10. Radioactive

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10.
Era stata dura decidere. Era stata dura affrontare lo sguardo pieno di vergogna di mio padre del giorno dopo ed era stata dura dirgli: «Non posso.» Era vero. Dentro di me sentivo che non avevo più la forza per farlo. Lui era rimasto impettito sulla sua sedia, rigido come uno stoccafisso. Nel suo sguardo vitreo aleggiava un forte senso di colpa. Non volevo che si sentisse così, volevo solo che guarisse. Ma non ero più tanto certa che lui volesse lo stesso. Perché se fosse stato così, non l'avrei ritrovato ubriaco in casa mia proprio quando mi aveva riportata lì perché aveva bisogno del mio aiuto. Papà non aveva bisogno dell'aiuto di nessuno. Io non avevo più bisogno di lui dopo che lui aveva dato me per scontata. Chiedermi di lasciare il posto in cui mi ero appena ambientata era stato così egoista da parte sua... e assecondarlo era stato tremendamente stupido da parte mia.

Dieci giorni e nove notti dopo la mia partenza dalla Kingstom, ero di nuovo lì. Attraversando quella lunga e spianata strada alberata su cui batteva il solito sole cocente. Ero proprio lì, sicura al cento per cento che ci sarei rimasta finché non mi fossi laureata. Me lo meritavo. Se solo fossi rimasta a New York qualche giorno in più e mio padre avesse ultimato il mio trasferimento alla Columbia, a quel punto non avrei più avuto nessuna scelta. Sarei rimasta incastrata lì con lui. Ero stata veramente, veramente un'idiota. Solo una senza cervello mette da parte tutta se stessa per un padre che più volte ha dimostrato di non voler migliorare e che se ne sbatte di lei. Me n'ero andata in piena notte senza dirgli niente. Le ultime parole che ci eravamo scambiati erano proprio quelle due: «Non posso.» Quella mattina si sarebbe svegliato senza di me e forse avrebbe capito che il mondo non girava attorno a lui, né alla sua bottiglia di scotch.

La vista delle onde oltre la sfilza di pini che mi scorreva sotto allo sguardo spazzò via dalla mia testa tutti i miei pensieri negativi. «Siamo arrivati, signorina.» 'Sta volta mi toccò trascinare le valigie da sola, ma per fortuna non mi spezzai come un ramoscello. Era l'alba; delle nuvole rosate dalla stessa forma di un cuscino, giacevano sopra l'istituto, coprendo quasi del tutto il sole mentre si levava. In giro per il campus a quell'ora non c'era nessuno, ma ero certa che passando difronte alla portineria avrei incontrato il mio amico Freddy. Stava pulendo la sua porta, tenendo in una mano uno di quei panni in microfibra e nell'altro uno spray. I miei passi lo spinsero a girarsi. Le sue sopracciglia schizzarono in alto, poi sorrise. «Chi si rivede! Qualcosa è per caso andato storto a casa?» Scossi la testa. «Nulla di rilevante. Ma sono qui adesso. Ho un gran sonno, mi ridaresti la chiave della mia stanza?» Freddy fece un sorriso furbo. «Oh, la tua amichetta bionda era così triste questi giorni senza di te, chissà che sorpresa gli farai sbucando dal nulla. O per caso già lo sa?» «Sarà una sorpresa.» Freddy entrò nel suo piccolo studio e ne uscì col mio mazzetto di chiavi. Ci riattaccai il portachiavi a forma di cavalluccio marino - un regalo di Isobel - e mi feci aiutare a trasportare i bagagli fino alla stanza. Quelle due dormiglione neanche si accorsero che qualcuno aveva appena fatto irruzione nella loro stanza. Mi girai e tirai le maniglie delle valigie per trasportarle dentro. Un attimo dopo, mi arrivò una palla da volley in testa. «Ahi», gemetti voltandomi. «Chi va là!» aveva gridato Julie, prima di incastrarsi al lenzuolo e ruzzolare giù come un salame. Scoppiai a ridere. Lei da terra si strofinò gli occhi coi pugni, poi mi guardo per bene e li strabuzzò, incredula. «Alexis?!» urlò. «In carne ed ossa.» Saltò in piedi e poco dopo me la ritrovai attaccata addosso come una porifera ad uno scoglio. «Sei tornata? Oh cazzo, forse sogno. Mi sembra assurdo vederti qui, adesso. Ma che caspita! Ieri sera eri a New York.» Isobel emise un mugolio dal suo letto, poi si scansò le coperte dal viso e la vidi sbarrare gli occhi. «Alexis? Per caso ho dormito per un anno? Oh Dio, sono entrata in coma un anno fa?» Scoppiai a ridere. Erano il perfetto ritratto della confusione del lunedì mattina. «No, Izzy. Niente coma. Sono tornata. Ho scelto.» Mi pentii di non aver filmato quella scena; l'attacco di Julie e le lucubrazioni di Isobel. Qui, in questa stanza e con loro, mi sentivo a casa.

Amami nonostante tuttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora