Capitolo Uno.

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"Il richiamo della morte è anche un richiamo d'amore. La morte è dolce se le facciamo buon viso, se la accettiamo come una delle grandi, eterne forme dell'amore e della trasformazione."
Hermann Hesse

Arya

Duemilacentonovantuno giorni. Sei anni. Ogni giorno passato, s'imprimeva nella mia mente. Lava incandescente che non accennava a fermarsi e che scivolava in tutti gli angoli più remoti del mio cervello. Il vulcano, assopito per ventuno anni, era esploso e il fuoco ammantato, continuava a strisciare sotto ai miei piedi.

Non era un ricordo sbiadito. Piuttosto, una nube nera, come se appartenesse ad una cittadina che bruciava dalla profondità degli abissi da più di sessant'anni.

Avrebbe mai smesso di incidere sulla mia pelle? Ed io, avrei mai smesso di dargli tutto questo potere?

La risposta, al momento non la possedevo e neanche m'interessava.

Adoravo sguazzare nella mia stessa merda. Ci trovavo gusto.

Ero una pazza masochista e neanche il più deviato degli esseri umani poteva farmi rabbrividire.

Scrollandomi dai miei stessi pensieri, con una facilità inusuale e che non mi apparteneva, risalii dal sottosuolo.

La metropolitana di Camden Town era piccola e aveva varie uscite. Io scivolai nella solita.

Ormai, questo quartiere, brulicava di turisti e non era così affascinante come un tempo.

Gli esseri umani sporcano tutto.

Spazzano via.

La sera, soprattutto la notte, era ancora pericolosa.

Nonostante il marasma, c'erano spacciatori in ogni angolo. Come se Londra volesse rivendicare il diritto di essere l'unica città fuori dal comune di tutto il misero mondo.

Mi trascinai a passo cadenzato davanti al fiume, accendendomi una sigaretta.

Il cellulare vibrò, annunciando l'arrivo di un messaggio, dal solito numero sconosciuto.

Era già un mese che un numero assolutamente non identificato mi inviava messaggi strani.

Il Tamigi non ti rende giustizia. Neanche il Pacifico potrebbe.

Bloccai il telefono come punta da una vespa, guardandomi attorno.

A parte i soliti turisti, vecchietti e ragazzini ribelli che avevano saltato la scuola, non c'era nessuno in particolare.

Forse pretendeva una risposta, che io non gli avrei mai dato.

Non so perché, ma non volevo gettare benzina sul fuoco.

Finché fossero rimasti solo messaggi criptici, mi sarebbe andata bene.

Puntai lo sguardo davanti a me e il Tamigi, quella mattina, brillava più del solito.

Ed io, prostrata e seduta ai suoi piedi, finsi una pacatezza che non mi si addiceva.

Chi era quel fottuto stalker? E perché, tra quasi nove milioni di persone che abitavano Londra, aveva adocchiato proprio me?

Feci un lungo tiro, aspirando profondamente il tabacco che penetrò la mia gola, scivolando direttamente nei polmoni.

Avevo quasi finito la Winston e senza perdere ulteriore tempo, mi sollevai, fingendo di scrollarmi di dosso la sporcizia della strada.

Camminai a ritroso, rintanandomi nella metropolitana.

Prima che stessi per strisciare l'Oyster per far aprire i tornelli, mi arrivò un altro messaggio.

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