9. ANYA

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Il sole del tardo pomeriggio mi chiama, invogliandomi ad uscire dalla mia camera.
Mia madre e la Regina Biancaneve hanno preso un brutto raffreddore - ma che peccato! - dopo essere cadute nell'acqua. L'unica cosa positiva di quella sventura sono state proprio le conseguenze: per via di questo malanno, il solito tè del pomeriggio con la mia futura suocera e Bryce è saltato.
Ne approfitto per fare una passeggiata da sola nei giardini del castello.
Chiedo anche alla dama di corte di lasciarmi sola, in modo tale da prendermi un momento per me stessa. 
Il lato negativo dell'essere una componente di una famiglia reale è proprio quello di non avere mai un attimo di pace, di solitudine e di riflessione.

Passeggio con il tramonto che ricopre tutto ciò che lo circonda, illuminandomi anche il viso con una luce calda e particolarmente intensa.
Un leggero venticello del mese di maggio rinfresca l'ambiente, smuovendo la gonna del mio vestito e gli steli dei fiori, i cui petali si aprono, nonostante la primavera sia iniziata da un bel po'.
Qualche filo d'erba più sporgente rispetto agli altri mi solletica le caviglie mentre cammino. Il canto degli uccelli rende l'attimo ancora più piacevole.
Qualche farfalla mi svolazza intorno.
Sarà per tutto il tempo passato con la Regina Biancaneve che alzo un dito, sperando che l'insetto più regale di tutti si poggi su di esso. 
Un rumore la fa svolazzare via troppo in fretta. Un rumore che fa sobbalzare anche me.

«Incredibile! Stai acquisendo le stesse movenze delle altre cinquanta regine su questo Mondo! Eppure quando ti ho vista poco tempo fa nemmeno sapevi di essere una principessa.»
Una chioma nera, seguita dagli occhi verdi che ho intercettato la scorsa sera si ferma dinanzi a me. 
Ricordo anche io la bugia che gli rifilai, pensando fosse un semplice ragazzo trovatosi sul lago per pescare.
Lo osservo: la tunica verde scura e seguita da un paio di collant... 
Quelli non sono collant. 
Dei pantaloni laghi e grigi gli fasciano le gambe.
Il figlio di Peter Pan sembra accorgersi della perplessità che si presenta sul mio viso.
«Sono molto più comodi questi, sai?» dice, facendo un giro su se stesso.
«Se vuoi te li presto. Anche se hai provato a ferirmi l'altro giorno. Non porto troppo rancore, tranquilla» mi fa un occhiolino.
«Guardie!» richiamo.
Lui resta immobile dinanzi le mie parole.
«Guardie! Guardie presto!»
Nessuno pare sentire le mie richieste. Nemmeno il rumore di passi in lontananza.
Mi guardo intorno, sperando che sia questione di secondi prima che qualcuno possa giungere per chiudere questo selvaggio nelle segrete del castello.
«Chi aspetti, bambolina?» chiede lui, con un tono ilare.
Mi volto di scatto verso di lui, capendo cosa sia successo alle guardie.
«Cosa gli hai fatto?» gli rivolgo uno sguardo torvo.
Lui mi cammina intorno, prima di fermarsi e guardarsi le punte dei piedi, fingendo di preoccuparsi della risposta, come un bambino che teme la reazione dei genitori alla confessione di una marachella.
«Sai...» comincia, alzando finalmente lo sguardo e incastrandolo nel mio. «Le bacche della foresta delle Streghe sono ottime per dormire» sorride. «Specialmente se ne ingerisci più di due alla volta» mi fa un'occhiolino.
Lo stesso moto di rabbia di qualche sera prima torna, accrescendo ad ogni suo ghigno.
«Sei un mostro. Un uomo spregevole. Anzi! Sarebbe scorretto anche definirti uomo! Nemmeno il bambino più piccolo del Regno avrebbe un capriccio del genere.»
Non provo paura, solo un enorme moto di disprezzo verso i confronti dell'essere spregevole che mi trovo davanti.
«Allora che aspetti ad uccidermi? Sono qui. Ammazzami. Distruggimi. Se devo morire...» mi si avvicina molto lentamente. Non indietreggio.
«Voglio che il mio ultimo respiro sfiori queste belle mani...» mi fissa.
I suoi occhi verdi mi guardano da capo a piedi, analizzandomi.
Tengo la testa alta.
«Il collo...»
Si avvicina ulteriormente.
«E che ti smuova questi capelli perfetti, principessina.»
Prova a sfiorarmi una ciocca ramata, ma volto il capo prima che possa afferrarle tra le dita.
«Se ti sto permettendo di avvicinarti, di parlarmi... » stavolta sono io a fissarlo. Lui indietreggia non appena muovo un passo avanti. Non è spaventato: le sue labbra sono solcate da un impercettibile sorriso. 
« È solo perché voglio lasciarti nella convinzione che tu possa davvero riuscire nell'impresa che tanto ti ostini a portare avanti. Credo fermamente nei sogni e voglio solo darti la misera illusione di provarci» ora sono io a sorridere.
«Quindi vuoi scommettere? Scommettiamo che sarò io a distruggerti prima che tu possa sposarti?»
Mi immobilizzo.
Magari lo facessi, penso, farebbe sicuramente meno male.
«Hai paura, piccina?» ride.
«Tranquilla, ti darò del tempo per pensarci» dice, nel frattempo si alza in volo.
«Spero di rivederti presto, e mi auguro che sarà un addio il nostro» si porta due dita sulla fronte per poi portarle verso il basso e volare via.
Stranamente mi auguro la stessa cosa, sperando che la prossima volto potrò vedere la sua testa lontana dal suo corpo, annegata in una pozza di sangue.
Stringo i pugni e mi dirigo verso l'entrata.

(NOT) A FAIRYTALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora