𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 2

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𝙸𝚕 𝚐𝚊𝚝𝚝𝚒𝚗𝚘.

ɪʀɪɴᴀ

1 agosto 2012
The Woodward Hotel,
Ginevra, Svizzera
Ore: 10:02

Lasciata l'Italia, Edgar mi aveva da subito portata in una clinica svizzera a Ginevra. Nel vago dei ricordi, potevo giurare di avergli sentito dire più volte alle figure incamiciate "è incinta". Mi ero lasciata trascinare in ogni dove per essere vista e rivista per gli accertamenti che fossi ancora tutta intera. Diedi gli ultimi sforzi per rispondere alle domande dei medici.

Il feto non era stato danneggiato, malgrado la fame, malgrado il mio stato emotivo e fisico, ero riuscita a tenerlo al sicuro e quello mi bastò per liberare la mia testa dal subbuglio.

Non essendo nelle condizioni di affrontare un viaggio di quattordici ore per ritornare negli Stati Uniti, Edgar ci aveva fatti sistemare in una suite di un Hotel della città, in cui pareva aver già alloggiato. Avrei voluto da subito porgli le mie domande, chiarire nell'immediato tutto quello che era accaduto. L'urgenza di sapere la verità era insopportabile ma dopo aver mangiato e dopo essermi stesa alcuni istanti nel letto, mi ero addormentata e le domande erano rimaste nel vortice dei ricordi che si stavano ancora assestando.

Ero irrimediabile.

Fu quella la prima cosa a cui pensai quando mi svegliai quel mattino.

Tra tutte le cose che mi erano state fatte, soltanto il tradimento mi stava ancora uccidendo. Ero aggrappata all'ammarezza di quello che mi pareva il più grande dispiacere che avessi mai vissuto. Forse perché in tutta la mia vita mi ero fidata davvero di poche persone e tra quelle ero riuscito ad imbattermi comunque in qualcuno incapace di restarmi al fianco senza farmi male.

Fissai, ormai sveglia da un pezzo, l'unico varco di luce che faceva capolinea nella stanza. Le tende oscuranti appese al soffitto, davanti alle due finestre presenti nella stanza, erano state tirate quasi del tutto per bloccare la luminosa giornata che vibrava fuori di lì. Dal quel varco vedevo la ringhiera del balconcino della suite e più in là l'acqua del lago su cui si affacciava l'intera struttura del Hotel.

Edgar non c'era.

Ero sola nella stanza.

Il letto era vuoto e non l'avevo sentito coricarsi vicino a me quella notte.

Mi alzai, coprendo la mia nudità con il leggero lenzuolo bianco, raccogliendolo attorno a me come un telo e spostai la tenda.

Lo trovai lì, sul balconcino, seduto di spalle in una comoda poltrona imbottita con indosso l'accappatoio bianco del Hotel. Una bottiglia ancora intatta di whiskey sul tavolino accanto alla poltrona catturò la mia attenzione. Non vidi nessun bicchiere, né sul tavolo né tra le mani di Edgar.

Feci scivolare la portafinestra, uscii e taciturna, mi avvicinai alla ringhiera.

Sotto al balconcino sulla riva del lago diversi pontili affiancati da barche a vela e motoscafi lasciati a molo. Dall'altra parte della spond, non tanto lontano, si accedeva a un'altra aria piena di barche, poi una cittadina immersa nel verde, su cui si affacciava una montagna.

Osservai in completo silenzio la magnifica vista, percossa da piccoli brividi sulla schiena che mi avvertivano dello sguardo di Edgar su di me.

Era come se dicesse chiaro di voltarmi e scagliarmi su di lui per quello che mi era successo. Avvalermi del diritto della sua colpevolezza e sfogare la mia rabbia sembrava la strada giusta da percorrere. Il problema tuttavia era che io di rabbia non ne provavo mezza. Ero grata che fosse arrivato in tempo, ero grata per avermi capita, ero grata per esserci sempre...ed ero addolorata sapere che tutto in fin dei conti era successo perché ero stata tradita.

Devotion 3 // Omertà E Onore //Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora