𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 12

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𝙰𝚕𝚕𝚎𝚛𝚐𝚒𝚊.

ɪʀɪɴᴀ

14 maggio 2013
Dutton's Casinò, Las Vegas
Nevada, USA
Ore: 22:26

Per quanto mi sforzassi, l'irruenza negli occhi di Edgar non era più tra le mie paure.

Infrangere qualche sua regola non scritta eppure abbastanza ovvia, come non imbrogliare nel suo casinò o non tentarlo al suo stesso gioco, era tutt'altro che motivo di timore per me. Ero diventata troppo sicura di me convinta di potermi permettere lo sfarzo di calpestargli i piedi.

Sfacciata, passai gli occhi da quella carta al suo volto ed esplorai al meglio quel giochino che mescolava la sua rabbia ai suoi chiari desideri di fottermi. «E perché no?» sbuffai. «Ho vinto tante partite truccate nella mia vita se questa fosse stata l'ennesima, non ci sarebbe stato nulla di male.»

Le sue fattezze d'angelo si contrassero ulteriormente.

D'improvviso, a vederlo ancora più rabbuiato, il timore mi divenne benzina. Mi divenne veleno e mi diede fervore come non mai. Sentii la pelle d'oca e il grande falò al centro del mio ventre. In quale altro modo avrei potuto dirgli che mi sarei data in pasto a ogni sua canagliata pur di toccare e pur di soffrire la depravazione del piacere per sua mano?

«Non al mio tavolo, Irina.» sibilò con quella sua seriosità disarmante.

«Non al tuo tavolo?» sbottai, fingendomi sorpresa e sollevai una mano per passare le dita lungo il bordo. «Veramente, questo è il nostro tavolo.»

Lui sospirò pesantemente, mise via la carta e mi osservò pensieroso. «Credevo volessi fare l'amore, stasera, non farti scopare.» rispose duramente.

Divertita, mi morsi il labbro. «Non credo di aver mai capito la differenza.»

A quelle parole, vidi come chiuse il pugno della mano sinistra, allentandolo e stringendolo. Il suo vecchio vizio lo stava chiamando a sé.

Alzai il mento, esponendo il mio collo, e gli sorrisi con sfida. Mi aveva fatto amare quelle sue manie ed erano quelle a rendere quello che avevamo nostro.

Quelle bruttezze carnali mi scaldavano le viscere e non c'era rimedio, soltanto arresa.

«Ad ogni modo, una vittoria è una vittoria.» continuai ad affilare i suoi nervi con il cuore a mille. «O cadi in ginocchio oppure seppellisci quella tua faccia d'angelo tra le mie gambe. A te la scelta, mo chuid fola.» dissi piano e dolcemente.

Vidi l'ombra di un sorriso sulla sua bocca. Fece un passo in avanti, sovrastandomi e mi prese il mento tra l'indide e il pollice. «Pensi che non sappia quale delle due ti piacerebbe vedermi fare?» Si abbassò, appoggiando una mano sullo schienale della sedia e l'altra la indirizzò in mezzo alle mie gambe. Spostò da subito la mutanda e passò le dita tra le mie pieghe facendomi schiudere la bocca davanti al suo volto a pochi centimetri dal mio. Respirò il mio affanno, accarezzandomi con movimenti lenti e circolari sopra il mio clitoride. «Una volta un figlio di puttana aveva provato a imbrogliare. Sai cosa ho fatto, micetta?»

Mugugnai e mi aggrappai alle sue spalle.

«Gli ho lasciato fare, l'ho lasciato arrivare alla fine e gli ho permesso di vincere. Il giorno dopo, era di nuovo seduto a questo tavolo, senza lingua, senza vestiti e senza le dita delle mani. Gli ho concesso di assistere alla sua ultima partita e ho fatto vedere agli altri cosa succede quando si vuole provare a tagliare la coda del serpente.» mi raccontò e con mio orrore quella storia non scemò il mio desiderio.

Gemetti quando lui spinse di colpo le dita più giù ed entrò lentamente. Mi inarcai, sentendo quella perforazione più dolorosa della prima volta ma lui non andò oltre. «Come la mettiamo, micetta?» mi domandò, sfiorandomi le labbra con le sue. «È passato un po' di tempo e hai fatto un bel miracolo con questo corpo.»

Devotion 3 // Omertà E Onore //Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora