Capitolo 2

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La casa dei nonni si trova in cima ad una collinetta lastricata di erbe, fiori colorati e alte palme. La facciata è semplice, bianca e quasi anonima, ma appena varco la soglia mi rendo conto che è esattamente così che la ricordo.

Con le vecchie foto delle nostre vacanze trascorse qui a Conny Bay, incorniciate e attaccate ad una struttura di legno. Con una piccola tartaruga di porcellana azzurra appoggiata sul mobile d'ingresso e l'enorme quadro che ritrae l'oceano sulla parete dietro al divano in soggiorno.

La casa ha persino lo stesso odore: di sale e biscotti caldi. E, infatti, la nonna ne ha appena sfornati un bel po' al cocco.

«Immaginavo avreste avuto fame» dice lei, mentre mio padre se ne porta alla bocca una manciata, ringraziandola. Sono ancora caldi e la pasta friabile mi si scioglie sulla lingua.

Dopo, la nonna mi accompagna fino in cima alle scale, lungo il corridoio tempestato di foto e targhette di plastica con incise figure stilizzate di canguri e stelle marine. In fondo, a destra, c'è la mia stanza.

É esattamente come me la ricordavo: il pavimento scricchiolante, le pareti bianche e l'enorme finestra che affaccia su un balconcino privato e che dà sull'oceano. Soltanto il letto, ora, è molto più grande e... piuttosto invitante. La stanchezza mi crolla tutta addosso e dopo aver ringraziato la nonna, decido di farmi un bel sonnellino.

Spero soltanto che non sia infestato dagli incubi.

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Quando mi risveglio, con ancora addosso i vestisti del viaggio, decido di sistemare almeno lo zaino. La valigia potrà aspettare a dopo che mi sarò fatta una doccia lunga e gelata.

Posiziono i miei libri sullo scaffale sopra la scrivania, provando una lieta pace interiore nel fare ordine. La casa è in silenzio, quindi ne approfitto per uscire in corridoio in punta di piedi.

É pomeriggio inoltrato, per cui immagino che i miei genitori stiano ancora dormendo, riposandosi dopo il lungo viaggio. É il momento migliore per usare il bagno e fare una doccia.

Mentre raggiungo il bagno, mi accorgo che quella che per anni é stata la camera di mia sorella ha la porta socchiusa. Mi avvicino e, dopo aver fatto un lungo respiro, la accosto, aprendola del tutto.

C'è ancora il suo profumo. La stanza è perfettamente in ordine, con le pareti azzurrine e i grandi poster di surfisti e onde che brillano alla luce del sole. Ricordo perfettamente la primissima volta che siamo venute in vacanza dai nonni. Aurora era determinata ad avere questa stanza, nonostante fosse più piccola. Diceva che l'azzurro delle pareti le ricordava l'oceano e, se apriva la finestra e lasciava entrare la brezza, le sembrava di trovarsi sulla riva in ogni momento della giornata, anche di notte.

Passo la mano sui trofei di mia sorella, tutti ritraenti una tavola da surf. Rory é sempre stata il grande talento della famiglia e una delle ragioni per cui amava stare qui era senza dubbio il surf. Si allenava ogni giorno all'alba, tornava a casa per mettere qualcosa sotto ai denti e poi tornava in acqua.

Mi raccontava sempre che il surf è uno sport complesso, che richiede pazienza e sacrificio, ma è anche estremamente liberatorio. Cavalcare un'onda ti dà l'impressione di essere sovrano del mondo intero.

Eppure, in questa stanza non mi sento affatto libera. Anzi, mi sento soffocare. Guardo i grandi poster dell'oceano e le foto di Rory sulla sua tavola azzurra e non faccio altro che pensare a quello stesso oceano che se l'é portata via. Che l'ha portata via da me.

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