Capitolo 1

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Nel sogno, le onde del mare brillano lontane sotto la luce del sole. Ne ho paura, anzi. Ne sono terrorizzata.

Non riesco a vedere il fondale e i miei piedi fluttuano in un vuoto che diventa più nero e pericoloso ad ogni respiro. Cerco di calmarmi, obbligandomi a liberare la mente e fare respiri profondi.

Un tempo mi piaceva l'oceano, sguazzavo tra le onde basse sperando di trovare fossili di antichi animali e ignoravo gli avvertimenti dei miei genitori: forza Stella, esci dall'acqua, si sta facendo tardi. Ed io ci restavo, finché le mani non si riempivano di piccole rughette e il sole iniziava a tramontare all'orizzonte.

Ma ora mi fa paura, quell'oceano che si è portato via ogni cosa.

Ancora nel sogno, i respiri si fanno sempre più affannosi, agito le braccia paralizzata e bevo moltissima acqua. Il sale mi brucia in gola e negli occhi.

Un'ombra si avvicina a me e, improvvisamente, la paura svanisce. Mia sorella mi raggiunge, veloce come un delfino.

L'oceano è casa. Nessun suono esce dalle sue labbra, ma so esattamente che lo direbbe. Me lo ripete in continuazione.

Il suo sorriso mi porta alla lucidità e mi accorgo che il fondale non è poi tanto alto, che le onde non sono così spaventose, ma mi avvolgono con un abbraccio caldo. Aurora ha sempre avuto il potere di tranquillizzarmi e pensare a lei, alla sua forza e al suo coraggio, mi fa immediatamente ritrovare il mio.

Cominciamo a nuotare verso la riva, con il sole del tramonto alle spalle che ci infuoca la pelle.

Ma, poi, qualcosa non va.

Mia sorella viene spinta indietro, lei annaspa e si dimena, urlandomi di non lasciarla. La schiuma delle onde si riversa sopra di lei.

Provo ad afferrarle la mano, e quasi riesco a sfiorare le sue dita protese verso di me. La chiamo, ma l'acqua mi ha già riempito la bocca.

L'oceano si trasforma presto in un mostro e il sole cade via, lasciando posto ad una notte senza stelle. Intanto, Aurora continua a essere trascinata via, lontano da me.

Cerco di raggiungerla, di tenerla con me, ma le onde la spingono giù. Sempre più giù.

Finché un piccolo mulinello d'acqua si apre intorno a lei e Aurora si trova nel mezzo del ciclone. La vedo gridare e poi andare giù, annegare in un mare scuro.

Rory! la chiamo con tutta la forza che ho in corpo, ma lei non può più sentirmi. L'oceano se l'è portata con sé.

' ~ ~ '

Mi sveglio di soprassalto, con le spalle che tremano, la pelle sudata e le lacrime agli occhi.

«Tesoro, tutto bene?» mi chiede mia madre sul sedile accanto al mio.

Annuisco, pensando di avere ancora la bocca piena d'acqua, e giro la testa verso il finestrino dell'aereo. Si vede solo un'enorme distesa azzurra e, in mezzo, l'Australia.

«Siamo quasi arrivati» mi informa mio padre. Lui odia gli aerei e ha paura di volare. Quasi ventuno ore di volo e uno scalo a Los Angeles non sono state facili da sopportare, ma io almeno mi sono portata dietro uno zaino pieno di libri. Anche se, per lo più, sono stati i miei incubi a tenermi compagni.

Mezz'ora più tardi, io e i miei genitori vaghiamo nel mezzo dell'aeroporto di Mackay con facce stanche e le valigie pesanti.

Ecco quello che so dell'Australia: é l'unica isola a essere anche un continente, e l'unico continente a essere anche una nazione. É la casa della più grande cosa vivente esistente sulla terra, la Grande Barriera Corallina, e del più famoso e stupefacente monolito, l'Ayers Rock. Un posto dove si trovano più creature letali che in qualunque altra parte del mondo.

Rory, invece, non l'avrebbe mai descritta in termini così tecnici. Per lei é un paradiso verde, é dove il mare e il cielo si congiungono e, in mezzo a quella linea, c'è la bianca schiuma delle onde e il surf. Per Rory, l'Australia è il sole che brilla sulla spiaggia e la pelle che sa di sale, é la determinazione e la pazienza dell'oceano.

Be'... era tutto questo.

Mi mordo le labbra mentre stringo la bretella dello zaino nel pugno. L'aria è calda, molto più afosa rispetto a Boston.

Un attimo dopo, una vecchia auto rossa suona nella nostra direzione. La portiera si apre e la nonna ci corre incontro con l'entusiasmo di una ragazzina.

«Oh, la mia bambina, ma guarda quanto sei cresciuta! Harold, vieni a vedere quanto si è fatta bella la nostra nipotina» le braccia di nonna Amelia si stringono attorno alle mie spalle.

La loro unica nipotina, adesso.

Ricordo che le estati fino ai miei cinque anni le trascorrevamo tutti qui in Australia, nella casa dei nonni, dov'è cresciuta mia madre. Poi, il terrore di volare di mio padre si è fatto talmente serio e radicato che ha cominciato a posticipare il viaggio l'estate dei miei sei anni e, da lì, a non volerci più andare.

Mia madre ha tentato di convincerlo, ma non c'era verso di fargli attraversare l'oceano ancora una volta. E, in verità, anch'io ho cominciato a preferire le vacanze a Boston. Andare in Australia in estate significava abbandonare l'America nel bel mezzo delle vacanze natalizie, con le nevicate più belle di tutto l'anno.

E, comunque, non sono mai stata una grande amante dell'acqua. Non come mia sorella almeno. Aurora ha continuato ad andare dai nonni ogni volta che poteva. Lei amava l'Australia. E una delle ragioni era il surf.

«Si, lo vedo. Sei cresciuta tantissimo, stellina» il nonno mi si avvicina e gli scocco un bacio sulla guancia. Cerca di non darlo a vedere, ma gli luccicano gli occhi. Ed è in questo momento che realizzo che, nonostante tutto, i nonni mi sono mancati tantissimo.

«Andiamo a casa, sarete stanchissimi» la nonna prende sottobraccio mia madre e dà qualche pacca sulla spalla di mio padre. Non l'ho visto sorridere per tutto il viaggio e ora che finalmente abbiamo toccato la terraferma si è permesso di respirare.

Mi accuccio sul sedile posteriore, la fronte appoggiata contro il vetro freddo del finestrino. Per tutto il tragitto guardo le alte palme di cocco scorrermi davanti come rapide sequenze e, in lontananza, il rumore inconfondibile dell'oceano: gabbiani, acqua che si infrange sugli scogli, surfisti che cercano l'onda perfetta da cavalcare.

E poi sorpassiamo il cartello bianco e giallo, incastrato tra l'alta vegetazione rigogliosa. La scritta è leggermente sbiadita, usurata dai raggi del sole che battono sul legno. Ma il fiore di ibisco al lato é ancora perfetto.

Conny Bay.

Casa.

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