11. ANYA

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Quando rialzo il viso, rigato dalle ultime lacrime, dalle gambe, ormai il crepuscolo ha lasciato il posto alla luce della luna.
Il Regno è silenzioso: solo il suono delle lucciole spezza il silenzio bianco. 
La Regina Raperonzolo ha incaricato alcune fatine di trasportare per ogni Regno delle lanterne, in modo tale da illuminare le strade durante le ore tarde. 
Resto seduta, troppo pigra e annoiata per lasciare il posto comodo occupato qualche ora prima. Rivolgo il mio sguardo verso il castello del Regno vicino, le quali finestra mostrano ancora luci soffuse nelle camere. C'è ancora parecchia attività.
Un brontolio spezza anche il silenzio in cui è immersa la mia camera: mi rendo conto di avere fame.
Chissà che ore sono, mi chiedo.
Chissà se hanno già cenato, continuo a chiedermi.
Recupero le ballerine lasciate ai piedi del largo davanzale: le infilo lentamente, in modo tale che la stoffa della scarpa accarezzi dolcemente tutta la superficie del piede. Abitudine presa, ovviamente, da mia madre.

Sono sul pinto di tirare verso il basso la maniglia della camera, quando una vocina mi obbliga a girarmi.
Una fatina che trasporta una lanterna canticchia una canzone, probabilmente ignara di essere osservata.
Poi però si volta e le sue ali si rizzano. Lascia volare via la lanterna, prima di fuggire, strillando con la sua vocina stridula e infantile.

Corro alla finestra, non capendo il motivo di tanto terrore.
Poggio le dita sul davanzale e apro di più il vetro. Non ho però il tempo di sporgermi perché un viso si avvicina pericolosamente al mio. Indietreggio sotto lo sguardo furbo di due occhi verdi, che sto imparando a riconoscere.
Urto la schiena contro la toeletta, provocando un rumoroso sfregamento di questa sul pavimento.
«Ma guarda un po' chi abbiamo qui» mi sorride il ragazzo dai capelli scuri.
Muovo un passo avanti, abbandonando l'appiglio trovato vicino al mobile appena dietro di me.
«Sei venuto ad uccidermi?» chiedo, sfidandolo. 
Senza chiedere il permesso, dimostrandomi ancora una volta il grande maleducato che è, entra nella mia camera. Poggia i piedi per terra, arrivando a pochi metri distante da me. 
Si guarda intorno. Osserva la toeletta, il letto, sfiora le lunghe tende.

«Non dirmi che qualcun altro ti ha tagliato la lingua?! Avrei voluto farlo io!» mi fingo dispiaciuta, muovendo ancora un passo verso di lui.
Stavolta si volta di scatto, degnandomi finalmente di attenzione.
«Fortunatamente per te, bambolina, la lingua è ancora qui» dicendo ciò, si passa il soggetto delle sue parole sulle labbra, prima di chiuderle in un ghigno perfido.
«Sono qui solo per spaventarti. Purtroppo sei più sveglia di quello che pensavo. Non fraintendermi: credevo che a quest'ora stessi dormendo» comincia a camminare per la stanza, carezzando tutto ciò che gli incute interesse.
«Spaventarmi? Ne sei proprio sicuro?» lo inseguo con lo sguardo. I capelli mi volano intorno al viso mossi dalla brezza notturna.
«Sei spesso nei pressi di questo castello. Credo proprio che qualcuno abbia rubato il tuo cuore. Magari una domestica...» mi porto due dita sul mento, nascondendo un risolino.

«Dimentichi un piccolissimo particolare: il ladro qui sono io. Ci vorrebbe molto di più che qualche vestito stretto sulla vita, guance arrossate e sorrisi adulanti per rubarmi il cuore, principessina» si specchia nella toeletta, ravvivandosi i capelli con un gesto veloce della mano.
«L'unico motivo per il quale mi trovo nella tua splendida dimora stasera, senza aver provato ancora a strangolarti o stordirti con una polvere di fata molto particolare...» mi fa un occhiolino; «... È perché voglio dimostrarti quanto la magia che protegge questo castello sia inutile. Entro ed esco come e quando voglio.»
«Non temi che io possa dirlo al Re?» mi avvicino, rischiando, a lui.
Si posiziona di fronte a me.
Nemmeno un metro ci separa.
«Oh, principessina...» mi solleva con due dita il mento, che ritraggo subito.
«Leggo nei tuoi occhi il desiderio che hai di farmi fuori con le tue stesse mani. Per qualche strana ragione ti farebbe sentire potente come mai nella tua breve esistenza» mi percorre tutta con lo sguardo. Un altro suo passo e ormai la distanza diminuisce sempre di più.
Stringo le dita in un pugno.
Mi irrigidisco non appena il suo respira arriva ad accarezzarmi una guancia.
Guancia su cui il mio livido spicca scuro sotto la luce della luna.
«Ti dona questo colore, ma so che lo preferiresti qui» si indica la sua guancia. Sembra capire la direzione dei miei pensieri.
Mi scappa una risata. Lui non ride.
«Ti faccio ridere?» chiede, avanzando ancora. Se solo respirassi più profondamente il mio petto sfiorerebbe il suo. 
Il suo respiro si fonde con il mio.
Gli occhi incatenati. 
La mia rabbia repressa danza con il suo desiderio di distruzione.
Ma non ho paura.

Non ottenendo nessuna risposta da parte mia, solo un altro ghigno soddisfatto, si allontana dandomi una spallata che mi fa voltare.
Poggia un piede sul davanzale, mentre le sue mani stringono già i bordi della finestra.
«Non conosco nemmeno il nome della persona che mi curerò io stessa di catturare e torturare...» si volta, inaspettatamente, al suono delle mie parole.
«... come e quando voglio
Al buio della notte, riesco comunque ad intravedere le sue labbra contrarsi in un sorriso.
«Sei senza pietà. Sicura di essere la figlia della Regina che lustrava le scarpe alle sorellastre?»
«Magari hanno confuso le culle» alzo le spalle.
«Mi piacerebbe che scrivessi sulla lapide: "Karan, figlio di Peter Pan e Wendy, ucciso dalla principessa più competente del Mondo"» mi fa un occhiolino.
«Lo terrò a mente.»
«Cosa dovrei scrivere io? Su, non vorrei mai non rispettare il tuo ultimo desiderio!»
«Semplicemente Anya» rispondo.
«Ma dai! Nessun complimento per me?» il ghigno si trasforma in una finta smorfia dispiaciuta.
«Non voglio fantasticare sulla tomba che tanto non avrò, Karan. Non vorrei deludere le mie aspettative future» scuoto la testa, mostrandogli un sorriso. 

(NOT) A FAIRYTALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora