombra in tutto il campus. Ero sotto la chioma di un albero folto. Gettai il torsolo della mela in un cestino e tornai nella mia stanza dopo aver scritto una pagina di diario, descrivendo la repulsione che provavo nei confronti del genere umano. Una volta sul letto chiusi le palpebre, e prima del normale caddi in un sonno profondo. Al mio risveglio allungai le braccia per stiracchiarmi. D'un tratto il letto mi sparì da sotto al corpo. Emisi un rantolo per il dolore. Ero caduta giù dal letto, come capitava cinque mattine in una settimana. Quando barcollando riuscii a tornare in piedi, vidi allo specchio che il mio volto era cosparso di trucco. Una volta che fu totalmente pulito misi due linee di eye-liner sulle palpebre e un accenno di mascara. Sentii la porta della camera aprirsi. Mi affacciai dal bagno. «I giochi! Stanno per cominciare», ansimò Julie. Raggiunse il suo armadio e cominciò a lanciare sul suo letto qualche maglietta. Con lei scesi nel campus dove si era riunito tutto il corpo studentesco. «Mi pare strano sia consentito», considerò Julie, scrutando bene i presenti. La gente sembrava una mandria in rivolta. Mi appoggiai su di un muretto, guardando da lontano il piano rialzato dove si trovava il ragazzo che avevo incontrato prima, Charlie. Prese un megafono in mano. «Ciao a tutti ragazzi.» La sua voce si era udita appena, sovrastata dal brusio rumoroso degli studenti. Alcuni erano seduti sull'erba, altri in piedi disposti a semicerchio intorno a Charlie. Io ero troppo bassa per riuscire a vedere. Mi misi sulle punte dei piedi, poiché quello di fronte a me aveva i più corposi capelli corvini e ricci che avessi mai visto. Mi arrivò uno spintone sulla spalla, uno schizzo ambrato si schiantò sulla mia t-shirt. «Ehi!» Mi voltai. Il biondino ramato che la mattina scorsa mi aveva strizzato l'occhio in corridoio, alzò la mano in segno di scuse. «Non ti avevo vista.» Prima che potessi dire qualcosa, il biondino barcollò a sinistra. «Va via'.» Una voce profonda mi raggiunse i timpani. Con uno scatto incontrai quello sguardo elettrico. «Anzi, chiedile scusa», aggiunse, poggiando una mano sulla sua spalla con fare prepotente. Sospirai. «Scusa», disse il ragazzo, stringendo ancora nel suo palmo il bicchiere blu. Deglutì. Jake gli diede uno scappellotto sulla nuca, e il biondino si dileguò. Lo guardai con disprezzo, poi mi rivoltai. «È inutile che continui a fissare quel cespuglio, tanto non ci arrivi», mi schernì. Immaginai che come al solito stesse sorridendo in modo provocatore. Tentai di non assecondarlo e quindi fare il suo gioco, ma poi non trattenni le parole in gola. «Devi sempre far vedere che sei migliore degli altri?» sbottai, rigirandomi. «Io sono migliore degli altri.» Sorrise. «Sul serio, se vuoi ti metto sulle spalle.» «Quando finirà questa tua specie di persecuzione maniacale? Non ho intenzione di bruciare il mio tempo con te», ribattei. Jake rise e fece un passo in avanti. «Finirà quando lo dico io.» «Finirà quando ti avrò denunciato per stalking.» Come se fossi una piuma mi sollevò da terra. Cacciai un urlo non indifferente, e poi dall'alto, vidi quasi ogni testa dei presenti. Sentivo le vertigini arrivare. Mi ressi alle mie cosce che erano appoggiate sulle sue spalle. Ma come aveva fatto a farmi ritrovare qui su senza che me ne rendessi minimamente conto? In un attimo. Attorno a noi degli occhi cominciarono a puntarci, abbinati a strani sorrisi ebeti e curiosi. «Sei fuori di testa!» esclamai. «Almeno ora ci vedi», ridacchio. «Ragazzi, attenzione per favore», richiamò Charlie invanamente. «Ci vedevo anche prima», ribattei. Il fatto che non superassi il metro e sessantasei non stava a significare che ero un nano da giardino. «Sei carina anche da bassa secondo me.» Julie mi guardava ridendo da sopra una spalla, e quando lo disse spalancò le labbra. «Ragazza bionda, non pensi che Lexie sia carina?» le chiese Jake con un sorriso sghembo. Julie rise ed annuì. «Non è carina, molto di più», disse lei. «Sì, è molto più che carina. Peccato abbia la stessa lingua biforcuta di una vipera.» Roteai gli occhi al cielo. Julie gli rivolse un sorriso melenso, come se si fosse ipnotizzata. «Tu sei molto più gentile», ammiccò Jake. Mi veniva il latte alle ginocchia. Ci avrebbe provato anche con il ragazzo dai capelli afro che mi era difronte? Julie era paonazza. «Siete pronti?» riprese Charlie enfaticamente. Fino a poco prima ero stata strattonata ed urtata in continuazione, ma adesso sulle sue spalle avevo preso più stabilità di quanto immaginassi. Le voci si placarono. «Silenzio ragazzi! Il gioco di quest'anno è diverso... Ognuno di voi avrà tre vite a disposizione. Consistono in foulard blu che verranno distribuiti nel bancone laggiù!» Indicò un banchetto di legno alla sua destra, dietro il quale era seduto un ragazzo pelato, cosparso di tatuaggi persino sul capo e sulle mani. Mi incuteva timore. Jake mi appoggiò le mani sulle cosce, continuando a guardare di fronte a sé. Ebbi un sussulto e subito dopo gli mollai uno schiaffo sulla mano. «Che dolore», disse ironico. «Mi metti giù? Adesso?» Lui mi ignorò. «Quando darò il via alla gara dovrete togliere le vite agli altri per accumularne il più possibile e, sentite bene, gli ultimi due concorrenti sceglieranno il loro premio. Non lasciatevi sfuggire quest'occasione. Correte a prendere il necessario!» Dopo quella dichiarazione si era acceso un tumulto. «Andate in fila! Avanti.» La gente defluì verso il ragazzo tatuato dietro il bancone, e quando attorno a noi ci fu più spazio, Jake mi fece tornare sul suolo. La sera aveva già vinto sul giorno da un po'. Atterrai sulle sue scarpe e lo guardai con tutta l'irritazione che possedevo. Poi, sotto al suo sguardo sorridente e beffeggiatore, presi Julie per un gomito e la trascinai fino al bancone, dietro alla fila. Rimase con la testa girata di centoottanta gradi per tutto il tragitto. Prese un sospiro sofferente. «Ti invidio, Bristol», espirò una seconda volta. Scossi la testa tra me e me. Quando arrivò il mio turno mi legai ai jeans i tre foulard. Il ragazzo tatuato e calvo mi sorrise. «Ti consiglio di rimanere nascosta fino al fischio», sussurrò. Annuii, e quando annunciarono l'inizio alla gara corsi via con Julie in mezzo ai boschi dietro all'istituto. Scattavamo al primo rumore, poi scoppiavamo a ridere come delle stupide. Tra un albero e l'altro gironzolavano piccoli insetti, lucertole o addirittura qualche scoiattolo. «Ah! Che schifo!» squittì Julie. Mi afferrò per un braccio e si nascose alle mie spalle. «Una lepre? Siamo in uno zoo, per caso? Mi mancano i grattacieli di New York...» mugolò. Io ridacchiai. «St, potrebbero sentirci. Se vincessimo noi due, cosa chiederemmo?» domandai. Lei rifletté. «Un appuntamento con Occhi Belli. Mi ha detto che sono gentile. Anche se prima ha detto a te che sei carina. Direi che è tuo. Per te, sono disposta a farmi indietro.» Scoppiai a ridere sonoramente. «Non dire stupidaggini. Tutto tuo.» Sentii un fruscio delle foglie, e poi alle nostre spalle comparve un ragazzo con indosso la maglia della squadra di soccer e un sorrisetto malizioso. Io e Julie cacciammo un grido all'unisono, poi partii come un razzo alla massima rapidità. L'attimo dopo, mi ritrovai sola dietro al PringHall. Ci girai intorno un paio di volte, quasi con le spalle contro il muro. Ad un nuovo angolo, il tizio di prima mi spuntò davanti. Sobbalzai all'indietro, e il respiro mi si mozzò nella gola. «Splendore», esclamò il ragazzo, facendo un passo in avanti. Ne compii un altro all'indietro. D'un tratto, mentre sembrava stare per attaccare, scattò a guardarsi alle spalle. «Era l'ultima che ti rimaneva», gli disse Jake. Si legò il foulard ai jeans e poi sollevò gli occhi color zaffiro verso di me. Il ragazzo sbuffò, e andò a ritirarsi. «Ti concedo tre secondi di vantaggio. Tre...» Avevo appena ripreso aria, quando ricominciai la maratona nel retro dell'istituto. Nel buio corsi via, non guardandomi mai alle spalle. Mi iniziò a fare male la milza quando scappai nel dormitorio femminile e come un fulmine attraversai il corridoio. Entrai nella mia stanza vuota, e sapendo che mi aveva vista entrare, cercai rapidamente il primo nascondiglio fattibile. Il mio sguardo scattò in ogni angolo della camera, e poi, per un soffio, riuscii a farmi piccola dietro al mio armadio. Il cuore mi batté nella gola, quando sentii il cigolio della porta aprirsi lentamente, ed uno spicchio di luce crescere d'ampiezza nel pavimento. Sentii dei passi avvicinarsi, strizzai le palpebre e mi strinsi nelle spalle. «Bu!» Sobbalzai. «Oh Dio!» «Che fifona... Ti consiglio di darmene una, se non vuoi che te le prenda tutte.» «Te lo puoi anche scordare.» Avanzò di uno o due passi. Distolsi lo sguardo perché mi metteva in soggezione il modo in cui mi fissava nelle pupille. Sapeva che mi infastidiva, e lo faceva apposta. Che sbruffone. «Ti conviene obbedire.» Il suo fiato mi batté sul naso. «Altrimenti?» Avvicinai lentamente e cautamente la mia mano ai suoi jeans. Sollevai finalmente gli occhi, puntandoli sui suoi. In quel momento mi venne in mente una cosa; aveva un debole per le ragazze, e loro lo avevano per lui. Perché non sfruttare la situazione a mio favore? Sbattei le ciglia. «Altrimenti mi baci?» Per la prima volta, vidi una discrepanza in quella sfrontatezza. Il pomo d'Adamo gli sbalzò dall'alto al basso della gola. Uau, dovevo riconsiderare le mie tattiche persuasive, oppure arrendermi al fatto che fosse il classico ragazzo tutto muscoli e testosterone. Mi si avvicinò di più, ad un soffio dalla punta del mio naso. Mi credeva una ragazza così facile? Strappai via uno o due foulard appesi ai suoi jeans e fuggii fuori da quella stanza. Ma che avevo fatto? Perché avevo l'ossessione di dimostrargli che ero migliore di lui da tre giorni a questa parte? Scesi le scale a tutta rapidità, come se avessi ricevuto la più potente scarica d'adrenalina. Sentii di nuovo i suoi passi alle mie spalle, e poi, una volta che giunsi fuori, emerse Charlie. Con un sorriso mi afferrò il polso e sollevò la mano. «La prima vincitrice!» esclamò, sollevando applausi e fischi. Gli studenti ormai privi di foulard erano seduti sull'erba, a guardarmi. Erano tutti stati eliminati. Jake aprì la porta del dormitorio da dentro. «Ed ecco il secondo! Complimenti ragazzi!» La folla cominciò a schiamazzare, qualcuno persino mi indicò.
Spazio autrice ❤️
Ciao a tutte ragazze :)
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Storie collegate: Unexpected, Born ti die.
Altre storie: Evil Hunters.
Grazie per aver letto il capitolo!
xoxo, Kat!
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Amami nonostante tutto
RomanceUn college con un buon programma in medicina sembra un'ottima occasione per Alexis. Qui alla Kingstom University della Florida è lontana dagli orrori che riviveva ogni giorno nel suo vecchio appartamento dell'Upper East Side. Un fondo fiduciario da...