33. Apri gli occhi.
«No.. Non esiste. Non ti lascerò andare in Florida. Frequenterai la stessa università che ho frequentato io, qui vicino. Harvard è la scelta migliore » disse mio padre con tono autorevole, categoricamente e in quel modo freddo e distaccato, che solo lui sapeva trasmettere. «Ma..
Papà» cercai di oppormi. «Nessun "ma"» scosse la testa «la decisione è presa.» «Tu, l'hai presa» lo corressi alzandomi in piedi. «Sono tuo padre, e ho deciso così. Sono anche colui che ti pagherà il college, perciò, questo sarà ciò che accadrà.» Deglutii e fissai un punto a caso, non volevo stare alle sue decisioni. Volevo prendere una scelta mia, scegliere un college che piacesse a me. Volevo andarmene via, senza nulla di tutto questo. Uscii di casa, sbattendo la porta ed infilando le cuffiette. «Niente da fare» dissi alle mie due amiche, mentre eravamo in una telefonata a tre. Era impressionante quanto fossimo simili, quanto ci raccontassimo tutto senza che passasse un secondo. Ogni aggiornamento, ogni novità. «Cederà, ne sono sicura» disse Izzy. La mia migliore amica, una che credevo non mi avrebbe mai abbandonata. «Domani scade il tempo..» le ricordai io. «Ma tuo padre è Richard Bristol, chiunque vorrebbe la figlia nel proprio college» disse Julie. Sorrisi e continuai a camminare per i marciapiedi affollati di Manhattan. Per fortuna l'Upper East Side, era una zona pulita, e tranquilla. La classica zona di ricchi.. Dove tutti indossano abiti firmati e girano con auto di lusso. Mi ritrovavo spesso a evadere, passando il tempo al di là del ponte di Brooklyn con i miei amici. Passare il tempo lì però, a volte mi faceva sentire la mancanza di Drake. Era la persona più divertente che avessi mai conosciuto, poi si era trasferito ad Orlando. La Kingstom era la mia ultima chance. Era l'unico college prestigioso è buono che si trovasse lontano da New York City, e dove speravo che il mio cognome fosse stato meno conosciuto. Volevo solo guadagnarmi le cose da me, senza che la gente si aspettasse qualcosa solo perché ero la figlia di Richard Bristol. «Mi ricordate perché abbiamo scelto quel college?» chiese Izzy. «Perché è vicino a Miami.. Dove ci sono un sacco di bei ragazzi» commentò Julie. Risi e continuai a passeggiare. «Perché è un buon college.. Noi siamo brave e.. Spero di venire con voi» sospirai. «Ti ricordo che siamo state ammesse anche ad Harvard.. E non sarebbe male andarci» disse Julie. «So che sarebbe molto meglio.. Che è un college di altissimo livello.. Ma Dio. Boston? Possiamo puntare più in alto» rispose Izzy suscitandomi una risata. «Mio padre è stato chiaro. Andrò ad Harvard..» «Allora verremo con te.» «Sì, verremo con te.» «Voglio che facciate ciò che pensiate sia meglio per voi stesse.. Non voglio che prendiate una decisione così..» Julie mi interruppe subito. «Non puoi convincere tuo padre? Insomma la Florida è il nostro sogno... Le spiagge, i ragazzi.. E poi insomma! Sei figlia di un genio del genere.. Tu Alexis Bristol, sarai sempre un genio.. Ad Harvard.. Agli Yale.. Alla Brown... Alla Kingstom..» «Sì è chiaro Julie» la interruppe Izzy particolarmente seccata. «Grazie Julie.. Vi aggiorno tra un po'.» Chiusi la chiamata, ed osservai come il tempo fosse cambiato.. Non c'era più nessuno in strada. Era deserta.. E iniziò a piovere. Il vento si alzò in fretta, e iniziai a spaventarmi per la strana situazione. Il cielo era inspiegabilmente grigio, e mi strofinai le mani sulle braccia.
«Hai bisogno di un ombrello?» sentii un suono gradevole alle mie spalle, e mi girai un po' tremolante subito dopo. Rimasi senza fiato.. Mi sembrò di osservare il mare all'interno degli occhi di quel ragazzo. «Emh.. » tentai di ricordarmi cosa avesse detto, poiché ero stata troppo distratta dal suo fascino. «Hai bisogno di un ombrello?» ripetè accennando ad un sorriso. Vidi nascergli una splendida fossetta sulla guancia e mi persi nuovamente a fissarlo sorridere. Si stranì e si accigliò, ero davvero stupida. Vuoi rispondere razza di testa vuota? «Emh, scusami, io.. Non lo so.» La gente gentile mi metteva piuttosto a disagio, finivo per blaterare cose senza senso, iniziando ad agitarmi. Avevo atteggiamenti abbastanza insoliti. Con la gente sgarbata iniziavo a ringhiare senza freni, mentre.. Di qualcosa! Aprii bocca ma mi interruppe prima che potessi parlare. «Non lo sai?» sorrise abbastanza divertito dal mio atteggiamento. «Volevo dire sì, ma immagino ti serva perciò perché me lo stai chiedendo?» connessi i neuroni. «Possiamo sempre stare sotto lo stesso ombrello. Dove sei diretta?» domandò. Mi guardai intorno. «Credo di essermi persa..» mi girai e cercai un punto di riferimento. «Dove devi andare?» «Abito di fronte alla Gensuard.. La conosci?» domandai. Si avvicinò, coprendomi con il suo ombrello. «Andiamo, è di là» fece un cenno con lo sguardo. Iniziai a camminare al riparo. «Vai lì?» chiese lui, mentre mi accorsi di uno straordinario profumo, che per poco non mi fece venire voglia di chiudere gli occhi e abbandonarmici completamente. «Dove?» non capivo di cosa stesse parlando. «Alla Gensuard» rise appena, poiché probabilmente mi trovava una sciocca. «Ah.. No.. Io non vado al college.. L'anno prossimo andrò..» «Aspetta. Indovino. Yale?» Scossi la testa. «Harvard?» Annuii. «Uh.. Sono fortunato allora» gli si formò uno splendido sorriso, che non potei non ammirare. «Mi ci sto trasferendo» affermò. Mentirei se dicessi che non mi si accese un pizzico di entusiasmo. Era.. Bello da togliere il fiato. Il fisico perfetto e muscoloso, e gli occhi non sembravano quasi reali per quanto erano meravigliosi. Sorrisi spontaneamente. «Qual è il tuo nome?» chiese subito dopo. «Alexis» porsi la mano. «È un piacere Lexie» me la strinse e sorrisi. Mi accigliai.. Avevo sbagliato a parlare o aveva sentito male? Alexis, non Lexie. A volte mi ci chiamavano, ma non sapevo perché. Notò la mia corrugazione. «Ho sentito. Ma ti si addice di più Lexie» mi strizzò l'occhio, e probabilmente arrossii. «E qual è il tuo nome?» chiesi mentre mi guidava per la strada di casa. «Jake» sorrise leggermente. Attraversammo la strada, e mi sentivo inspiegabilmente agitata. Il cuore batteva fortissimo nel petto, probabilmente perché eravamo davvero vicini, e lui era.. Wow. Mi resi conto che lo stavo guardando quando notai un sorriso nascergli in volto. «Puoi guardare tranquilla» ridacchiò. Avvampai e persi lo sguardo altrove. «Io.. » non avevo idea di che balla farmi venire in mente. «Tu?» chiese beffardo. «Niente. Scusa» scossi la testa, probabilmente più rossa di un peperone. «Perché chiedi scusa anche se non fai nulla di male?» domandò facendo un passo sul marciapiede. Sentivo il braccio sinistro inondato dalle gocce, ed in men che non si dica mi ritrovai il suo braccio avvinghiato al mio. Mi teneva stretta, e finalmente ero completamente al riparo. Il tocco mi si irradiò su tutto il corpo, facendomi aumentare il batticuore. Sorrise in mia direzione. «Non vorrei che ti ammalassi» affermò a pochi centimetri dal mio volto. «Grazie» risposi timidamente. «È proprio una fortuna che andremo nello stesso college. Potrò vedere di nuovo i tuoi occhi.» Mi imbarazzai tantissimo, e distolsi lo sguardo verso il basso. Riconobbi la strada di casa. «È qui?» domandò. «Sì, e qui vicino.. Grazie, posso proseguire a piedi. Già ti avrò rubato troppo tempo» abbassai lo sguardo e cercai di divincolarmi dalla sua stretta. «No, è troppo poco tempo» affermò. Corrugai la fronte. «Che vuoi dire?» domandai accigliata. «Non mi basta, mi serve più tempo Lexie.» Mi slacciai da lui. «Devo tornare a casa» quando mi spostai sentii le gocce scendermi addosso, e iniziò a tuonare. «Lexie.. Ascoltami. Torna da me» continuò. «Cosa?» chiesi io. «Torna da me.» Mi diressi a passi spediti verso casa e mi girai per vedere se fosse dietro di me. Ma non c'era più nessuno. Entrai in soggiorno, un po' stranita da cosa era appena successo. Mio padre era in piedi difronte ai miei occhi. Mi afferrò le braccia, con entrambe le mani. «Tesoro..» mi accarezzò il viso. «Papà.. Ho capito. Andrò ad Harvard, va bene.» Mi guardò preoccupato, come l'avevo visto solo poche volte. «Che succede?» domandai accigliata. «Avrei dovuto proteggerti.. Mi dispiace.» «È tutto okay papà..» risposi io un po' confusa. Mi liberai dalla sua stretta e Jessy mi strinse forte la mano non appena mi vide nel corridoio. «Tutto okay? È successo qualcosa?» domandai guardando prima l'uno e poi l'altro. Evitarono entrambi il mio sguardo è subito dopo sentii un lancinante dolore alla testa. Aggrottai subito le sopracciglia e mi sentii terribilmente debole. Chiusi gli occhi e mi persi totalmente, nello spazio.. Nel tempo. Non sapevo dove fossi, cosa fosse reale oppure no. Tante voci indistinte entravano nella mia testa.. Sentii singhiozzare forse, delle voci sofferenti, e qualcosa a contatto con la mia mano. Le palpebre erano ancora troppo pesanti per essere aperte. Le chiacchiere erano indistinte, e mi infastidivano ancora di più. «Beh, perché non avete assistito alle sue esibizioni sul campo da football, è una cheerleader fantastica..» Mossi le palpebre. «Avevo detto che non volevo più sentirne parlare..» sussurrai, pensando che probabilmente non mi avessero sentita. «Ha rovesciato una bottiglia d'acqua addosso a Marcus Holmes durante l'ora di fisica.. Dio ti ricordi Drake? Con quella strega di professor..» Quella voce venne interrotta presto. «Zitti un attimo.» Solo allora mi accorsi che qualcuno mi teneva la mano. «Che c'è?» chiese qualcuno. Fu in quel momento che riconobbi la sua voce. «Sogno ad occhi aperti.. Meglio vada a farmi un caffè» sforzai le palpebre, ma non si decidevano a muoversi. Volevo reagire, e far vedere che stavo bene ma.. Non riuscivo. La mano si sfilò dalla mia, e presto sentii dei passi allontanarsi. Sollevai di pochi millimetri le palpebre, che presto si chiusero nuovamente. Non ero riuscita a far capire loro che ero lì, che ero sveglia. E proprio ora dovevano uscire dalla camera? Ero totalmente stordita e debole, che non ricordo neppure cosa fosse successo dopo. Avevo paura di tornare nell'oblio prima che potessero vedermi sveglia. Mi ritrovai una luce puntata contro la pupilla. «C'è reazione..» era una voce sconosciuta. «Togli immediatamente quel coso» bofonchiai con un filo di voce. Sentii un immenso sospiro di sollievo. «Oh.. Tesoro, sa dirmi il suo nome e cognome?» «Alexis Cecilie Bristol» mormorai. Finalmente le palpebre si tennero aperte per un arco di tempo che mi permise di osservare il luogo in cui mi trovassi. Una stanza bianca con mobili blu. C'erano due medici con me, nella camera. «Non ho idea di cosa stia succedendo..» confessai ancora indebolita. «Tre giorni fa è stata coinvolta in un incidente.. Le sarebbe potuto essere fatale ma.. È andata bene. È rimasta in uno stato di incoscienza superficiale per tre giorni. E a quanto pare la memoria è illesa. È stata sottoposta ad un intervento d'urgenza quando è stata portata qui..» «Il camion..» mi ricordai e mi misi seduta sul lettino. «Faccia piano» intervenne l'altro medico sorreggendomi, ma io osservai la sua mano per intimargli di toglierla subito. Deglutì e la spostò immediatamente. «Tre giorni? Ho tante domande io.. Non capisco» ero davvero confusa da tutto. «Ho sentito la voce dei miei amici.. Come è possibile?» «Ci hanno fatto davvero dannare. Non c'è stato un solo secondo in cui si trovava con meno di dieci persone diverse nella stanza.. Non ho mai visto niente del genere» affermò sorridente. Sentii la porta aprirsi, e in un lampo incrociando due fanali blu come il mare, mi ritrovai stretta tra le sue braccia. Dio quanto mi era mancata quella sensazione. Sentii le lacrime accumularsi agli occhi quando mi prese il viso tra le mani. «Stai bene? Sta bene?» ansimò seduto sul lettino. «Sì.. Sta benissimo. Abbiamo ancora da parlare ma.. Solo due minuti» uscirono dalla porta. Mi baciò a stampo un milione di volte. «Ho sognato questo momento tantissime volte negli ultimi giorni.. È reale vero?» «Sì» strinsi le braccia al suo collo, e mi abbracciò con tanta forza. «Non permetterò che ti accada più nulla, perdonami. Avrei dovuto proteggerti mi dispiace.. È solo colpa mia. Non sai quanto sia felice in questo momento, non puoi capire quanta paura ho avuto di perderti. Non ho mai provato niente di simile in tutta la mia vita. Faremo ciò che vuoi.. Se vuoi ce ne andremo da questo cazzo di posto e ti giuro che non ti farò mai più soffrire, né ti nasconderò niente. Avrai tutto ciò che vuoi, tutto ciò che meriti. Voglio svegliarmi con te, voglio addormentarmi con te, voglio vivere tutta la mia vita con te. Okay?» prese fiato e mi guardò negli occhi. Le lacrime si accumularono agli occhi e appoggiai la mia fronte alla sua. «Lo voglio anche io. Non è colpa tua. È solo colpa mia.. Tutto è per colpa mia, mi dispiace davvero. Ti amo così tanto che..» mi asciugò le lacrime. «Non so perché sto piangendo.. Sono solo felice credo» singhiozzai. Mi prese le guance tra le mani. «Non sai nemmeno quanta gente ci sia la fuori.. Solo perché sei straordinaria» rise appena e mi baciò la fronte circondandomi il collo con il braccio. Pensai ai tubi che avevo attaccati agli avambracci, e non vedevo l'ora che me li togliessero. «Scusa.. Sono un'incosciente ed irresponsabile. Sono.. Mi dispiace.» «L'importante è che stai bene.. Dio c'è persino Evans di la.. Che non faceva altro che cercare di consolarmi e psicanalizzarmi..» scoppiammo a ridere. «Li vado a chiamare, stanno tutti in ansia» si alzò in piedi ed io annuii. Vidi veramente una folla di gente accalcata all'entrata, e non potei evitare di sorridere. Jonas, Jessy, papà, persino Alex, Julie, Simon, Travis, Jeremy, Charlotte, Joe, Evans e il rettore Jinn, Pola, Drake, Arizona, Annabelle, Cass, Andrew, Bill, Matt, Katy. Papà mi strinse in un forte abbraccio, e piansi nuovamente. Sentii la maglietta che indossavo bagnarsi delle sue lacrime. Mi accarezzò la testa e non potei essere più felice di così. Avevo tutte le persone che per me contavano in quella stanza. «Tesoro.. Quanto spavento.» «Tocca a me» disse Jonas. Lo abbracciai forte, il mio amato fratellino. Apparve quello un po' meno amato, ma mi stupii quando mi abbracciò con forza. «Ben tornata tra noi» sussurrò al mio orecchio. Sorrisi e salutai un po' dei presenti. Annabelle per poco non mi uccideva, Cass mi mangiò la guancia di baci, Simon mi strinse più forte di quanto pensassi avrebbe fatto. Vidi che aveva gli occhi lucidi quando mi si avvicinò. «Non farci più prendere questi colpi» mormorò al mio orecchio. «Farò del mio meglio» risposi sorridendo. Arrivò il turno di Julie, che senza pensarci mi strinse forte. Avevamo litigato, ma io stavo quasi per morire e non importava più. Pianse come una fontana, e chiese scusa al mio orecchio almeno cento volte. Ero felice, non importava del resto. Abbracciai forte anche Katy, anche se non avrei più pensato che l'avrei mai potuto rifare. Era davvero felice che stessi bene, come tutti i presenti che strinsi forte. Erano davvero troppi! È stato un po' imbarazzante quando Evans accompagnato dalle sue strane maniere mi circondò con le sue braccia. «La mia migliore allieva» disse dandomi una pacca sulla schiena. Era al quanto insolito ma era un bravo professore, spontaneo e soprattutto umano. Io e Jake ci guardammo straniti e anche abbastanza divertiti quando mi ritrovai col mento sulla spalla del mio professore. Il rettore fece lo stesso, poiché lui era grande amico di papà. «Raccomandata» mimò Simon senza voce in mia direzione. «Vaffanculo» feci lo stesso. Sorrise e presto strinsi il più piccolo dei McCall con tanta forza, e lui fece lo stesso. Era davvero provato, glielo leggevo in viso. Dopo un po' i due medici rientrarono in camera, e chiesero a tutti di uscire, ma papà rimase dentro. «.. Allora, già ti hanno stancata immagino» disse lei, mentre il dottore si avvicinò nuovamente al mio braccio. «Tranquilla.. Ti scollego» disse sorridendo. Risi e annuii. La sua faccia non prometteva nulla di buono. «Allora? Cosa c'è?» ansimai. Si posò quel taccuino sul ventre, e sembrava stesse per annunciare a qualcosa di grosso. «..Posso darti del tu?» Annuii impaziente, per liquidare i convenevoli. «Ti abbiamo diagnosticato delle aritmie» annunciò, ed io sospirai sollevata. «La sua faccia diceva "stai per morire", non "prendi qualche pasticca per l'ansia"» dissi seccatamente. Rise appena per la mia affermazione. «Vedi.. Le aritmie come tu ben già saprai, sono causate da ansia, e da disturbi di tipo psicologico» mi ricordò sedendosi nel lettino. Annuii ad occhi bassi. Lei guardò prima papà e poi me. «Oltre alle pasticche.. Si potrebbe andare un po' più a fondo a questo punto. Non trovi?» domandò trasmettendomi una premura che non avevo mai ricevuto. Sospirai ed annuii. Sorrise e posò una mano sulla mia. «Bene. Mi avevano detto che avevi un bel caratterino e temevo la tua reazione» confessò. Incolpai papà con lo sguardo, che sorrise alzando le mani. «Ora.. Rimani qui in osservazione per qualche giorno.. È vedrai che la cicatrice già sarà sparita quando te ne andrai..» mi rassicurò. «Mi dite che è successo in questi tre giorni? Perché l'ultimo ricordo che ho è di un camion che mi viene addosso.. Non mi ha schiacciata vero? Mi sembra di essermi cappottata..» cercai di ricordare. «L'autista del camion andava contro mano, era sobrio, ma deve aver fatto qualche manovra sbagliata.. Se non sbaglio» disse rivolta a papà «e sì. Per fortuna ti ha schivata, facendo cappottare l'auto. È sceso, ha chiamato polizia e ambulanza e si è preso le sue responsabilità. È stato trattenuto, e stanno indagando sulle cause dell'incidente ma quello che posso dirti io come tuo medico è che sei arrivata qui in condizioni molto gravi. Abbiamo estratto una considerevole lastra di vetro dal quinto spazio intercostale, e per fortuna non aveva perforato a fondo il polmone, ma aveva scheggiato il cuore. Inoltre il forte impatto dell'incidente ti aveva condotta in uno stato di incoscienza piuttosto superficiale. Un leggero coma. Abbiamo risolto tutto in sala operatoria e ora signorina.. Antibiotici per prevenire le infezioni, e come ho già detto da qui, per almeno tre giorni non esce. Starai benissimo, e sarà solo un brutto ricordo, va bene?» «Qual è il tuo nome?» domandai schietta, come se non l'avessi ascoltata per tutto il tempo. Risero tutti un po' «Addison Young.» «Due?» «Due cosa?» domandò. «Due giorni?» chiesi speranzosa. Ridacchiò e si alzò in piedi. «Non è in trattativa..» affermò. «Ma io sono un'ottima paziente, se non che una bravissima ragazza. Vero papà?» Lui sorridendo mi accarezzò la testa. Vidi i suoi occhi blu sbrilluccicare. «Già» disse con voce strozzata. Mio padre uscì dalla stanza in modo che loro avrebbero potuto aiutarmi a rimettermi in sesto e fare tutti i dovuti controlli. Stavo bene, più di quanto pensassero potessi stare. Mi feci una lunga doccia, e indossai nuove cose. Mi chiesi chi si fosse preso cura di me per quei tre giorni, sentivo la menta tra i denti e profumavo di bagno schiuma alla fragola. Anche i capelli erano perfettamente puliti e pettinati. Tornai di la. «Che c'è papà?» domandai accigliata rimettendomi sotto alle lenzuola. Trascinò una sedia al lettino, e ci si sedette. «Vorrei essere forte come te a volte.» Sorrisi e rimasi in silenzio. «Perché.. Mamma, è venuta a trovarmi?» Pronunciai la parola "mamma" con disgusto e repulsione. «Niente che importi, sta tranquilla. Tua madre rimarrà nel tuo passato.» Annuii e me ne convinsi. «Sono lieto che tu abbia trovato la felicità. E devo ammettere che l'hai trovata con una persona in gamba.. Jinn mi ha detto che è parecchio bravo, forse anche più di me alla sua età. Per non parlare di come non ti ha lasciata un attimo per tre giorni di fila..» Sorrisi «scommetto che Jessy gli avrà raccontato di come le avevo pitturato tutto le lenzuola da piccole mentre dormiva.. E di come usavo le sue barbie come boomerang..» Rise ad annuì con mio dispiacere. Notai che le rughe gli si formavano sulla punta dell'occhio. Il tempo stava passando, e il papà che un tempo era l'affascinante chirurgo da ammaliare ogni mamma all'asilo, ed ogni amica delle superiori, stava lentamente invecchiando. Era strano, di come il tempo girava senza freni, una giostra dalla quale non si può scendere. «Hai ripreso il lavoro?» domandai. Scosse la testa «no.. Non credo lo farò» sorrise forzatamente. «Che vuol dire? Insomma il tuo lavoro... Tu non vivi senza il tuo lavoro papà. Non puoi non tornare a fare il chirurgo.. É la tua vita» mi preoccupai parecchio per la risposta che mi aveva dato. Se c'era una cosa di cui ero sicura era proprio che Richard Bristol non avrebbe mai smesso di fare il chirurgo senza una valida ragione. «Era... la mia vita» mi accarezzò i capelli, e sospirai profondamente turbata. «Izzy?» chiedevo aggiornamento su ogni cosa. Pronunciare il suo nome mi era indifferente. «Si trova in istituto psichiatrico, scusa se te lo dico così ma.. Ci sono state cose che mi hanno fatto pensare alla sua condizione e.. Lo psichiatra ha trovato giusto ricoverarla lì, non so per quanto.» «Va bene..» «La mia bambina.. Ormai sei cresciuta.. Mi ricordo quando dicevi che saresti rimasta a vivere con papà per tutta la vita, anche quando saresti diventata grande. Io ti dissi che ti saresti innamorata.. Avresti messo su famiglia e mi avresti quasi dimenticato. Tu per poco non vomitasti all'idea di amare una persona.. E ora eccoci qui.» «Eccoci qui..» sospirai. «Io non pensavo mi sarei mai innamorata e tu non pensavi avresti mai lasciato il tuo lavoro.» «Già...» «Papà» «Sì?» «C'è un ragazzo moro di la.. Mi sembra indossi una maglietta blu. Me lo chiami?» «Vuoi dire Simon?» domandò. Mi accigliai e sorrisi. «E tu come conosci Simon?» «Ho conosciuto tutti i tuoi amici.. Quel Travis, Charlotte.. Sembravano molto onorati e spaventati di presentarsi. Tranne loro due. Jake e Simon. Erano troppo concentrati su di te» mi guardò incuriosito. Io sbuffai «va a chiamarmelo per favore..» Rise appena e sparì dietro alla porta. Attesi un po' ed essa si aprì nuovamente. «Ciao Lexie» si sedette sulla sedia accanto al letto. «Senti..» mi riavviai i capelli dietro all'orecchio «Jake prima dell'incidente mi aveva detto cosa era successo a quella festa, ma immagino che questo già lo sai..» sospirai e guardai il basso. «Mi dispiace, di averti usato. Non sapevo che provassi qualcosa per me. Non mi è mai passato per la testa.» «Perché non te l'avrei mai fatto capire» aggiunse. «Accetta le mie scuse.» «Certo.» Sorrisi a labbra serrate «non sei stata tu ad usare me..» «Che vuoi dire?» domandai accigliata. «Eri ubriaca, sono stato io a baciarti e tu mi hai detto di amare Jake. Rivelazione shock. Non sono un buon amico.» «Cosa?» domandai incredula. «Perché me lo stai dicendo solo adesso?» «Ha importanza?» «Sai che non posso nasconderglielo» chiarii fermamente. «Non glielo dirai perché non lo vuoi fare. Per qualche motivo sei così altruista da voler preservare la nostra amicizia ad ogni costo. Perché ti sentiresti in colpa ad essere la causa della sua rottura...» intuì correttamente. «Per colpa di questa storia io e Jake abbiamo chiuso per tre mesi.. Ho litigato con Julie.. E..» «Sì ma ora state insieme, tu e Julie siete ancora "Best Friend Forever" e la terra è di nuovo sul suo asse» si alzò in piedi con quel fare sarcastico. «Lo so che ti senti in colpa.. È inutile che ti comporti così» dissi io. Si girò verso di me immediatamente. «Sì, hai ragione. Mi sento in colpa per aver baciato la ragazza per la quale il mio migliore amico ha perso la testa. Ma indovina? Anche io avevo perso la testa per te.» «L'hai solamente usata? Julie?» domandai. «No. Io l'amavo forse.. Forse l'amo ancora... Ma non lo so! Sono un coglione da innamorarmi di due ragazze allo stesso tempo ma lei si merita molto di più di questo. Si merita uno che pensi solo a lei.» «Lei merita qualcuno che l'ami. E tu l'ami. Non importa il resto, l'amore basta. L'amore è sufficiente, perché non lo capisci?» «Anche se ci provassi di nuovo.. Non ci sarebbe fiducia.. Non ci sarebbe niente.. Perciò no. L'amore non basta manco per un cazzo» sbottò. Mi scappò una risata. «Che c'è di divertente?» domandò incazzato. «Tu, Simon. Sei una persona divertente.» «Ah bene, sono felice che trovi la mia pena motivo di spasso» disse sarcastico. «C'è una possibilità che tra te e Julie le cose possano andare meglio?» chiesi speranzosa. «Forse una. Forse una da parte mia ma zero da parte sua, e non a torto» affermò. «Lei ti ama. Ed è anche simile a me. E a noi l'amore basta, fidati» dissi io. «Avevamo bevuto.. Era tutto un casino ma è stato tempo fa..» aggiunsi. «Spero che tu abbia ragione.» Strofinai le mani soddisfatta, ero molto elettrizzata al fatto che le cose potessero tornare come prima. Dove tutti eravamo amici, a volte alcuni mali non vengono solo per nuocere.
Si avvicinò alla porta e afferrò la maniglia. «Chiamami Julie» annuì e sorrise appena prima di uscire. Avevo delle cose da risolvere con qualcuno di loro, e capii che quello era il momento giusto per farlo. Sentii aprire cautamente, e vidi subito i suoi occhioni color cioccolato, intimoriti e colmi di sensi di colpa. Si sedette sul lettino. «Mi dispiace» disse e basta. «Lo so» sorrisi. «Ho detto cose che non penso..» «Non scusarti. È tutto okay.. Mi chiedevo solo se ti fidi ancora di me.» «Sì» annuì, e vidi i suoi occhi luccicare. «Allora fidati se ti dico che dovresti dargli un'altra chance.» Fissò il vuoto «non posso Lexie.. Non sono sicura che neppure la voglia un'altra chance.» «Ha sbagliato ma ti ama davvero» dissi io. Sospirò ed annuì. «Chiamami Jake per favore.» «Certo» si alzò e sparì dietro alla porta. Attesi impaziente, e quando la porta si aprì sospirai profondamente, in attesa di poter sfiorare la sua pelle, o le sue labbra. Si sedette sul lettino, accanto a me. «Vieni» feci spazio, mettendomi ad un lato del letto. Tolse le scarpe e mi avvolse tra le sue braccia. «Mi sei mancata» confessò sdraiato accanto a me. Sentivo un forte freddo, e appoggiai la mia guancia al suo petto. Sentivo di nuovo la connessione con il mondo, con la vita. Mi baciò la testa, e mi strinse forte. Una persona come me era davvero difficile da amare, pensai. Strofinai la mano al suo petto, e socchiusi gli occhi. Inebriai il suo profumo rassicurante, stretta tra le sue braccia che mi trasmettevano calore. «Ti hanno raccontato cose imbarazzanti?» chiesi speranzosa, cercando il suo sguardo. Mi osservò, sorridendo con gli occhi, in quel modo affascinante che solo lui sapeva fare. Rise facendomi preoccupare. «No.. Non particolarmente.» «Stai mentendo spudoratamente.» Era perso tra i suoi pensieri.. «Che c'è?» chiesi accigliata. «Ho avuto paura di perderti e..» sospirò. «Sto bene adesso. Questo è l'importante.» Sorrise e mi guardò «sì, hai ragione» mi strinse il braccio attorno al collo, e lentamente sfiorò le mie labbra. Non c'erano aggettivi per descrivere quanto l'amassi. Sentivo quello scoppiettio, quel bollore costante nel corpo.Spazio autrice ❤️
Ciao a tutte ragazze :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, in tal caso mi farebbe sapere cosa pensate nei commenti!Se credete che questa storia meriti di essere conosciuta anche da altre persone, cliccate la stellina, ve ne sarò grata :)
Instagram: @amaminonostantetutto
Storie collegate: Unexpected, Born ti die.
Altre storie: Evil Hunters.
Grazie per aver letto il capitolo!
xoxo, Kat!
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Amami nonostante tutto
RomansUn college con un buon programma in medicina sembra un'ottima occasione per Alexis. Qui alla Kingstom University della Florida è lontana dagli orrori che riviveva ogni giorno nel suo vecchio appartamento dell'Upper East Side. Un fondo fiduciario da...