6. A drop in the ocean

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6. Una Goccia Nell'Oceano.

Le sue labbra sfiorarono le mie, in un modo così delicato da risultare impercettibile. Chiusi gli occhi.

«Lex?» mormorò Julie, dandomi una gomitata sul braccio. Ebbi un sobbalzo. Dio, che sogno. Tornai a fissare il professore che parlava di qualcosa circa le creste dei mitocondri. «Sognavi?» Mi morsi forte il labbro. «Cosa? No.» Lei mi guardò con l'aria di chi la sa lunga. La ignorai e continuai a disegnare paesaggi impensabili sul mio diario, fingendo di prendere appunti. Avevo sognato di essere baciata da Jake... e accidenti, quanto era sembrato piacevole nella mia testa. La lezione era appena cominciata ed io già ronfavo come un ghiro. La Shepard aveva appena terminato la spiegazione quando delegò ad uno studente bassino, seduto in prima fila, di andarle a prendere un caffè alla macchinetta. Julie approfittò di quell'attimo per torturarmi un altro po'. «Mi spieghi cosa hai fatto ieri mattina? Perché non sei venuta a lezione e perché sei scappata dalla festa?» «Te l'ho già detto... La caviglia.» «Sì, capisco. Ma non credo che tu sia andata a piedi, con una caviglia slogata, fino all'ambulatorio.» «Mi ha accompagnata lui. Ma non cominciare, perché va a finire che smetto di parlarti se appena Mr Arroganza entra in un discorso, ti esalti come un'idiota.» Julie strabuzzò gli occhi. «Uau, ma allora gli piaci!» Come non detto. «Anche se fosse a me non piace lui!» In quell'esatto istante la campanella suonò dal corridoio, indicando il termine dei cinquanta minuti. La Shepard spense la lavagna multimediale e ci indicò le pagine da studiare per la lezione successiva. «Mi raccomando, non rimanete indietro con il programma. Studiate un po' alla volta! A Lunedì.» Tutti a quel punto andarono verso la porta dell'aula. Julie era davanti a me, accelerai il passo per raggiungerla ma subito una spalla urtò forte la mia. Okay, non ero la persona più coordinata e delicata del mondo. Non c'era dubbio, quel profumo era Chanel n° 5, il sogno di qualunque ragazza. Appesa al suo braccio la borsa dell'ultimo modello di Prada e be', il resto di un semplice Forever 21. Nel complesso quello era un vestiario che vedevo indossare dalle modelle durante una sfilata. Boccoli biondo ossigenato, occhi di un colore molto chiaro ma indefinibile e marcati da due spesse linee nere. «Sta' attenta», gracchiò la ragazza dal volto famigliare. Ma certo! Era una di quelle cheerleader che durante i pasti sedeva al tavolo dei ragazzi più appetibili e con le mani giocava tra le loro gambe. Mi disgustavano le ragazze come lei. «Sta' tu attenta.» Lei assottigliò lo sguardo in due piccole e maligne fessure. Mantenni l'espressione più severa che riuscii quando lei mosse un passo verso di me, continuando a fissarmi nelle pupille in cagnesco. «Quando dico "sta' attenta", non intendo solo a guardare dove metti i piedi, ma anche a non toccare ciò che non ti appartiene.» Quella frase suonò come una minaccia. «Ti ricordo che sei una matricola, stai al tuo posto.» Gettò benzina sul fuoco. «Sarò una matricola che ti potrebbe fare del male, a te e alla tua borsa di Prada.» Quando era sul punto di sfiorare con la punta del suo naso quella del mio, Julie venne a placare l'incendio appena scoppiato. «Scherzava! Scherzava... Andiamo adesso.» Mi afferrò il gomito e trascinò in corridoio. «Stava appena iniziando a farsi divertente.» La mia amica mi guardò con aria rimproverevole. «Ti dispiacerebbe comportarti da persona normale e non rischiare di dar via ad una rissa ogni giorno?» Sbuffai. Julie aveva ragione. Ero qui da poco e già avevo fatto incazzare una marea di gente. Riprendemmo a camminare verso l'uscita principale del Grace. «Ma l'hai vista? Andiamo...» «Ho visto te. Eri incazzata come Tyson sul ring. Si può sapere cosa ti abbia detto?» «Che in quanto matricola non dovrei rubarle il suo amato capitano della squadra di football, come se volessi rubarglielo!» Emisi una risata che esprimeva tutta la mia incredulità. Julie mi rivolse lo stesso sguardo di prima e sorrise come lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie. «Vedi, non sono l'unica a credere che voi flirtiate», ammiccò. Non potei fare a meno di roteare gli occhi al cielo. Ero sempre più convinta che le amiche donne erano mosche da eliminare con una racchetta insetticida. Chissà cos'avrebbe detto se avesse saputo che Jake mi aveva invitata ad uscire. «Anche se devo ammettere che Thomas è più adatto a te. Sembra un'asociale. Al contrario Jake è Mister Popolarità e quindi... Io sarei perfetta per lui», disse con un sospiro languido. «Bene! Allora fa una cosa: alla prossima festa provaci con lui, sposatevi e finalmente me ne libererò.» Julie stralunò le palpebre. «Che idea! Batti il cinque!» Aveva la stessa espressione che io assumevo quando risolvevo un problema di matematica. Alzai la mano per incontrare il suo palmo. «Quindi se dovessi finire nel suo letto non ti seccherebbe?» «Mi seccherebbe perché penso che tu meriti molto di più... Ma non mi importa di Jake in quel senso. Anche se è molto gentile con me, alle volte.» Inarcò un sopracciglio. «Gentile?» Mi strinsi nelle spalle; forse quel commento avrei dovuto tenerlo per me. Per fortuna quando giungemmo fuori si sentiva nell'aria il tipico odore della pioggia. Qualche goccia mi colpì il capo, dandomi un diversivo. «Piove!» Julie sbuffò. «Ed io che volevo andare al mare domani!» Avvinghiai il mio braccio al suo, guardai un attimo il cielo coperto dalle nuvole e poi, rapida come una saetta, corsi verso il Pringhall. Julie mi gridò di rallentare: «Ehi, piano!» Io ridendo continuai a trascinarla sotto alla pioggia che cadeva sempre più fitte a terra. Rischiammo di scivolare sulla ghiaia e più di una volta temetti di finire con l'osso del collo in mille pezzi. Quando finalmente arrivammo all'ingresso, la mia borsa piena di libri era infradiciata, così come i capelli e la t-shirt. Julie si diede una riavviata alla chioma splendente, rischiando di far sentire male qualche studente passante di lì. Sapevo di piacere anche io e di avere i miei punti di forza, ma a volte Julie me lo faceva dimenticare. Ci pulimmo le suole sullo zerbino e poi continuando a gocciolare tornammo nel corridoio del piano di sopra. «Quanti giorni mancano nella sua camera?» «Uh, non so. Ho perso il conto...» «Non è che zitta zitta, in realtà ti sta bene?» insinuò con aria furba. «Cosa, no! Vado a farmi una doccia... I miei vestiti sono di là.» Julie aprì la porta della sua stanza, con in volto ancora la stessa espressione. «Bene. Tieni acceso il cellulare così rimaniamo in contatto. Mi manca averti nella mia stanza.» «Ma se siamo state insieme solo, quante... Due notti?» Julie rise. «Mi manca lo stesso, stupida. A dopo.» La sentii canticchiare da dentro alla camera un pezzo di Bruno Mars. Diedi qualche colpo alla porta della camera numero diciannove. Passò solo un attimo, poi si spalancò. Jake indossava una camicia allentata per i primi tre bottoni e un sorriso malizioso. «Alle volte mi basta guardare una ragazza e lei magicamente si bagna.» Mi percorsi con lo sguardo dall'alto al basso; ero così zuppa da sentirmi nuda. Entrando gli diedi una forte spallata. «Devo farmi una doccia.» «Okay, andiamo.» «Da sola, idiota.» Recuperai un paio di shorts, le mie bellissime ciabatte, una canottierina, la mia infinità di creme, il balsamo, lo shampoo e la lozione per il corpo alla fragola. Era venerdì, non potevo quasi crederci. Mancavano poche notti e finalmente me ne sarei andata dalla camera degli incubi. Okay, non potevo essere così severa. Avevo riso, mangiato... Era stata un'esperienza, e tutto ciò che è un'esperienza serve in fin dei conti. «Se entri mentre faccio la doccia ti uccido. Non nel senso metaforico. Prendo il rasoio con cui ti fai la barba e te lo pianto nel collo», preannunciai. Chiusi la porta del bagno e mi svestii. «Non lo farei, a meno che non ne abbia una ragione valida.» «Però l'hai fatto una volta.» «Eri dietro una tendina... Non legartela al dito.» Incastrai la sedia sotto alla maniglia della porta. Appoggiai i miei vestiti sul termosifone affinché si asciugassero e poi mi esposi al getto tiepido dell'acqua. Le mie orecchie udirono qualcosa di molto simile ad un pezzo di Eminem. Girai la manovella per sentire meglio. Era 'Cleanin' out my closet'. Quando spostai la tendina ed uscii dalla doccia mi accorsi che mi ero dimenticata di prendere la biancheria. Ripresi in considerazione l'idea di scavare un passaggio sotterraneo da qui alla mia camera. «Jake.» La musica era troppo alta perché mi sentisse. «Jake!» Il volume si abbassò e dei passi si avvicinarono alla porta. «Boccoli d'oro, dimmi tutto.» «Hai un altro accappatoio?» Mi sentii un po' a disagio per averlo chiesto. «Metti il mio.» «Il tuo?» «Sì, a meno che tu non voglia uscire nuda.» Sentii le guance ardere. «Va bene, torna a fare qualsiasi cosa tu stessi facendo.» Afferrai l'accappatoio blu appeso accanto al box della doccia e lo indossai. Oh Dio, che profumo... Per poco non svenni. Spostai la sedia da davanti alla porta, girai la chiave nella serratura e gocciolando tornai in stanza. Jake mirava il canestro difronte al suo letto con il pallone da basket che aveva tra le mani, mentre canticchiava. Lo centrò. Il suo sguardo ricadde subito su di me, come se fossi una calamita e i suoi occhi due magneti. Mi venne da chiedergli cosa avesse da guardare ma lasciai perdere ed infilai le mani in borsa alla ricerca disperata di un reggiseno e delle mutandine. Stavo per tirare entrambi fuori come se nulla fosse ma poi issai la borsa e mi richiusi in bagno. Usai il phon per i capelli e mi infilai i vestiti. Sul lavandino c'era un dentifricio, i nostri due spazzolini, la schiuma da barba e una saponetta. Mi guardai allo specchio difronte. Legai i capelli castani in una coda prima di tornare di là. Jake adesso guardava la tv, steso a pancia in su e con le braccia incrociate dietro alla nuca. Mi buttai sul letto e abbracciai il cuscino fresco. Osservai il suo profilo bellissimo e poi il petto lasciato nudo dalla camicia. Avevo sognato che mi baciasse, forse lo volevo. O forse credevo di volerlo. Non fece qualche battuta sul fatto che lo fissassi, non mi fece pesare il fatto che non avessi le forze per smettere di farlo. Quella giornata scolastica mi aveva sfinita ed era solo il primo venerdì dell'anno. Dopo poco chiusi gli occhi. L'aria condizionata mi stava facendo rabbrividire quando un tessuto caldo e pesante mi si posò addosso. Arricciai le dita dei piedi e avvicinai le ginocchia al petto. Al mio risveglio la camera era buia e fuori era smesso di piovere. Un bellissimo arcobaleno percorreva il cielo squarciandolo con una moltitudine di colori accesi. Il sole stava tramontando e in stanza non si sentiva nessun rumore meno che il verso delle cicale. Volevo tanto un abbraccio con un caffè e dei biscotti. Afferrai il cellulare dal comodino.

Amami nonostante tuttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora