"La vendetta non è mai una strada dritta. È una foresta. E in una foresta è facile smarrirsi. Non sai dove sei, né da dove sei partito."
Kill Bill Vol. 1Aaron
Controllai un'ultima volta il messaggio che le avevo inviato, poi afferrai il telefono da due soldi, gettandolo a terra e distruggendolo sotto ai miei piedi.
Il rumore degli ingranaggi che venivano frantumati sotto il mio peso, mi fece rabbrividire. Ma non in senso negativo.
Avanzai a passo cadenzato, uscendo dall'autodemolizioni di mio fratello. Avrebbe badato lui stesso all'immondizia. Anche se era stato il mio turno di colpire, a lui piaceva un mondo il lavoro sporco. E di questo ne ero più che felice.
"Signor Langdon, dove la porto?" Jason, il mio autista, si rivolse a me, dopo un lungo silenzio meditativo.
Lo facevo spesso, eppure le persone non capivano mai quando dovevano starsene zitte.
In questo caso, Jason mi dava parecchie rogne.
Ma ormai, era diventato di famiglia. E sapeva anche tutto, quindi perché affaticarmi?
"Alba, Jason"
La pioggia batteva sul tetto del club. Tutta la zona al piano terra era gremita e la musica soffocante rimbombava tra le pareti, facendo tremare i pavimenti.
Avevo deciso di rinchiudermi nell'ufficio, con la mia aria condizionata e la finestra spalancata. Ma nonostante tutto, morivo dal caldo.
E sentire sempre caldo, era un'abitudine con cui non avevo mai imparato a fare i conti.
Da quella dannata notte, sentivo sul mio corpo, delle fiamme costanti. Come se andassi costantemente a fuoco.
Fortunatamente, la faccia era stata una delle poche a salvarsi.
Ma il corpo, eccetto il petto e le braccia... Ustioni di primo e secondo grado.
Quando Cameron le aveva viste, aveva sicuramente voluto scappare e urlare. 'Con chi cazzo sono finita?' Si era sicuramente chiesta. Ma lei mi serviva. Avevo uno scopo. E mi stava riuscendo tutto maledettamente bene.
Quindi avevo abbassato la testa, fingendomi insicuro, e lasciandomi sfuggire due lacrime di coccodrillo.
Ma avrebbe dovuto saperlo che era colpa sua. Era colpa di quella troietta che io vivevo nel Polo Artico e mi sentivo sempre bruciare vivo.
Qualcuno entrò, senza bussare. Sapevo perfettamente chi fosse. "Ryan" Lo salutai. Con lui potevo essere me stesso. Un guscio vuoto.
Ryan era il mio fratello gemello. Non avevo avuto amici, ma solo e soltanto lui.
Eravamo cresciuti praticamente spalla contro spalla. Infatti, a notare la mia assenza e la mia irreperibilità, quel giorno, era stato lui. Io e Ryan avevamo sempre avuto una strana connessione. E se non avesse chiamato i soccorsi, a quest'ora, molto probabilmente, sarei finito in cenere dentro al fiume Tamigi.
Ed era stato anche l'unico ad appoggiarmi, offrendomi il suo sostegno.
"Dormi lì anche stanotte? Avevo intenzione di farle un agguato." Lo guardai in tralice, "Le abbiamo appena bruciato la casa, ed è solo l'inizio. Dalle qualche giorno di riposo." Lui inarcò le sopracciglia, sorridendomi divertito, "In effetti... Lo avevo dimenticato," Si accese un Cohiba, diffondendo nell'aria un sapore agrodolce, "Non la scopo da troppo"
Imitandolo, mi portai alle labbra una sigaretta, "Per fortuna prende la pillola" Lo sentii ridacchiare, tenendo tra le mani il sigaro e una gamba incrociata sull'altra, "Beh, che restasse incinta. Avrebbe avuto solo uno dei tanti problemi."
Aspirai forte, sventolando una mano davanti la faccia, "Se sapesse che è ancora vivo e fa la vita di un milionario a Bora Bora..." Ryan mi guardò da dietro la coltre nube di fumo, "A proposito, hai avuto più sue notizie?" Feci spallucce, "Sì. E fin quando se ne sta buono..." Lasciai la frase in sospeso, alludendo a quello che lui già sapeva.
"Sai come la penso, Aaron," Si fermò, prendendo una boccata ed espirando, "Avremmo dovuto massacrarlo già molto tempo fa. Stiamo solo perdendo tempo."
"La vendetta non è mai una strada dritta" Citai, guardandolo quasi offeso. Ryan era troppo istintivo, precipitoso. Lui voleva subito sporcarsi le mani, senza ripensamenti ed eventuali preoccupazioni di spiacevoli conseguenze. "Cristo, sei ossessionato da Kill Bill" Alzò gli occhi al cielo.
Sentimmo bussare, "Avanti" Spensi la sigaretta nel posacenere, osservando il fisico a clessidra di Martha, perfetto ed impeccabile.
"Signore... Non so come dirglielo"
"Vai dritta al punto" Quando faceva così c'era da preoccuparsi e mi metteva subito in uno stato dall'erta, facendomi diventare brusco. Odiavo essere impulsivo, e avrei dovuto assolutamente correggere questo lato di me così spiacevole.
"Arya è arrivata" Mi rilassai subito sullo schienale, gettando la testa all'indietro, ridendo. "Quella donna non la ferma nessuno"
Ryan sembrava accigliato, invece. "Ma che cazzo" Imprecò, battendo un pugno sulla scrivania. "Se fa così, non possiamo lasciarla a secco, Aaron"
"E' solo l'inizio, ricordatelo" Ci tenni a precisare, chiudendo lì il discorso.
Però, dannazione. Arya. Arya... Lei sì che era uno spettacolo della natura. Non si fermava mai davanti a nulla. Sembrava vivere per il dolore. Sembrava sguazzare bene nella sua merda. Con quel suo bel culetto sarebbe potuta andare lontano. E magari se i suoi genitori non fossero stati così deplorevoli con lei, avrebbe potuto combinare qualcosa. Cristo, quello che le faceva suo padre... Scossi la testa. Non erano affari miei. "Portala da me" Dissi a Martha che annuì, sparendo dietro la porta.
Gli occhi di Ryan gli si illuminarono. Mi incazzai. "Ryan, fratello, devi andartene" Lui scosse il capo, continuando bellamente a fumare il suo sigaro, "Non ne ho la minima intenzione" E a quel punto, sapevo perfettamente quanto sarebbe stato inutile insistere.
Dopo alcuni minuti, sentimmo il tipico ticchettio dei tacchi a spillo, seguito da un lieve rintocco.
La invitai ad entrare, varcando la soglia indossando solo un costume bianco. Spalancai gli occhi, lanciando uno sguardo a mio fratello. La stava osservando di sbieco, non tradendo alcuna emozione.
Era bellissima, ed il bianco le donava. Forse fin troppo. "Accomodati pure, Arya" Le indicai con la mano la sedia accanto a quella di Ryan, accettando subito il mio invito.
A quella distanza potevo percepire il suo calore. La pelle diafana, imperlata di uno strato di sudore, che sembrava essere così morbida al tatto, mi fece sentire come se delle fiamme alte e imponenti mi si stringessero tutte attorno, bloccando il mio esofago.
"Mi volevi, Aaron?" Era lei, l'unica a cui permettevo di chiamarmi con il mio nome e a darmi del tu. In fondo, non ero che il fidanzato della sua migliore amica, oltre che il suo capo. "Sì, Arya. Volevo porgerti le mie scuse per quanto accaduto stamattina." Lei scosse il capo, mettendo le mani davanti, "No, no, figurati. L'accaduto non mi riguarda, per quanto possa interessarti"
Sgranai lievemente gli occhi, ricomponendomi subito dopo. Ryan, d'altro canto, restò immobilizzato sulla sedia. "Beh, potevi prenderti una giornata libera, almeno"
Arya sorrise, e notai come i suoi occhi quasi s'incrinassero, "Tranquillo, Aaron," Cominciò a rabbrividire e a guardarsi attorno, "Non m'interessa. Credo. Va bene così."
La guardai attentamente, ricordandomi del modo in cui le micro espressioni tradissero il corpo, e addirittura la mente. Era un mondo che mi aveva sempre appassionato. E poi, Arya era come un libro aperto. Almeno per me. Durante questi anni avevo avuto modo di conoscerla, ma avvicinarmi a lei era stata una mossa premeditata quanto fottutamente stupida. Sapevo dei rischi in cui sarei incappato, ma questo non mi aveva minimamente fermato. "D'accordo. Puoi andare, allora." La congedai, lanciandole uno sguardo sul culo mentre ancheggiava via.
Qualche ora più tardi, più precisamente verso le tre della mattina, ero seduto sul divanetto, di fronte al palco. Ryan era andato via già da tempo.
Arya si muoveva attorno al palo, come se da esso ne dipendesse la sua vita. Era un angelo. Un bellissimo angelo caduto.
Il palo restava ancorato al pavimento, e il suo costume striminzito era un dono del Paradiso. I suoi tacchi platform, lunghi chissà quanti centimetri, gracchiavano in silenzio perché offuscati dalla musica.
Mi guardai attorno, scorgendo di più del semplice interesse.
Arya non era magra, ma era perfetta. Aveva le curve al punto giusto. Magari il suo naso era più lungo e affusolato di quelli alla francese a cui ero abituato a vedere ogni giorno, ma no. Lei era bellissima, nella sua atipicità. Non era comune, ma particolare. E per questo... attirava di più l'attenzione di noi uomini, abituati alla classica e noiosa bellezza. Quella che non invecchia mai e piace sempre. Ma non a me, e sapevo perfettamente, neanche ai presenti.
Sapevo che i guadagni fossero triplicati, da quando aveva cominciato a lavorare qui. I vecchi rampolli avevano trovato pane per i loro denti.
Un uomo sulla cinquantina approfittò del momento in cui Arya era scivolata via dal palo e si era avvicinata ai bordi del palco, distendendosi su di esso, con le gambe all'aria. Il galantuomo si avvicinò a lei, palpandole il culo con una mano, tenendo nell'altra un centone.
Strizzai le palpebre. La politica del mio club era guardare ma non toccare. Soprattutto quando si trattava di Arya.
Cristo, adesso dovevo commettere l'ennesimo crimine. Quanto mi seccava.
Nessuno doveva toccarla. Lei era mia. Apparteneva a me. Apparteneva alla mia personale vendetta.
Feci un cenno ad Angelo, che in poco tempo, trascinò via l'omuncolo, approfittando del momento in cui Arya si era distratta.
L'avrebbe portato su, al terzo piano, in una stanza apposita. Quella che di solito usavo per le riunioni, o cose di questo calibro. Le stanze erano insonorizzate.
Aprii la porta con il piede, lasciandola sbattere un paio di volte contro il muro.
Mi morsi l'interno guancia, quasi a sangue, quando vidi l'uomo seduto con un sorrisetto del cazzo stampato sul volto.
Nessuno doveva toccarla. Dovevo rammentare quello che era successo la scorsa volta? No.
Ed anche se il lavoro sporco apparteneva a Ryan, questa volta me ne sarei occupato io. Personalmente.
Come cambiano in fretta le cose.
"Cosa dico sempre ai miei carissimi clienti, Joseph?" Lui sputò un rivolo di saliva, non distogliendo lo sguardo dal mio.
Gli afferrai le mani, sbattendole sul tavolo in ferro battuto, "Guardare ma non toccare. E tu hai toccato qualcosa che mi appartiene personalmente"
"Prima o poi me la scopo. Che lo voglia o meno."
Guardai Angelo, sollevando le sopracciglia, che afferrò il suo coltello, lanciandomelo. "Quali sono le dita a cui tieni di più?"
La sua espressione cambiò in un battito di ciglia. Adesso potevo scorgere della paura, del tentennamento. Sì. Mi leccai le labbra: proprio la reazione che avevo sperato di ottenere. E senza agire d'impulso. Si stava pisciando sotto solo alla mia vista.
Gli afferrai la mano destra, "Se non parli, credo proprio che non potrà fregarmene di meno." Con l'altra mano, sollevò il dito medio. Bene. Gli sorrisi, afferrandogli lo stesso dito e mozzandolo in un solo colpo. Il sangue schizzò via a fiotti, sporcandomi. Joseph, intanto, urlava disperato, dimenandosi come un ossesso. Quella era sempre stata la mia musica preferita.
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Alba
RomanceCos'è il buio? Qual è la peggiore perversione umana? E perché le ossessioni sono tutte malate? Perché troviamo conforto nelle nostre tristezze? Perché a noi piace piangere? Perché siamo cresciuti tutti in delle famiglie disfunzionali? Perché quello...