27. Kingstom

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27. Kingstom

Era il giorno del grande rientro a scuola. Io e Julie avremmo sostenuto il test di psicologia. Mi alzai dal mio comodo letto alle sei di mattina. Raggiunsi goffamente il bagno, dove dopo essermi fatta una veloce doccia, mi asciugai in fretta i capelli. Arrivata in cucina c'era un ottimo profumo di caffè. Drake non avrebbe avuto nessun esame oggi, e lo invidiavo come non mai. Stava lì, seduto a tavola, con lo sguardo perso nel vuoto mentre sorseggiava il liquido marroncino. In accappatoio stavo gocciolando per tutto il soggiorno quando assaggiai anch'io un po' di caffè per tenermi sveglia, e poi un bicchiere di succo alla pesca. Tornata in camera, misi appena un po' di mascara, e poi infilai dei semplici leggings e un maglioncino blu scuro, cui maniche mi arrivavano fin sotto i polsi. Julie mi prestò delle converse blu, e pensai che presto avrei dovuto fare rifornimento al centro commerciale. Mi lavai i denti, mi pettinai i capelli, presi la borsa e salimmo tutti e tre nella mia auto. «Tesoro, chi te l'ha data la patente?» mi chiese Drake. Risi «imparerò prima o poi» «spero prima che mi farai schiacciare da un camion» commentò Julie. «Beh, ti consiglio di metterti la cintura di sicurezza.» Arrivammo presto difronte al cancello della Kingstom. A passi svelti raggiungemmo l'entrata, e  un'ondata di calore mi pervase il corpo. Mi afferrò la vita con le mani, e io gli strinsi le braccia al collo mentre le nostre labbra si sfioravano. «Buon giorno anche a te» sorrisi tra le sue. Non appena mi girai ci fu il fini mondo. La Kingstom era così sconcertata da quello che stava osservando che per poco qualcuno non cadde a terra agonizzante. «Ci faranno l'abitudine» dissi stringendogli la mano. «Sono invidiosi che io stia con la ragazza più bella del college.» Mi strinsi al suo braccio, ma sapevo benissimo che ogni ragazza invidiava me come non mai. Non più di tanto il contrario, pensai. L'odioso Braze non tardò ad arrivare. «Woah, cosa vedo» disse «allora non erano solo chiacchiere» aggiunse. Forzai un sorriso e raggiungemmo l'entrata dell'istituto. Tutti gli altri nostri amici ci aspettavano lì. «Pare non si parli d'altro» disse Charlotte. «Potreste trovarvi persino nel giornale di Cheansburg» ridacchiò Simon che come al solito non faceva altro che peggiorare la situazione, che già non mi piaceva. Sentivo gli occhi di tutti puntati addosso, e capivo bene quando spettegolavano. «Cosa c'è che stupisce tanto?» chiesi affondando la testa su di lui. Mi baciò i capelli. «Non ho mai amato nessuna ragazza prima di te, è normale» sussurrò al mio orecchio. Mi sentii così speciale ad essere l'unica che avesse mai amato. Non mi importava del mondo quando ero con lui. Noi eravamo migliori di tutti, e dopo averne passate di tutti i colori eravamo insieme, finalmente. Raggiunsi l'aula di Evans, e dopo che ci aveva consegnato il test, mi fu difficile trovare una sola domanda sulla quale avessi dubbi. Mi sembrava tutto così miracolosamente semplice, che in trenta minuti terminai il compito. Se avessi aspettato lì a rifocillarmi, probabilmente avrei corretto cose esatte. Così diedi una ricontrollata e poi consegnai. Evans diede un'occhiata al foglio. «È l'eccellenza signorina Bristol» affermò. Il cuore mi si alleggerì. «Grazie, arrivederci.» Feci uno striminzito sorriso e uscii dall'aula. Andai in caffetteria in attesa che Julie mi raggiungesse. Incontrai la ragazza che era qualche giorno fa a studiare con noi. Credevo si chiamasse Grace. «Ehy, Alexis» mi sorrise. «Ciao» afferrai il bicchiere dalla macchinetta. «Come ti è andata?» mi domandò. «Spero bene, e a te?» domandai. «Sicuramente peggio che a te. Sei davvero brava per essere al primo anno» si congratulò. Aveva dei morbidi capelli scuri che le ricadevano sulle spalle. Due grandi occhi color cemento, ed era davvero carina. «Beh, grazie» sorrisi sincera. «Ma è vero che sei la figlia di Richard Bristol?» chiese sottovoce. Perché Travis non si chiudeva quella fogna? «Mh, sì» affermai seccata. «Wow.. Beh tuo padre è storia in questo college» disse sbalordita «come in ogni college di medicina. Per caso conosce il rettore?» insinuò. «Forse, perché?» trattenni l'irritazione. «Oh niente, curiosità» disse non distogliendo lo sguardo dal caffè che aveva in mano. Annuii poco convinta e sorseggiai un po'. Sentii delle umide labbra a contatto con la mia guancia. Riconobbi il profumo di Charlotte, e mi voltai in un istante. «Si sono sbollentate le acque?» mi chiese. «Guardali» sbuffai alludendo a tutta la gente che non faceva altro che guardare e bisbigliare. Diede una veloce occhiata, e fu difficile trovare qualcuno che sembrava farsi gli affari propri. «Come ti è andato il test?» domandai. «Bene, credo. Cioè spero» biascicò premendo i tasti della macchinetta. «Sarebbe tutto più facile con un genitore che conosce tutta l'anatomia..» intervenne Grace. Trasalimmo entrambe. Cosa voleva questa ragazza? «Stai cercando di dirmi qualcosa?» insinuai direttamente. Lei sembrò quasi pentirsi di essere stata così esplicita. «No no.. Affatto. Capisco quella Izzy di cui mi avete parlato. C'è molto da invidiarti» sorrise guardando il basso. Non mi sembrava affatto che nessuno quella sera avesse accennato all'invidia compulsiva di Izzy, ma solamente a quanto fosse finta e folle. «E tu come lo sai?» chiesi seria. «.. Mh, me lo deve aver detto qualcuno» si mordicchiò il labbro. Io e Charlotte ci guardammo confuse, poi lei si schiarì la voce. «Chi?» chiese Charlotte. La mia curiosità per questa ragazza cresceva ogni secondo di più. «Le voci su gente come voi corrono» affermò. «Gente come noi?» chiesi accigliata. «Insomma.. Guarda.. C'è gente che si fidanza ogni giorno. Ma da quando tu e Jake state insieme non si parla d'altro.» Più la incitavi più parlava, e poi sembrava sempre pentirsi di aver detto qualcosa di troppo. «È perché ci sta tanta gente che non ha una vita e pensa a quella degli altri» dissi seccamente. Quando Grace nominò Izzy, mi venne in mente quello che aveva detto. "Siamo sorelle." Sul serio? Si aspettava anche che ci avessi creduto dopo le bugie che aveva raccontato? Era sicuramente un modo per riallacciare i rapporti e poi avrei scoperto che era tutta una gran messa in scena. Le avrei spedito una lettera con i vari provini che avrebbe potuto fare ad Hollywood, e così magari avrebbe smesso di improvvisarsi come un'attrice. Julie arrivò alle mie spalle. «Potevi suggerirmi in qualche modo!» brontolò piggiando il tasto del caffè. «E come? Con la lingua dei segni?» scherzai. «Magari dovremmo impararla per il prossimo test» bofonchiò scocciata. «Oppure è un'altra delle dieci lingue che conosci?» chiese afferrando il bicchierino di plastica. C'era una gran confusione nel corridoio. Era pieno di ragazzi che uscivano ed entravano dalle aule. «Cosa?» domandò Charlotte «quante lingue conosci?» «Oh, un paio» mentii cercando di sviare il discorso. Grace sembrò fare una smorfia, ed iniziavo ad irritarmi davvero. Scott della squadra di soccer, passò con qualche suo amico per la mia strada. «Ciao Alexis» disse con uno strano sorriso. «Ciao» risposi inacidita. Non mi era mai piaciuto quel ragazzo. Era uno dei tanti che Jake aveva terrorizzato affinché non mi credesse una ragazza di facili costumi. Solo ora mi rendevo conto di quanto tentasse in ogni modo di farmi capire che mi amava, ed io che non me ne accorgevo. Anzi, mi arrabbiavo con lui di continuo. «A cosa pensi?» Charlotte mi svegliò. «Niente di che..» dissi prima di terminare e buttare il bicchierino nel cestino. Raggiunsi il corso di microbiologia, e presi qualche appunto dato che presto avrei avuto un test. Per fortuna avevo già studiato in aereo. Quando arrivò l'ora di pranzo, e la giornata scolastica più straziante dell'anno arrivò al culmine, con Julie, Charlotte e Joe, ci muovemmo verso la mensa. Ci sedemmo al nostro solito tavolo, ed era quasi impossibile chiacchierare con tutte le persone che parlavano insieme. Mi sentii baciare la guancia, poi Jake mi si sedette accanto. «Come è andata?» domandai. Sorrise «bene a te?» «Bene» risposi io. Simon arrivò con Travis e un ragazzo della squadra di football che non conoscevo, poi lui seguì il tavolo delle cheerleader, e loro si sedettero al nostro tavolo. Posai la testa sulla sua spalla mentre mordicchiavo una patatina fritta. «Che hai?» chiese notando di quanto fossi pensiorosa. «Niente» dissi forzando un sorriso. «No, non è vero. Spara.» Era inutile cercare di mentirgli. «Izzy mi ha detto una cosa al telefono.. » La sua espressione si incupì. «Sai che ti dico.. Non importa sono solo altre bugie» divagai scuotendo la testa. «Di che si tratta?» insistette. «Ha detto che siamo sorelle.» Lessi lo stupore nel suo volto. «E?» «Le ho attaccato. Non credo ad una sua sola parola» bofonchiai strofinando la guancia alla sua t-shirt. «Sei sicura?» Titubai «sì, non la voglio più sentire, non mi interessa quel che ha da dire» risposi io. Vidi Lucille, quella bionda ossigenata ed insopportabile avvicinarsi al nostro tavolo. «Ciao» disse giocherellando con una ciocca di capelli e rivolta a Jake. Era la stessa che aveva già respinto in infermiera. Ma un po' di dignità per se stessi? Lui sorrise appena a labbra serrate e tornò a giocherellare con il cibo nel piatto. Mi stupii quando si sedette a capo tavola. «Allora, è vero? Stai con lei?» Lessi il disgusto quando pronunciò "Lei".
«Si chiama Alexis, e sì, sto con lei» affermò irritato. «Ricordo quando mi hai detto che non ti interessavano relazioni» disse seccata. «Non con te». Lei con espressione irritata e disgustata si rimise in piedi e alzò i tacchi. Sospirai e mi strinsi al suo braccio. Ora sì che arrivava il peggio. Incrociai lo sguardo di Katy Wash mentre camminava nella mensa. Se avesse potuto uccidermi con lo sguardo sarei già morta. Mi aspettavo che sarebbe venuta a fare una scenata ma invece si sedette ad un tavolo. «Dove andiamo durante le vacanze?» chiese Travis immergendo una patatina nel mio ketchup. Gli picchiettai la mano. «Ehy» mi lamentai. «In Grecia» disse Julie con occhi languidi. «Sai che bello sarebbe andare ad Amsterdam» se ne uscì Simon. Julie gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Cosa hai detto?» disse con tono che annunciava litigata in arrivo. «Scherzavo, acidona» rispose scuotendogli la mascella e stampandogli un bacio. «Stupido» disse lei sorridendo. Charlotte ridacchiò e subito dopo mi vibrò il cellulare in tasca. Vidi che era una chiamata di Cass. «Ehy» sorrisi. «Signorina noi due non ci siamo salutate» disse con tono rimproverevole. «Lo so, mi dispiace, sono crollata» mi giustificai. «Oh, tranquilla ti adoro lo stesso.» «Anch'io.» Sentii in sottofondo una voce familiare. Cavolo, era quella di Andrew. Finsi di non sentire. «Allora? Come è stato il rientro?» chiese. «Traumatico.» «Chiamami ogni tanto ok? E dillo anche a quello stronzo di Jake» scherzò. «Fottiti Cass» ridacchiò lui. «Lo faremo» affermai sorridendo. «Ciao ragazzi, ci sentiamo» sospirò. «Ciao» riagganciai. «Uh, come sta Evertin?» chiese Simon. «Bene» rispose Jake. Mi avvicinai al suo orecchio. «Era con Andrew» sussurrai. Trasalì, «sei sicura?» «Sì, l'ho sentito» mormorai. Si passò una mano sui capelli. «Cavolo» disse turbato. «Ancora triangolo amoroso tra quei tre?» domandò Simon, che chi sa come capiva sempre tutto. «Ancora?» domandai incuriosita. «Beh lei ha fatto un po' di casino alle superiori..» confessò Jake. «Un po' di casino? Il primo anno stava con Andrew, il secondo con Luke, il terzo nuovamente con Andrew e alla fine di nuovo con Luke. Direi che faceva a turno» disse Simon. Immerse due sue patatine nel mio ketchup, e picchiettai anche la sua mano. «Sta calma, acidona numero due» scherzò ritirando la mano. Ridacchiai. «Sul serio dovremmo partire da qualche parte quest'estate» disse Julie. «Magari in Spagna» sognò. «Sarebbe divertente» disse Joe. «Basta che non guida Lexie.» Jake prese in giro le mie scarse abilità di guida. «Ehy!» offesa gli diedi una gomitata. Mi circondò la spalla con il suo braccio e avvicinò la mia guancia alle sue labbra. «Concordo. Stamattina mi stavi sballottolando da destra a sinistra. Per poco non vomitavo» disse Julie. Il suo sguardo presto si perse alle mie spalle. «Quella stronza non fa altro che fissare te» disse subito dopo. «Chi Katy?» domandai. Feci per girarmi «Ferma, non ti voltare» mi fermò lei. «Non capisco proprio come facevi ad esserci amica» disse disgustata. «Alle superiori ero sciocca» «eri il capitano delle cheerleader, definirti sciocca mi sembra poco» ridacchiò. «Carina» commentai. «Una cheerleader?» chiese Jake sorridendo. «Dimenticalo, è imbarazzante» ordinai. «Non la pensavi così quando agitavi pon pon per tutto l'Upper East Side» disse Julie. «Chiudi la bocca» dissi tirandogli una patatina in faccia. Charlotte tirò fuori un libro e sbuffando cominciò a leggere a mente. «Quando finite gli esami?» domandai. «Tra una settimana» sbuffò lei. «Domani cos'hai?» chiesi a Jake. «Sheperd» rispose lui. Joe lesse «sono un trentenne appena tornato da un viaggio in Etiopia. Ho brividi, febbre, sudorazione, mal di testa, nausea, dolori a schiena e addome.» «Malaria» rispose Jake prima di mangiarsi due delle mie patatine. Grace se ne stava da sola in un tavolo, e nonostante fosse irritante mi dispiaceva. «Grace!» Mi feci sentire e alzò lo sguardo. Gli feci cenno di venire, e lei si avvicinò. «Siediti con noi, non serve che te ne stai sola» sorrisi. A disagio si sedette a capo tavola e iniziò a torturarsi le mani. Continuammo a studiare un po' e devo dire che erano tutti ben preparati. Quando finimmo di mangiare, Julie insistette per volermi accompagnare al centro commerciale, e finalmente comprare un nuovo paio di scarpe.
Comprai delle semplici converse basse e nere, e delle altre blu scuro come quelle che portavo. Il commesso sembrò piuttosto stupito di vedere che indossavo lo stesso paio di scarpe che stavo comprando, ma poi Julie lo annoiò raccontandogli la storia delle mie scarpe, e del fatto che lei fosse una buona amica perché me le aveva prestate. In effetti molte volte era davvero imbarazzante il modo in cui attaccava discorso con gli sconosciuti. Una volta attaccò con una signora per strada che si era fermata solamente a chiedere informazioni stradali, per raccontarle del suo nuovo york-shire, che le aveva morso il braccio.
Con la mia amica fuori di testa raggiungemmo la mia macchina, e per tutto il tragitto non fece altro che lamentarsi della mia pessima guida. Imprecò più volte dicendo che non sarebbe mai più salita nella mia auto. Una volta a casa, Drake stava amorevolmente chiacchierando con Taylor Wash e indovinate un po' chi mi aveva fatto visita? La mi amatissima Katy. Sorseggiava il suo fedele thè al limone a gambe accavallate. «Ciao» dissi entrando. Taylor mi riconobbe in un istante. «Alexis, che piacere rivederti» «È un piacere anche per me» gli strinsi la mano mentre la figlia mi fulminava con lo sguardo. Immaginavo che Drake fosse davvero stufo di parlare con loro due, infatti tentò di coinvolgerci alla conversazione. «Volete un po' di thè ragazze?» chiese. Rispettando il codice dell'amicizia ci sedemmo a tavola. «È bello che vi siate ritrovate» considerò Taylor. «Già è davvero bello» disse Katy inasprita. Forzai gli zigomi per cercare di accennare come minimo ad un sorriso, ma apparve come una smorfia probabilmente. «Allora, come vai al college?» chiese il padre. «Bene, grazie» forzai nuovamente un sorriso. «Non sarebbe male condividere la casa con una tua amica come Alexis, non trovi tesoro?» chiese dopo aver sorseggiato dal bicchierino di porcellana. «Già. Noi abbiamo condiviso molte cose. Vero Alexis?» chiese inacidita. La fulminai con lo sguardo capendo che alludeva a Jake. «Discutibile» risposi irritata. Taylor mi guardò come se avesse intuito che non scorresse buon sangue. Subito dopo si schiarì la voce. «Si è fatta una certa ora, meglio andare» disse mettendosi in piedi. Strinse le nostre mani e poi Drake accompagnò lui è Katy alla porta. Facemmo qualche esercizio di calcolo, e spiegai a Julie ciò che Jake aveva spiegato a me. Presto sembrò aprirsi un mondo anche per lei. Dopo un po' di ore passate sui libri e una decina di sbadigli, mi addormentai nel mio comodo letto.
Sentii dei baci sulla spalla mentre ero su di un fianco. Non c'era risveglio migliore. «Ehy» sussurrai assonnata. Presto i suoi baci passarono al collo «hai dormito un bel po'» «quanto?» domandai. «È l'ora di cena» «infatti ho fame» constatai. «Strano» scherzò. Mi girai e ci baciammo. Era così bello poterlo fare, l'emozione che sentivo ogni volta era indescrivibile. «Chi c'è di la?» «Tutti.. Sono in terrazzo». Mi alzai in piedi e chiusi la porta a chiave. «Credevo avessi fame» «Prima..» ammisi mettendomi a cavalcioni su di lui. Lo baciai e lentamente alzò il maglioncino e me lo sfilò. Mi spostai i capelli all'indietro e gli tolsi la t-shirt, che andò a finire sul pavimento. Le sue mani mi accarezzarono dalle prime costole ai fianchi. Sfiorai la sua pelle calda, in confronto alla mia che era sempre fresca. Passò un dito dalle labbra in giù. Arrivò dall'incavo delle clavicole alla valle del seno, al ventre e infine all'elastico dei leggings. Quando mi sfiorò gemetti, e presto si mise sopra di me sfilandomeli. Mi baciò lentamente le labbra, e poi il collo. Ansimai mentre lo sentivo tra le mie cosce. Abbassai la zip dei suoi pantaloni, e gemette quando sfiorai i suoi boxer. «Ce li hai?» boccheggiai. Continuai a farlo quando prese un preservativo dalla tasca dei jeans, che presto caddero a terra. Entrò dentro di me mentre continuava a baciarmi ovunque. Dalle labbra alla guancia.. Al collo e al petto. Gridai il suo nome mentre descrivevo cerchi immaginari con i fianchi. «Dio.. Lexie» boccheggiò tra le mie labbra. Sentii quella forte e piacevole sensazione percorrermi il corpo, e affondai le unghie nella sua schiena quando ero al massimo del piacere. Dopo che venne anche lui, si sdraiò accanto a me. Le mie palpebre si fecero presto pesanti, e mi addormentai contro la sua guancia. Sentii il rumore dell'impatto delle gocce nella vasca, e capii che si stava facendo una doccia. Infilai della nuova biancheria e quel maglioncino che era sul pavimento. Immaginai fosse mattina, però quando aprii la finestra vidi in cielo che era ancora buio. Poche persone circolavano in strada, così come le moto e le macchine. Qualche locale era aperto, e illuminava appena la strada con le insegne lampeggianti. Sentii la porta del bagno aprirsi e quando mi girai lo vidi in boxer e un po' bagnato. Si avvicinò da dietro e mi accarezzò le braccia con le dita mentre osservavo il paesaggio al di fuori della finestra. «Ehy» bisbigliò al mio orecchio. Rabbrividii in un istante. «Che ore sono?» domandai mentre mi dava dei morbidi baci sulla guancia. «Le due passate.» Gli presi la mano e me la posai sul ventre accarezzandola. «A che ora hai il test domani?» «Di pomeriggio» rispose. «Non ho sonno, usciamo?» «A quest'ora?» sorrise. «Sì, e poi ho questo languorino persistente» ridacchiai. «Mh, ah si?» chiese divertito. Infilò i jeans e la t-shirt, ed io degli shorts che trovai al volo nell'armadio. «C'è un McDrive sulla Raven» dissi infilandomi una scarpa. «È strano vedere come sei minuta e quanto mangi» ridacchiò. Risi e senza farci sentire uscimmo di casa. Chiusi a chiave la porta e salimmo nella sua auto. Passammo a quel McDrive aperto ventiquattro ore su ventiquattro, e poi gli dissi di guidare verso un edificio. «Cosa c'è qui?» domandò. Presi la busta mentre stuzzicavo patatine fritte e salimmo da una scala esterna fino al terrazzo. C'erano un sacco di stelle.. E nonostante Cheansburg fosse una cittadina odiosa, di notte metteva pace. Ci sedemmo sul largo cornicione del terrazzo. Afferrai il panino, e gli diedi un gran morso sporcandomi di salsa le labbra. Presi un fazzoletto e mi pulii. «Scommetti che faccio centro?» domandai osservando qualche passante. Una cosa di cui non avevo mai avuto paura era l'altezza. Mi affascinava in qualche modo. «Sei davvero una cattiva ragazza». Lanciai il fazzoletto che molto lentamente si avvicinò al suolo. Centrai il cane di un signore piuttosto che lui. Il Labrador iniziò ad agitarsi e il padrone guardò confuso verso l'alto. Scoppiammo a ridere. «Eri tu quello che picchiava la gente per impulso» scherzai mordendo una crocchetta di pollo. Sospirò e continuò a guardare il vuoto di fronte a se. Mi sembrò di aver toccato un tasto dolente. «Ehy..» dissi cercando il suo sguardo. Mi prese le mani e le riscaldò con il fiato. «Sei sempre così fredda» disse sorridendo. «Mi sono fidata di te. Ora fai lo stesso» dissi guardandolo negli occhi. «Cosa vuoi sapere?» domandò. «Perché te ne sei andato da Los Angeles?» Si posò una mia mano sulla gamba e passarono lunghi secondi di silenzio. «... Al liceo, dopo che è morta mamma ho fatto una marea di cazzate. Era un periodo buio e un giorno un tizio vedendomi giocare a football mi propose di fare degli incontri in dei luoghi appartati di L.A e io accettai. Volevo solo sfogare la rabbia in qualche modo.. E quello mi sembrò l'unico. In tre anni ho fatto più di duecento incontri e vincendoli sempre abbiamo guadagnato una montagna di soldi di cui non sapevo che farmene. Era diventata una cosa più grande di me. Questo mafioso era diventato ricco sfondato grazie a tutta la gente che avevo massacrato di botte. Io non avevo bisogno di denaro ma avevo bisogno di farlo.. Mio padre però  scoprì quello che facevo e mi pregò di smetterla.. Ero stanco anch'io e così tagliai, pensando che non necessitassi di prendere a pugni la gente fino a quel punto. Presto però durante una partita di football, mi sentivo così pieno di rabbia che quando un tizio iniziò ad insultare..» si irrigidì e deglutì. «.. Beh quel coglione sapeva bene come provocarmi e insultò mia madre. La rabbia si impossessò di me in un istante, e senza neppure accorgermene mi ritrovai sopra di lui a riempirlo di cazzotti. L'uno dietro l'altro. E nonostante cercassero di fermarmi io continuavo. Finì in ospedale, e mio padre pagò molto per non farmi passare guai. Volevo solo andarmene da Los Angeles il più lontano possibile, dopo che avevo visto come la gente temeva ogni mia reazione» dichiarò. Tutto mi si chiarì. Ogni volta che gli avevo chiesto da dove veniva evadeva e si scocciava. Così come quando gli chiedevo di parlarmi di lui. Lo conoscevo, e sapevo che persona era. Non importava che sbagli avesse fatto perché mi importava solo che persona fantastica avessi accanto in quel momento. Mi posai alla sua spalla. «Ciò che abbiamo fatto in passato non definisce chi siamo» dissi stringendogli la mano. Sorrise e mi baciò la testa. «Mi sono tolto un peso..» ammise sospirando. «Non cambierei mai opinione su di te» citai la sua stessa frase. «Ti amo così tanto» disse incastrando le sue dita alle mie. «Anche io ti amo» sospirai guardando dall'alto la città. Difronte a me vedevo strade, terrazzi e tetti. In lontananza si scorgeva il mare vicino, e il cielo era così limpido da permettere di osservare le milioni di stelle sovrastanti. Toccai il pendente che avevo al collo e pensai che quel silenzio era davvero piacevole. Si sentivano solo i nostri respiri, e il rumore di qualche moto sfrecciare per strada.  «Io giocavo a football.. Tu eri una cheerleader. Saremmo stati una bella coppia anche al liceo» scherzò. «Ti avevo detto di dimenticarlo.» Mi buttai una mano in viso per l'imbarazzo. «Me la fai qualche ruota?» continuò la sua tortura. Gli colpii il braccio e mi attirò a se baciandomi la testa. Quel momento era così perfetto. La mia vita era diventata così perfetta che la mia mente bastarda dovette subito trovare una falla: Izzy Montgomery. Non c'era nessuno, e dico nessuno, che mi annoiasse, che mi disgustasse, ma che soprattutto non volevo vedere più di lei. Eppure quando aveva detto "siamo sorelle" mi lasciò così di spiazzo che il pensiero mi tornava in mente spesso. «Secondo te mentiva Izzy? Quando mi ha detto che siamo sorelle?» chiesi sperando in una risposta affermativa. «Sinceramente.. Mi hai detto che tuo padre tradiva tua madre perciò.. Non lo so. Ma forse dovresti parlarne con lui. Da Izzy meglio starne alla larga» rispose. Beh aveva del tutto ragione. «Dovrei chiamarlo..» bofonchiai. «Se non vuoi non farlo» «devo farlo se voglio essere sicura che non sia vero.. E anche se lo fosse non so davvero cosa significherebbe» «spiegherebbe la sua invidia nei tuoi confronti» affermò. «Perché sto iniziando a pensare che sia vero?» «Domani senti tuo padre, ora non ci pensare.» Mi baciò la testa e inspirando cacciai via quei pensieri. Mi accarezzò il braccio lentamente con le dita. Sorseggiai un po' di Coca Cola e continuai a fissare la più silenziosa e pacifica città del pianeta.

Spazio autrice ❤️

Ciao a tutte ragazze :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, in tal caso mi farebbe sapere cosa pensate nei commenti!

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Storie collegate: Unexpected, Born ti die.

Altre storie: Evil Hunters.

Grazie per aver letto il capitolo!

xoxo, Kat! 

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