12- Respingimi

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La porta che dava accesso alla stanza di Nayeli era sempre la stessa: Il legno intarsiato riccamente suggeriva le fattezze di uno scrigno o di un carillon nel quale si poteva trovare un gioiello antico o una musica mai ascoltata. Xerses posò le dita sugli intarsi facendole scivolare sulle scalanature e i bassorilievi, erano lisci ma le sue dita tremavano al ritmo di un respiro che non dava pace al cuore. Rufus lo aveva obbligato con la forza a prepararsi per bene, con la scusa di un incontro con una personalità troppo importante per andarci nello stato in cui si trovava.

La camicia pulita, i pantaloni senza tasche in cui infilare coltelli o pallottole di scorta. Neanche alle feste riusciva a cedere a tanto. Infatti i vestiti erano di Rufus. Passò una mano fra i capelli neri, piegò le ginocchia per assicurarsi che ci fossero ancora, per un attimo credette che si fossero sciolte. Guardò ancora la porta. Inspirò con forza ed espirò con lentezza. Mai stato così agitato in vita sua. Senza neanche sapere perché. Neanche lo mangiasse.

Alzò una mano e dopo un istante di esitazione bussò un paio di volte assumendo un'espressione di estrema sofferenza. Il cuore gli si impennò violentemente e in quell'istante si rese conto che qualsiasi battaglia, lotta all'ultimo sangue o corsa contro il tempo, gli avrebbe causato una tale angoscia. Appoggiò la fronte alla porta dubitando di riuscire a reggere ancora per molto.

Quando Rebecca aprì lo scrutò dubbiosa, notando il segno rosso in mezzo alla sua fronte.

"Avete... Dato... Una testata?"

Xerses la guardò senza capire, mostrando un viso impaurito che era apparso poche volte durante la sua vita. Rebecca gli sfregò la fronte mostrando il senso materno che l'aveva sempre contraddistinta. Le tornò alla memoria il tempo passato a medicare le ferite di quei ragazzini scavezzacollo, sembrava passata un'eternità.

Alle spalle della serva, Nayeli si pettinava i lunghi capelli lunari, il suo sguardo si perdeva verso la grande porta-finestra aperta che incorniciava un cielo sereno e silenzioso. Xerses sentì riaffiorare quella sensazione familiare di cui sentiva di non poter più fare a meno e rimase a guardarla isolandosi completamente dal mondo intero, da ogni mondo conosciuto.

"Come posso aiutarvi, Capitano?" Rebecca sembrava davvero incuriosita, sorrideva teneramente. Aveva già capito tutto grazie al suo intuito così spiccato, perfezionato da anni ed anni di telenovele e spargimento di pettegolezzi.

Appena sentita la parola 'capitano' , Nayeli si fiondò nella sala da bagno chiudendosi la porta alle spalle. Lasciò Xerses e Rebecca a guardarsi imbarazzati.

"Devo... Parlare con lei." Disse lui facendosi strada verso la porta appena chiusa.

"Se vi serve aiuto sarò qui fuori." Rispose la serva ammiccando amorevolmente e uscendo in fretta.

Xerses si avvicinò alla porta e prese fiato:

"Nayeli, mi senti?"

"Mmm... Si?" Rispose con la voce più acuta di sempre.

"Vorrei portarti in un posto. È una cosa molto bella da vedere e conosco il luogo perfetto per ammirarla." La voce di Xerses invece era bassa e roca.

"Io... Sono occupata."

"A fare cosa?"

"Devo... Imparare ad allacciarmi le scarpe."

"Posso farlo io." Sorrise.

Dal bagno non proveniva nessun suono e Xerses vide Rebecca, sull'entrata, fargli segno di insistere, dal labiale lesse: 'DAI PORCO CANE, MUOVITI.'

"Nayeli, esci di lì oppure sarò costretto a spaccare la porta."

VETERNUSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora