Capitolo Undici.

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"[...] dovunque mi fossi trovata, sul ponte di una nave o in un caffè di Parigi o a Bangkok, sarei stata sotto la stessa campana di vetro, a respirare la mia aria mefitica. "
Sylvia Plath

Arya

La morte aveva un ghigno serafico.

Un sorrisone a trentadue denti.

La morte spezzava i passi.

La morte, aveva più senso della vita stessa.

E quel senso, che ci viene sottratto alla nascita, lo perdiamo per sempre.

Mia madre. La mia seconda rovina più grande della mia vita.

Mia madre, morta, ridotta in cenere, ora, nelle mie mani.

La sua urna è anonima, come lo è sempre stata lei.

Nera, opaca, svuotata di ogni significato.

Io e Cameron, eravamo sedute sul ciglio del Tamigi, a Camden Town.

Avevo tra le mani quello che restava di lei, mentre Cameron dondolava i piedi ad un passo dal fiume.

"Sei sicura di volerlo fare?" Mi lanciò uno sguardo vacillante, incespicando un po' nelle sue stesse parole.

Lei non era stata presente in quei momenti, ma sapeva comunque tutto.

Una notte avevo bevuto così tanto da averle raccontato qualsiasi particolare.

Un po' come se avessi narrato una storia pietosa, nella quale, a stento riuscivo a riconoscere la protagonista principale: me stessa.

"Sì. Che sparisca per sempre." Sputai, con una punta di rabbia.

Cameron mi appoggiò una mano sulla spalla, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalle mie mani tremanti, "Lo sai che posso farlo io, al posto tuo"

"No. È il mio compito."

Mi sollevai dall'asfalto, stringendo l'urna tra le mani.

Cameron m'imitò, non osando perdermi di vista neanche in un momento così delicato.

Svitai il tappo, prendendo un grosso respiro.

Una lacrima cadde sul mio vestito a fiori.

Riversai le ceneri nel Tamigi, tenendo lo sguardo fisso verso l'acqua, che in pochi attimi, si trascinò via tutto quello che restava di lei.

Cameron mi prese tra le braccia, stringendomi.

A quel punto, diventai un cumulo di respiri mozzati e lacrime salate.

"Non c'è più." Rantolai, singhiozzando con il viso piantato tra i capelli rossi della mia migliore amica, "Non c'è più."

Sentii il respiro farsi via via più corto e affannato.

Il cuore cominciò ad annidarsi in gola.

"È tutto okay, ora. Respira, Arya." Si distaccò, sciogliendo l'abbraccio, aiutandomi a riprendere fiato.

Il fatto, però, era che io non avevo più un anelito.

Io ero solo un cuore spossato. Rotto.

E non poteva ricomporsi più.

"Arya, mi stai facendo preoccupare. Respira, cazzo!" Cameron mi scosse le spalle, turbata da quel pietoso siparietto.

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