Capitolo Tre.

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"In quell'ora che ogni cosa ha quiete,
O solitario custode dei cieli,
Non senti il vento notturno
E le arpe sospiranti Amore che schiuda
I pallidi cancelli dell'alba?"
James Joyce

Arya

"Stai scherzando, vero?" Lo sguardo di Cameron s'increspò in un'espressione furente.

"Io... No" Scossi il capo. Il mio corpo era un miscuglio di tremolìi. Non riuscivo a stare ferma.

Come era possibile abbassarsi a tanta atrocità?

Come poteva essere possibile, uccidere un uomo e tagliare via i suoi attributi?

Non era umano. Non era normale.

E la parte che più mi spaventava era che anche io, avevo una buona fetta di colpe.

"Dobbiamo chiamare la polizia, Arya. Non riesco ad immaginare un'altra conclusione." Sentenziò, spaventata e tremante quanto me.

"Marcus finirebbe nei guai." Tentai di farla ragionare.

Purtroppo, questa opzione, non era da prendere neanche in considerazione.


Dopo qualche tempo, che a me parve infinito, decidemmo di comune accordo di seppellire la scatola incriminata in giardino. Esattamente come avevo proposto.

Cameron e gli altri si defilarono a lavoro, mentre io cominciai a rigirarmi i pollici.

Fissavo il soffitto di camera mia, rimuginando su tutto quello che era successo nelle ultime ore.

Avevo anche io, le mani sporche. Sporche del sangue di un uomo innocente.

Come poteva, quel bastardo, levarmi anche la possibilità di scopare con qualcuno? Sì, perché, volente o nolente, secondo il suo modo di pensare, lasciarmi toccare da qualcuno, non era neanche da prendere in considerazione.

Lui aveva agito perché era ossessionato da me.

Ma non avrei mai immaginato che, la sua, fosse una mania così spropositata, dal voler addirittura, uccidere senza ripensamenti.


"Ieri te l'ho fatta buona, Davies. Lo sai benissimo che non tollero i ritardi." Taylor mi guardava adirato, e in un altro momento, mi avrebbe anche incusso timore.

"Scusami, Tay. Sono stati giorni un po'..." Traumatizzanti. "Particolari."

Lui scosse il capo, "Mi stai solo facendo perdere tempo. Vatti a cambiare." Mi ordinò perentorio, sparendo dalla mia vista.

Sgusciavo tra i tavoli, prendendo ordinazioni, servendo e lanciando, di tanto in tanto, occhiate curiose alle ballerine.

"Due Macallan. Per me e il mio collega" Un uomo in giacca e cravatta mi squadrò da capo a piedi.

Doveva essere un uomo sulla cinquantina, a giudicare dai suoi capelli brizzolati.

Non aveva un accenno di barba e, per assurdo, ciò lo invecchiava maggiormente. 

Sollevò una mano, palpeggiandomi il sedere, voltandosi verso l'amico e indicandomi con lo sguardo compiaciuto.

Di tutta risposta, ingoiai un groppo di saliva immaginario, rabbrividendo di disgusto.

Sarei dovuta essere abituata a questi modi di fare, ma ogni volta che accadeva, non potevo fare a meno di provare ribrezzo.

Mariah, la responsabile dell'angolo bar, mi richiamò a sé. "Porta questo al 50."

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