18. Siamo le persone giuste al momento sbagliato.
18. Mi sentivo stordita come se mi fossi appena svegliata da un coma di dieci anni. Come se avessi la testa infilata in una morsa, in un tritacarne. Era impossibile riaprire le palpebre senza sentire un fastidioso dolore al centro della fronte, tra le mie sopracciglia. Sulla lingua quel sapore strano, come se avessi fumato, bevuto, fumato e bevuto. Alla fine aprii gli occhi; la mia maglietta era grande e larga. Non era mia. E all'altezza del cuore, al centro del petto, Jake mi dormiva addosso, cingendomi il busto con il braccio. Si era appena mosso, sfiorandomi il seno con l'orecchio e poi - volutamente - la coscia col pollice.
«Ehi», gracchiai. Alzai la coperta, rivelando la sua schiena nuda. Vidi i suoi muscoli guizzare nel tentativo di stringermi con più forza mentre provavo a spingerlo via. «Che ci fai qui?» Mi tirai sui gomiti. Il mio cuore batteva così forte che temetti potesse uscirmi dal petto. Ero terrorizzata da quel che potesse essere successo. Sarebbe stato un vero problema. Sollevò la testa, sfiorandomi tutto lo sterno con il naso. Le nostre gambe erano l'una incastrata all'altra ed era impossibile non sentirlo lì, sulla mia coscia. Indietreggiai ancora un po'. «Buon giorno a te.» «Jake...» «Sì, lo so, scusami. Non l'ho fatto apposta...» Si tirò seduto e afferrò i jeans dal pavimento. Guardai altrove, sentendo le guance scaldarsi rapidamente. Quando si girò, notò quanto ero stordita. Vidi il suo volto incupirsi. «Che ti prende?» Quegli occhioni blu si ingrandirono ancora di più. Sembrava spaventatissimo adesso. Si chinò ad accarezzarmi la guancia e per un attimo avrei detto fosse sul punto di baciarmi. «Dov'è il mio vestito?» Mi spostai verso lo schienale del letto. Alzai il colletto della maglietta e diedi una sbirciatina. Non indossavo neanche il reggiseno... Lo cercai subito sotto al lenzuolo, ma niente. Jake mi guardò perplesso, poi mettendosi in piedi s'infilò nei jeans e chiuse la cinta. Quando volse nuovamente lo sguardo a me, spostai gli occhi dai suoi addominali alle mie noiose ginocchia pallide.
Cercò qualcosa per il pavimento e afferrò da sotto il letto il suo paio di scarpe; sopra una di quelle pendeva il mio reggiseno bianco in merletto. Quando me lo rese, sentii le guance ardere come carboni. «Perché non mi ricordo praticamente niente?» «Perché ieri hai bevuto tanto, troppo.» «Perché?» Jake si strinse nelle spalle. «Non ero abbastanza in me per ricordarmelo.» «Quindi anche tu... tu eri ubriaco?» «Non ricordi proprio niente?» Sgranò gli occhi. Quel 'proprio niente' era stato davvero sentito. Come se per lui fosse un'assurdità non ricordare. «Ehm, sì.» Vidi le sue mascelle stringersi lentamente. «Cosa dovrei ricordare?» Sembrava sul punto di mandarmi al diavolo. Eppure proprio non capivo. Non capivo niente. «Di non bere, ad esempio. Perché ogni volta fai un disastro e... senti, sai che c'è? Vaffanculo, Alexis. Non cercarmi e non venire nella mia camera.» Le mie sopracciglia erano schizzate in alto al 'vaffanculo', ma dopo quel 'Alexis', avevo capito che si trattava di qualcosa di serio. Perché non mi chiamava mai Alexis. Dopo poco i battenti avevano rischiato di cadere giù per la forza con cui aveva sbattuto la porta.
Mi stesi sul materasso, accorgendomi d'avere anche la schiena in pezzi. 'Non cercarmi, non venire.' Cosa avevo fatto di tanto grave per essermi guadagnata un allontanamento forzato? Me ne sarei accorta se avessimo fatto quel che temevo avessimo fatto non appena avevo aperto gli occhi. Mi sentivo esattamente come ieri e, comunque, non avrei mai compiuto un errore del genere. Neanche da ubriaca. Credo. Forse una lite era quel che ci serviva per prendere le distanze. Anche perché era molto più facile odiarlo se litigavamo.
Durante il pranzo riuscii solo a pensare alla mia nausea. La mia testa era un turbine di pensieri e flash confusi di una me fatta di crack mentre Julie e Simon non facevano altro che strofinarsi l'un l'altro e baciarsi, lì davanti ai miei occhi. «Ho la nausea», sbottai. «Ci credo. Ieri ti sei data alla pazza gioia... e criticavi anche l'amichetta passiva-aggressiva. Che ipocrita», ghignò Simon. «Però sei stata divertente.» Assottigliai lo sguardo in due fessure. «Chiudi la bocca, va bene? Ho un vuoto. Non ho bisogno di sentire la tua voce fastidiosa...» «Non ti ricordi niente?» «No, che ho fatto?» Julie trasse un sospiro profondo. «Non siamo state quasi mai insieme...» Quell'amnesia era più frustrante ogni secondo che passava. Ricordavo solo i primi minuti della festa; la musica alta, i primi shot, qualche ballo scatenato. Poi niente. «Ma?» «Chiedi a Jake.» «Ce l'ha con me», dissi. Simon strozzò una risata. «Bella questa. Come se davvero Jake potesse avercela mai con te. Siete così noiosi voi due...» «Mi ha mandato a fanculo stamattina, senza motivo.» «C'è sempre un motivo.» «Lo so, ma...» Quando la porta della mensa si aprì, risuonò lo sghignazzare di Kurt. Dopo di lui entrò Steve e dopo ancora, vidi Jake varcare la soglia della porta. Spense la sigaretta, ridendo di qualcosa. Poi li vidi avvicinarsi alla fila. Jake aveva il solito berretto con la visiera al contrario sulla testa, la solita maglietta a mezze maniche d'inverno. Kurt si girò verso il nostro tavolo, forse accorgendosi che li stavo puntando e allora distolsi lo sguardo. «Che c'è? Hai visto qualcosa che ti piace e ti sei distratta?» disse Simon impertinente. Gli pestai la punta del piede col tacco dello stivale. «Basta, non sei più divertente.» «Che male, accidenti... comunque io sono sempre divertente.»
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Amami nonostante tutto
RomanceUn college con un buon programma in medicina sembra un'ottima occasione per Alexis. Qui alla Kingstom University della Florida è lontana dagli orrori che riviveva ogni giorno nel suo vecchio appartamento dell'Upper East Side. Un fondo fiduciario da...