24. Cominciare daccapo.
«Sentivo di volerlo» bofonchiai, rimboccandomi le coperte come se potessi nascondermici dentro. Jake fece un sorriso, poi decise di non insistere e chiese: «Voleva qualcosa tuo fratello? Come sapeva di trovarti qui?» «Mi ha parlato di una cosa, riguardo ai miei. Riguardo a una brutta storia, ma nulla di che». Mi guardò dritta nelle pupille, in attesa che proseguissi. «Cosa?» «Ricordi l'incendio in casa mia? Sì, insomma, nulla di bello da raccontare.» «Ma vorrei che lo facessi comunque.» «Mi ha parlato di una clausola, un accordo di riservatezza che impedì a mio padre di denunciare mia madre per ciò che aveva fatto. Ma è una vecchia storia, morta e sepolta.» Jake corrugò la fronte e prese un sospiro più profondo degli altri. «Ne sei sicura? Prima non mi è sembrato. E neanche poco fa ho avuto quest'impressione.» Non era passata, non era sepolta e lui non mi avrebbe lasciato fingere che lo fosse. «Non si tratta di un'infanzia difficile, Jake, non si tratta di una madre fuori di testa e di un padre che o beve troppo oppure non c'è mai. Si tratta di me.» Mi girai su di un fianco, dandogli le spalle. «E di che si tratta?» «A volte mi tornano in testa delle cose che ho sempre pensato fossero sogni, ma ora mi rendo conto che sono ricordi. Perché oggi è il quindici marzo e anche quel giovedì lo era. I miei fratelli andavano a scuola, io forse ero piccola, o forse stavo male, in realtà non me lo ricordo. Ma erano giorni che passavo a casa, sola con mia madre e nessun altro. Lei parlava con me come se fossi un'adulta, non sua figlia. Piangeva, si disperava, e il suo modo di aggirarsi per casa mi terrorizzava.» Non volevo, non riuscivo a parlare di più. Ma poi appoggiò la sua mano sulla mia spalla ed ebbi la forza per farlo. «Non so perché mio padre mi lasciasse sola con lei, forse non si era reso conto fino a che punto potesse essere un pericolo per me ma quel giorno lo capì. Lei voleva la mia compassione, mi diceva che mio padre la tradiva con altre donne e che io non avrei più dovuto parlare con lui. Diceva che ero la sua figlia preferita perché l'ascoltavo eppure l'ha fatto davanti ai miei occhi come se si stesse pettinando i capelli. Eravamo nel bagno del piano di sopra, credo, le mattonelle erano ancora bianche e non celesti, quindi non potevo avere più di sei anni. L'ho vista prendere una lametta, o non so che, e poi un fiume di sangue ha iniziato a scendere dalle sue braccia mentre si immergeva nella vasca da bagno. Non riesco a smettere di vedere quel bagno di sangue, o di sentire la sua voce mentre mi diceva che non avrei dovuto chiamare nessuno, che non avrei dovuto urlare, altrimenti non me l'avrebbe mai perdonato. Dimenticandosi che non ci sarebbe mai stato un mai perché lei stava morendo. Ha detto che era giusto così, che sarebbe stata libera e felice. E le sue ultime parole prima che perdesse i sensi furono precise. Avrei dovuto riferire a mio padre che era stata colpa sua, ha detto che avrei dovuto assistere a tutto, solo per potergli riferire che avevo visto mia madre morire per colpa sua. Mi costrinse a rimanere, a guardare, e disse ancora che se avessi chiuso gli occhi non me l'avrebbe mai perdonato. Il caso volle che mio padre arrivasse di lì a poco. Le salvò la vita. Scivolai sulla scia del suo sangue, seguendoli di corsa mentre lui, dopo averla presa in braccio, correva verso l'ingresso di casa. Aveva detto che non me l'avrebbe perdonato, e infatti non lo fece. Quando mia madre tornò a casa, non so quanto tempo dopo, tentò di annegarmi nella vasca da bagno. Lo fece più volte, quando nessuno la teneva d'occhio, e non ricordo o forse non ho mai saputo cosa fosse per lei. Un gioco, un castigo. Alla fine mi lasciava riprendere fiato dicendo che l'avrei dovuta ringraziare. Ma lei lo rifaceva, lo rifaceva sempre. Mi odiava. E nessuno si accorgeva di nulla, nessuno domandava. Davanti agli altri sembrava un'altra donna e riusciva a ingannare mio padre, o forse era lui a lasciarsi ingannare. Io ero diventata la causa della sua infelicità ancor prima che imparassi a scrivere, a pronunciare correttamente le sillabe più complesse. Per cui non può servirmi una psicologa, parlare con qualcuno. Non si tratta di un periodo buio della mia vita, non ho semplicemente avuto un'infanzia difficile. Io non riesco a non sentirmene condizionata, io non riesco a liberarmene. Non ti biasimo se la tua opinione su di me cambierà dopo ciò che ti ho detto. Sono una persona problematica, o più semplicemente un problema.»
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Amami nonostante tutto
RomanceUn college con un buon programma in medicina sembra un'ottima occasione per Alexis. Qui alla Kingstom University della Florida è lontana dagli orrori che riviveva ogni giorno nel suo vecchio appartamento dell'Upper East Side. Un fondo fiduciario da...