Capitolo Quattro.

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"Solo nel fango ci incontravamo,
ma soprattutto mi rimprovero per la completa depravazione etica a cui ti permisi di trascinarmi."
Oscar Wilde

Arya

C'era qualcosa nel modo in cui i sogni comunicavano.

Le immagini che si proiettavano nel mio cervello, una dopo l'altra, in un crescendo di tremiti e timori, mi lasciavano, al risveglio, sempre turbata.

Io credevo con fermezza, che i sogni nascondessero simboli e interpretazioni e che, una volta ripiombata nella realtà, cercassero, in qualche maniera, di dirmi qualcosa.

Alcuni li dimenticavo in fretta, ma altri, riuscivano a infilarsi così bene nel cervello, da non riuscire a smettere di pensarci.

Vigile già da qualche minuto, stringevo Blanco tra le braccia, il suo orsacchiotto di peluche, come se potesse trasmettermi qualsiasi tipo di protezione o conforto.

Neanche se avessi vissuto in una teca di vetro, in questo caso, sarei potuta fuggire dai miei incubi.

Qualcuno bussò insistentemente alla mia porta, entrando nella stanza senza cerimonie.

"C'è la polizia in casa nostra!" Cameron andò dritta al punto, in preda al panico.

Mi sollevai dal letto come punta da una vespa, rischiando una frattura scomposta alla schiena. "Che cazzo dici?!"

I suoi occhi spalancati sembravano stessero per uscire dalle orbite. "Che facciamo? Siamo nella merda!"

"Calma," la rassicurai, cercando di non alzare il tono della voce, "Me ne occuperò io"

Cameron, a corto di parole, annuì semplicemente con il capo.

Non appena varcammo la soglia della cucina, notai Simon e Marcus intrattenere i due agenti, che ignari di tutto, sedevano al nostro tavolo, chiacchierando allegramente.

"Buongiorno, agenti." Feci ufficialmente il mio ingresso, andando a versarmi del caffè in una tazza.

"Buongiorno, signorina Davies" Fu uno dei due poliziotti a parlare, utilizzando un tono quasi ilare. Era giovane, con una mascella tagliente e marcata. Avrei potuto tranquillamente flirtare con lui, se, ovviamente, non fosse stato uno sbirro.

Rischiai di versarmi tutto l'espresso sul pigiama, quando un fottuto pastore tedesco comparve nella mia visuale, saltandomi addosso.

"Rex, vieni subito qui!" L'agente più anziano tra i due, richiamò a sé l'animale, che subito eseguì gli ordini.

"Strano..." Commentò il belloccio, accarezzandosi il mento, dove risiedeva un breve cenno di peluria scura.

"Cosa c'è di strano, agente...?"

"Agente Morrison. Morgan Morrison," chiarì la mia curiosità, "Vede, signorina Davies... Il nostro Rex è molto bravo a fiutare."

"Forse avrà sentito l'odore di un altro cane. Dove lavoro, incontro spesso dei randagi" Tentennai, ma senza cedere all'insicurezza.

Morgan Morrison mugugnò un cenno d'assenso.

"Siamo qui per un semplice motivo" Prese parola l'agente anziano, gelando tutti sul posto.

Lanciai un'occhiata in tralice ai miei coinquilini. "E sarebbe...?" A quanto pareva, la parola spettava a me.

In fondo, non ero proprio io la causa di tutti i loro problemi?

Il pastore tedesco scattò, allontanandosi quanto poté dai poliziotti, guardando dritto verso il giardino.

Ringraziai mentalmente che fosse legato.

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