Capitolo 3

122 5 6
                                    

Lunghe tende bordeaux coprivano finestroni alti quattro metri. Un tavolo ovale con sedie foderate di rosso troneggiava al centro dello stanzone. Il comandante Lopez ci stava spiegando le attività di spionaggio da fare e le relazioni da consegnare per le varie attività che avremmo svolto. Ci passò anche i contatti di alcuni agenti sotto copertura e le chiavi di due auto per non dare nell'occhio.

Erano le otto del mattino e già ero impaziente. Battevo con gli anfibi sul lucido marmo della sala delle conferenze, mentre io e Jack attendevamo l'arrivo degli agenti della DEA locale.

D'un tratto la grande porta di legno a due ante si aprì, rivelando le due figure.

Ci mettemmo all'in piedi. Allungai la mano in segno di saluto, che fu stretta prima dal biondo, agente Nathan Wilson, e poi dall'agente Pedro Pascal. Quest'ultimo, un uomo bruno dai tratti ispanici, capelli medi leggermente mossi, occhi scuri e molto espressivi. Portava i baffi che celavano labbra carnose ed il viso era ricoperto da una rada barba a tratti brizzolata. Si fece notare il suo profumo... molto simile a quello che avevo sentito la sera prima.

Mi guardò quasi sorpreso, toccandosi l'angolo della bocca con il pollice della mano sinistra ed alzando un sopracciglio. Aveva quel tatuaggio: era l'uomo nel bar!

Con curiosità osservavo l'agente che era seduto di fronte a me. Lo scrutavo attenta mentre parlava. Aveva una voce calda, a tratti ruvida. Ma gli occhi, scuri come il cioccolato e grandi, mi trafissero, provocandomi una sensazione di vuoto nel petto. Eravamo intorno al tavolo ed iniziammo a disquisire sul da farsi.

"Ieri abbiamo intercettato una chiamata di Domingo Ortega. Ci sarà il passaggio di una partita di cocaina da Bogotá a Panama, tragitto breve", informò Pascal, tamburellando le dita sulla superfice lucida del tavolo.

"Non è necessario intervenire, ma dobbiamo acquisire tutti i contatti possibili sul posto", continuò il biondo.

"E noi cosa dovremmo fare di preciso?", chiese curioso il collega Johnson.

"Ho avuto una soffiata da una prostituta", caspita, se la spassava il bel bruno, "se siamo fortunati, riusciremo ad individuare il contatto di Panama".

L'agente Pascal mi fissò nel pronunciare quelle parole. "E tu, Miller, vieni con me", mi indicò con l'indice e poi prese una sigaretta dal taschino della sua camicia a maniche corte, color prugna.

"Bene, Johnson tu seguirai Wilson nelle indagini sul campo; Miller, tu, come detto, andrai con Pascal a questo incontro", sentenziò il capo.

Scendemmo le larghe scale in pietra, l'agente Pascal mi precedeva e potevo vedere da dietro la sua intera figura. Interessante.

Mi lanciò le chiavi del pick-up parcheggiato lì fuori. "Guida tu".

Ci sistemammo in macchina e mi mostrò velocemente le vie principali dove potevamo incontrare gli informatori.

Di tanto in tanto lo osservavo. Aveva un atteggiamento molto sicuro di sé. Guardava fuori dal finestrino con indosso delle Ray-Ban dai vetri marroni.

"Le radio sono sorvegliate, se dovete comunicare fatelo col cellulare satellitare". Le spie degli Ortega erano ovunque.

Persone senza scrupoli, impiegavano anche i bambini come vedette, affidandogli Woky-toky per segnalare tutti i movimenti della polizia.

Prima di recarci dalla sua informatrice, facemmo un passaggio presso l'ambasciata.

Ci imbattemmo, dunque, nel bordello locale. Dapprima entrò solo l'agente, per poi venirmi a chiamare cinque minuti dopo.

"Vieni", disse accompagnando il gesto della mano.

AMOR LOCODove le storie prendono vita. Scoprilo ora