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La neve fiocca leggera, quasi fosse zucchero a velo su una ciambella appena sfornata. Da bambina facevo finta di essere un dolce gigante, e uscivo la lingua per assaggiare i fiocchi.
« Guarda papà! È buona come lo zucchero! » urlavo ridendo, sprofondando i piedi nella neve alta e luccicante come glassa. E lui rideva forte, con la sua camicia di flanella e il berretto di lana calato sulla fronte.
Andavamo sempre a tagliare legna nel bosco, per far scorta per i lunghi e rigidi inverni che ci aspettavano.
Eravamo io, lui e mio fratello William. La nostra casetta ai confini del bosco, ai piedi delle montagne. Eravamo felici nelle nostre piccole cose.
Poi siamo rimasti solo io e William, e la neve è rimasta sempre uguale allo zucchero quando cade e alla glassa quando si posa. Le montagne sono sempre le stesse, variano colore in base alle stagioni, ma restano sempre lì, ad osservarmi dall'alto, imponenti e bellissime.
« Winter, sono pronto. Andiamo? » la voce di mio fratello mi distrae dai miei pensieri. Mi scosto dalla finestra, distogliendo a fatica lo sguardo dal paesaggio invernale che si staglia dietro i vetri appannati.
È imbabuccato nel suo cappotto verde muschio, il berretto nero e i ciuffi biondi di capelli che spuntano ai lati, vicino alle orecchie già rosse per il freddo.
Nasconde il mento nella sciarpa di lana stretta al collo e le mani nelle tasche del cappotto. Stivali da neve ai piedi.
« Andiamo. » afferro il mio zaino e lo seguo in corridoio, giù per le scale di legno, diretti in cucina, dove la nonna sta preparando il caffè, ascoltando il telegiornale del mattino.
« Tutto okay? » borbotta mio fratello, scoccandomi un'occhiata penetrante da sotto le lunghe ciglia, prima di entrare in cucina.
« Sto bene. » sussurro, sperando che la nonna non senta la nostra breve conversazione. Si preoccupa sempre tanto, e invece dovremmo essere noi a prenderci cura di lei. Siamo due ragazzi grandi, maturi e resposabili. Siamo cresciuti cosi, a differenza di molti altri nostri coetanei.
« Ho preparato due panini per il pranzo. Io passerò la giornata da Rosmary, se avete bisogno, chiamatemi pure al numero di casa. » lo dice guardandoci con i suoi grandi occhi azzurri, scrutandoci come fa sempre ogni mattina, come se nel cuore della notte possa mai succedere qualcosa che scombussoli le nostre anime.
« Non preoccuparti nonna Lucy, ce la caveremo. » le scocco un bacio sulla guancia. Profuma di cannella e di vaniglia. È solo sua la colpa per la mia fissazione per i dolci. Da quando abbiamo memoria, ha sempre avuto le mani in pasta, sfornando dolci in ogni buona occasione. E nonostante l'età, continua a viziarci come se fossimo ancora dei bambini di cinque anni.
Mi porge la guancia, e subito dopo un sacchetto trasparente con all'interno dei biscotti. « Sta attenta lungo la strada, cara. »
Me lo ripete ogni volta che mi vede uscire. La paura è rimasta sottopelle in ciascuno di noi, e non si lava più via.
I suoi occhi si velano di tristezza e preoccupazione, e neanche un abbraccio riesce a scacciarle via.
« Sta tranquilla. Sarò prudente. » le rispondo, strofinando una mano sulla schiena esile.
« Come ogni volta. » borbotta William addentando un biscotto dal suo sacchettino personale. La nonna non lo sente, ma io si, e gli scocco un'occhiata di rimprovero, a cui lui risponde con un'alzata di spalle.

Il silenzio in macchina è lo stesso di ogni mattina. Accendo la radio del mio pickup a volume basso, soltanto per sentire le previsioni meteo.
Vado piano, le strade sono ghiacciate. William fischietta un motivo, le gambe stese in avanti e il viso rivolto verso il finestrino.
« Oggi è la giornata dello sport. » afferma, rompendo il quotidiano silenzio.
Stringo le mani sul volante. « Lo so. »
Lui mi scocca un'occhiata confusa, aggrottando la fronte. « Sei nervosa? »
Fisso la strada davanti a me. « No, sono agitata per Amanda. È in ansia per questa giornata, si sta preprando da inizio anno. » è la prima frase lunga della giornata. Di solito arriva a scuola, quando incontro Amanda. Io e William ci limitiamo a risposte brevi, o a cenni del capo.
« E' brava. Se la caverà. » tamburella la mano sul ginocchio, continuando poi a fischiettare.
Lo so che è brava. È forse la migliore in tutta la scuola. Oltre ad essere mia amica dai tempi dell'asilo.
Amanda studia nuoto da quando ha tre anni. È tutta la sua vita.
Ed è il secondo anno di fila che partecipa alla giornata dello sport organizzata dalla scuola, dove gente importante viene ad osservare le diverse discipline, regalando al migliore per ogni sport, una borsa di studio per il college.
L'anno scorso le è stato soffiato il posto da Kai Stevens. È stato un colpo basso, e credo che forse se lo porterà dietro per tutta la vita.
Ma questa volta deve farcela. Non dorme per più di tre ore da settimane ormai, non l'ho mai vista cosi stanca.
Mangia poco e sta trascurando lo studio.
Ma siamo ormai arrivati a scuola, e lascio da parte i miei pensieri, trovando parcheggio al mio solito posto.
Quando scendiamo dal pickup, la nevicata aumenta gradualmente.
Spero che non si trasformi in una tormenta.
Stringendoci nei nostri cappotti, ci separiamo all'entrata, salutandoci con un cenno del capo.
Ho le dita delle mani intorpidite anche attraverso la lana spessa dei guanti.
Mi avvio al mio armadietto, tirando fuori il libro di scienze, la prima lezione del giorno.
Sistemo i biscotti in modo che non si schiaccino sotto il peso dei libri ed entro in classe, sedendomi al terzo banco.
Amanda non è ancora arrivata, per cui mi libero della sciarpa e del cappello e sfilo via il cappotto.
Ho le nocche e le guance rosse. I capelli castani mi ricadono dritti sulle spalle, arrivando fino a metà busto. E prima che possa tirare fuori quaderno e libro, la sedia al mio fianco gratta sul pavimento.
Riconosco il suo profumo alla fragola all'istante, mi invade come un bagno profumato che sa d'estate, di mare, di tempi caldi e assolati. Tutto l'opposto di questa giornata fredda di Gennaio.
« Ho il cuore a mille. » borbotta, ancor prima di dirmi ' Ciao '.
La sua mano corre sulla mia coscia, la stringe. Mi volto appena verso di lei, tirando un lungo respiro.
« Amanda. Andrà bene. » poggio la mano sulla sua, e la stringo a mia volta, cercando di trasmetterle tutta la mia sicurezza.
I suoi occhi scuri si specchiano nei miei, allargandosi come palline da tennis. « E se non dovesse andar bene? »
Chiudo gli occhi per un attimo. Poi li riapro e accenno un sorriso. « Allora vorrà dire che ci saranno altre occasioni. Questa giornata non determina il tuo successo futuro. »
Amanda si morde il labbro inferiore, guardandomi con la sua solita aria spaesata. « Si, ma mi dà modo di entrare al college con una borsa di studio. »
« Allora diciamo che determina una parte del tuo futuro. Ma non ti impedisce di realizzare i tuoi sogni. Ci andrai comunque, al college! Diventerai la più grande nuotatrice del mondo, vincerai le olimpiadi e mi comprerai una casa al Polo Sud, tra i pinguini. » alla mia frase, lei scoppia a ridere. Tutta l'ansia svanisce per un attimo. Il suo viso si trasforma, le guance si rilassano e gli occhi brillano di spensieratezza, come se le mie parole possano trasportarla direttamente in quel paradiso immaginario che ho ricreato.
La sua risata è contagiosa, e non posso fare a meno di unirmi anche io.
« Ti voglio bene, lo sai? » mi domanda, quando la risata svanisce e i suoi occhi si velano nuovamente di ansia.
« Certo che lo so. Nessuno mi sopporterebbe una vita intera, come hai fatto tu. »
Sorride ancora, le morbide onde castane le incorniciano il viso. « Hai ragione. Nessuno è bravo come me a sopportarti. Anche se a volte vorrei soffocarti con un cuscino. O prenderti a sberle. »
Le tiro un pizzicotto sulla coscia, ma il nostro divertimento termina, quando il professor Smith entra in aula, il viso rosso dal freddo.
Mi lascio trasportare dal suo borbottio infreddolito mentre da inizio alla lezione.
Perdo lo sguardo oltre la finestra, sul paesaggio innevato, sulle distese bianche, immaginando che sia glassa, come quella di una grossa torta.

Come le notti in AlaskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora