Capitolo Dodici.

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"Venite, ora, bambini, svegliatevi – venite, è l'ora, svegliatevi – attenzione, vi stanno ingannando – attenzione, state sognando – venite ora, guardate – essere o non essere, che differenza fa?"
Jack Kerouac

Arya

Da bambina avevo sempre creduto che, una volta cresciuta, sarei diventata qualcuno.
Pensavo che la danza, in un modo o nell'altro, mi avrebbe risospinta lontano da quell'inferno.
L'inferno che erano i miei genitori.
Dopo aver finito le elementari, i miei avevano deciso di non farmi continuare più gli studi.
E mentre lottavo con le unghie e con i denti per non finire in una clinica psichiatrica, con una camicia di forza e schiava dei psicofarmaci, i miei genitori prendevano tutto quello che potevano.
La mia unica via di fuga, a quel punto, era diventata la danza.
E in quel frangente, potevo dimenticare tutto.
Potevo addirittura fingere che qualcuno mi avrebbe vista e mi avrebbe portata lontana da lì.
Ma non succedeva mai.
E mentre i giorni passavano, le mie speranze s'incrinavano, fino a scomparire del tutto.
Entrai nella piccola sala, illuminata solo da qualche applique. A malapena si intravedeva l'ampio divano in pelle e il palo, che svettava proprio di fronte ad esso.
Degli altoparlanti producevano una musica sensuale, che invogliava maggiormente i clienti, ma anche le ballerine.
Non c'erano finestre, ma condotti d'aria che rinfrescavano l'ambiente al punto giusto.
La porta alla mia sinistra si aprì e quasi non mi cadde la mascella sul pavimento.
Entrò con la divisa, come se stesse ancora lavorando.
Camminò lentamente, senza staccare gli occhi dal mio baby-doll bianco e trasparente.
Si gettò a peso morto sul divano, al centro, e accarezzando la pistola agganciata alla cintura, mi invitò a dare spettacolo.
"Agente Morrison, a cosa devo l'onore della sua visita?" Soffiai, immobile come una statua.
"La prego di incominciare a intrattenermi" Replicò lui, serafico, appoggiando entrambe le braccia sui bordi del divano e accavallando le gambe come se quella fosse casa sua.
Sbuffai, ma incominciai a muovermi.
Mi abbassai, girandomi di schiena, mostrandogli il mio sedere.
L'intera sala era gettata nel silenzio, a parte la musica rimbeccante.
Morgan se ne stava composto, neanche un accenno di eccitazione o tentennamento.
Era un uomo tutto d'un pezzo.
Afferrai con una mano il palo, cominciando a svolazzargli attorno, ritrovandomi poco dopo a testa in giù.
"Signorina Davies, io so dove ha imparato a muoversi in questo modo" Disse, infine, arrendendosi. Però, non pareva nient'altro che un modo per estorcere ulteriori informazioni. Dovevo stare attenta. Molto attenta.
"E come lo sa, agente?" Mormorai, sbattendo le lunghe ciglia con fare civettuolo.
Abbandonai il palo, avvicinandomi a lui come una predatrice.
Mi misi carponi sulle sue ginocchia, muovendo il culo come se da esso ne dipendesse la mia innocenza.
"Lo so e basta. Ho sentito che sua madre è morta di overdose. Condoglianze."
Infilai il labbro inferiore tra i denti, trattenendomi dal mandarlo a fanculo. "Grazie"
Mi ricomposi, rientrando subito nel personaggio. "Allora, cosa sa di me, agente?" Domandai, avvicinando il viso al suo, riuscendo a sentire una scia di Sauvage e una punta di nicotina.
"Se glielo dico, non vi sarebbe gusto, no?" Ghignò, mostrando una fila di denti bianchi e immacolati.
Maledetto stronzo.
"Beh, non vi è gusto nemmeno a non saperlo." Ritrattai, sorridendo nel suo stesso modo e non osando distogliere gli occhi dai suoi.
Erano marroni, ma sotto quelle luce soffusa, pareva che l'iride fosse stata inghiottita dalla pupilla.
I suoi capelli ondulati e castani, non intralciavano i suoi lineamenti marcati. Sapevo fosse un bell'uomo, ma sotto quell'atmosfera lo era molto di più. "Mi dica, agente Morrison, lei è sposato?"
Afferrai la sua mano, posizionandola dietro il mio culo, mentre sul suo viso comparve un accenno di forte risentimento.
Oh, sì. Lo sapevo.
Nonostante la rabbia cieca che aveva catturato i suoi occhi per un brevissimo lampo, tenne la mano ferma.
"Sono più un lupo solitario, signorina Davies" Replicò, infine, ricomponendosi.
Un lupo solitario che ce l'ha duro da quando mi ha vista.
"Ma sono venuto qui per continuare quello che non ho portato a termine l'ultima volta" Sputò, abbandonando la mano sul divano. "Io so benissimo che Adam Smith è sparito perché ha avuto a che fare con te" Ogni accenno di cortesia si dissipò. "E se non me lo dici tu, lo scoprirò comunque"
"E lei è qui, per cosa esattamente?" Avrei continuato a dargli del lei, per restare nel personaggio della spogliarellista povera e innocua.
Strinse le labbra in una linea tesa, avvicinandosi pericolosamente al mio viso, "Per capire"
"Che cosa?"
"Quello c'è in te," sputò, "Ma io non vedo nulla. Sei uguale a tutte le altre puttane di strada."
"Eppure ce l'ha duro." Ribattei, puntando lo sguardo verso la patta dei suoi pantaloni.
"Tu conoscevi Adam. Te lo sei portato a letto e poi è improvvisamente sparito. Tu centri qualcosa in questo affare, mia cara. Io lo so con certezza assoluta che stai proteggendo qualcosa o qualcuno."
Il mio sguardo non vacillò, neanche quando scesi dalle sue gambe e gli diedi le spalle, riprendendo a ballare come se niente stesse accadendo.
La danza era la mia unica via di fuga. L'unica che non mi rendeva un essere imperfetto. "Ha pensato che forse sta concentrando tutte le sue forze sulla persona sbagliata, agente?" Afferrai il palo con una gamba, lasciando l'altra in tensione, cominciando a vorticare.
"Oh, fidati, tu non sei la persona sbagliata. Devo solo trovare il suo corpo. E lo troverò, Arya." Mi chiamò per nome, facendomi raggelare.
"Mezz'ora fa mi hanno chiamato dalla centrale. Forse hanno trovato qualcosa."
Strabuzzai gli occhi, continuando a fingere di ballare per non destare sospetti. "E allora cosa ci fa qui? Sta perdendo solo tempo."
"Volevo solo darti la buona notizia." Controbatté, sollevandosi dal divano e sistemandosi la patta, "Ci vediamo dentro le sbarre, Arya"
Si eclissò così com'era entrato, lasciandomi in balia dei miei sentimenti.
Se avessero rinvenuto il cadavere di Adam, eravamo fottuti tutti quanti. Sperai avessero preso soltanto un abbaglio. Lo stalker non era così stupido da lasciare in bella mostra il suo bottino di guerra. No.
Dopo quello scempio di spettacolo, Andres mi mandò via, ma io dovevo discutere con qualcuno di quello che era appena successo.
Martha uscì dall'ascensore, senza smettere di sorridere a chiunque lei avesse davanti. Mi parai davanti a lei, non salutandola nemmeno. Fanculo ai convenevoli. In quel momento, c'erano ben altre cose più importanti.
"Un agente della polizia ha pagato per un mio spettacolo... E-"
"Aspetta, frena. La polizia è entrata ed ha addirittura avuto uno spettacolo?" Il suo viso s'increspò in un cipiglio turbato, "Devo scambiare quattro parole con i buttafuori."
Richiamò a sé uno dei loro uomini, "Angelo, come avete permesso una cosa del genere? Nel locale di Aaron, per giunta!"
Angelo la guardò rabbuiato, facendosi piccolo nel suo metro e novanta tutto muscoli. "Scusami Martha, ma mi ha minacciato di indagare su di me e la mia famiglia. Sapeva perfettamente che non abbiamo un permesso. Sarei finito in guai seri."
Martha si girò verso di me, "Che cosa ti ha detto?"
Mi ritrovai a boccheggiare, "Sta indagando su una scomparsa e crede che io c'entri qualcosa"
La mia responsabile aggrottò le sopracciglia, "Puoi andare, Angelo. Ma la prossima volta che qualcuno della polizia si trova nei nostri paraggi, devi avvisarmi. Intesi?"
Angelo annuì, defilandosi poco dopo.
"Non verrà più a romperti le scatole, ti do la mia parola."
Con quella sentenza, capii che era arrivato anche il mio momento di alzare i tacchi.
Quando varcai la soglia di casa, tutto era immerso nel buio e nel silenzio.
Dentro la doccia, mi abbandonai totalmente al getto caldo e confortevole.
Mi insaponai, eliminando qualsiasi occhiata, tocco e accadimento di quello strano primo giorno all'Alba.
Il mio sguardo cadde verso la piccola finestra, dove svettava la casa accanto alla nostra.
La luce si accese, spegnendosi in una frazione di secondo.
Prima o poi, avrei dovuto indagare meglio.
Ma non era il caso, al momento ero troppo con la merda fino al collo.
Mi infilai un pigiama anonimo, dirigendomi verso la cucina per prepararmi un tè.
Quasi sobbalzai quando vidi una figura seduta al tavolo.
"Aaron... c-cosa ci fai qui?" Stava sorseggiando qualcosa, non osando staccare gli occhi dal muro di fronte.
"Cam mi ha invitato a dormire. Non potevo rifiutare." Soffiò, tenendo lo sguardo lontano dal mio.
"Ah..."
"Ho sentito che uno della polizia è venuto a romperti le palle. Non succederà più." Sentenziò, guardando finalmente nella mia direzione. 
Anche al buio, riuscivano a spiccare i suoi occhi argentati. "Sempre se non finisco dentro..." Mi lasciai sfuggire, tremando improvvisamente per il freddo.
Le porta finestre erano spalancate e l'unico condizionatore che avevamo era sparato a sedici gradi.
Fuori il cielo era nero e pioveva senza sosta. Un vento impetuoso faceva sbattere le tende, gonfiandole come se fossero delle sottovesti.
"Non finirai da nessuna parte." Precisò, spezzandomi in due con uno sguardo deciso e sferzante.
Misi l'acqua nel bollitore, osservando le prime bolle comparire sulla superficie, "Nessuno riuscirà a fermarlo, mi sa. E poi, quando qualcuno vuole qualcosa, riesce quasi sempre ad ottenerlo" Versai l'acqua bollente nella mia tazza preferita, lasciando in effusione il tè
"Quasi sempre, infatti." Mi diede manforte.
Non seppi capire perché, ma con Aaron riuscivo a sentirmi al sicuro. Come se niente avesse potuto farmi del male. Come se lui avesse sempre tutto sotto controllo e non gli potesse sfuggire nulla.
"Comunque... Condoglianze, Arya" il mio nome sulle sue labbra sottili e rosee, suonò come una dolce nenia.
Quelle che una madre ti raccontava dopo aver fatto un incubo.
Feci spallucce, "Sono sollevata. Niente condoglianze." Afferrai la tazza fumante, sedendomi proprio di fronte a lui.
Aaron mi lanciò un'occhiata penetrante, come se volesse far saltare per aria tutti i cardini della mia anima corrotta, "La morte di tua madre ti ha comunque lasciato qualcosa addosso."
"La morte non sempre pareggia i conti" Soffiai sul liquidò verdognolo, facendo un sorso.
"No, hai ragione. Ma adesso hai un buon motivo per andare finalmente avanti."
Cameron gli aveva sicuramente raccontato qualcosa, altrimenti non avrebbe avuto tutte queste sicurezze nel rispondermi in quel modo.
"Si va avanti solo quando esiste ancora una speranza. Ed io, non ho mai potuto permettermelo. Costa troppo." Sostenni il suo sguardo, che non accennava a mutare. Sembrava sicuro di quello che pensava.
"Senza speranze, che senso ha continuare a vivere? Tu ne hai, Arya. Non convincerti del contrario."
Lo guardai, mordendomi il labbro, attonita.
I suoi occhi argentati scivolarono proprio lì, ricomponendosi in fretta.
"Anche se avessi una speranza, sarebbe comunque inutile."
"Qual era il tuo sogno, da bambina?" Proferì, sostenendo il mio sguardo.
"Volevo andare alla Juilliard. Andare lontana da Londra. Lontana da loro, da tutti. Cambiare perfino nome e cognome."
"Sei ancora in tempo." Fu repentina la sua risposta, come se le avesse già studiate prima di parlare con me.
"Hey, cosa ci fate ancora svegli?" Cameron apparve sulla soglia, strofinandosi gli occhi e biascicando nelle sue stesse parole.
"Stavamo giusto andando a dormire, piccola." Il tono di voce di Aaron si addolcì in fretta, come se avesse davanti una creatura meravigliosa ed eterea.
Qualcuno, prima o poi, mi avrebbe guardata in quel modo?

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