Capitolo Sette.

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"L'uomo, che non erra, non c'è."
Augusto Murri

Arya

Gli errori, anche quelli più insignificanti, si pagavano sempre.

Io, ero un errore.

Nata dal desiderio infimo di mio padre.

Nata da uno sbaglio marginale. Futile.

Io, ero il prodotto di tante sviste.

E, da errore, ero sempre stata invisibile. Una macchia.

Un granello di polvere.

Ero qui, solo perché la natura l'aveva indifferentemente imposto.

E chi nasceva sotto una cattiva stella, il modo e il tempo di ripagare allo sbaglio, non esistevano.

In alcun modo.

E così io, errando un po' qui e un po' là, fingevo di essere ciò che non ero e mai sarei stata: una persona normale.

Quella notte, la musica rimbombava tra le pareti sudicie del Wood Era, gettando l'ambiente in un caos di note spiegazzate e assordanti.

Sfilavo tra i tavolini, con il mio costume striminzito, prendendo ordini, rassettando e servendo.

Il solito odore rancido e alcolico, gettava e risucchiava tutti i presenti in un vortice infinito.

Un buco, fatto di corpi sudati e accaldati.

Corpi, che avevano tutti la stessa faccia.

Ed odoravano di alcool indigeribile e banconote spiegazzate.

Non c'era qualcuno, lì dentro, che possedesse un'anima.

Un barlume di umanità.

"Arya, porta questo al 50" Lo sguardo di Mariah trasudava d'impazienza.

"Vado a chiamare Lucy" Tentai di svincolarmi, guardandola in modo a dir poco pietoso.

"Il tavolo 50 è sempre stato il tuo. Quindi, evita di fare la difficile e sbrigati."

Non potevo dire di non averci almeno provato.

Avanzai lentamente, sfilando tra i tavoli, con malcelata indifferenza.

Sperai di scorgere ben nitidamente la sua sagoma, ma fu tutto inutile.

Il buio era il suo servo oscuro.

E l'invisibilità, un padrone esigente.

Con dita tremanti, appoggiai il Cognac sul tavolino.

Un fascio di luce artificiale, ricoprì brevemente un piccolo angolo, mettendo in bella mostra la sua mano.

Le dita affusolate ed eleganti, stringevano una rosa bianca, dalle spine finemente acuminate.

"Fottiti. Tu e la tua cazzo di rosa." Sputai, presa da un improvviso moto di rabbia cieca, riuscendo a sovrastare anche la musica.

Con l'aria di chi fosse appena finito su una mina, girai i tacchi e mi allontanai da lui.

Con quale coraggio, si presentava lì, per regalarmi oggetti alla quale ero sempre stata legata?

Come faceva a conoscere ogni angolo anfratto dei miei più reconditi ricordi?

Poco dopo, Mariah mi ordinò di andare a ripulire il tavolo.

Con un nodo stretto in gola, mi resi conto che la rosa bianca non c'era più.

L'aveva portata con sé.

Era rimasto solo un bicchiere vuoto.

Nulla di più.

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