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« Ti piace? » Charlie è seduto davanti a me, i gomiti poggiati sul tavolo e la curiosità dipinta in viso. « Ci sei mai venuta? »
Stringo le mani in grembo e mi guardo intorno. « Si, è molto carino. Non ci ero mai venuta prima, di solito non ci allontaniamo molto dalla città. Non mi piace guidare per tratti lunghi. »
Il posto è davvero carino. È un pub piccolo, accogliente, con molti tavoli in legno, e divanetti in velluto viola. Su un piccolo palco c'è un ragazzo, che si prepara per cominciare a suonare. Nel mentre, dalle casse esce della musica jazz a volume basso, un sottofondo rilassante.
« Bene, vuol dire che la prossima volta mi consiglierai un posto che ti piace e ci andremo. » afferma, convinto che ci sarà ancora una prossima volta.
Mi piace questa positività che trasmette. Mi da quasi l'impressione che tutto nella vita possa andare per il verso giusto, e dio solo sa quanto vorrei credergli ed essere della stessa filosofia.
« Cosa prendi? »  non apre neanche il menù, forse sa già cosa prendere. « Hai fame? »
In realtà no, però non posso dirgli che ho lo stamco chiuso dall'ansia. Non ho voglia di comportarmi come una bambina. « Ti andrebbe di dividere le patatine fritte con me? » 
Lui sorride come se gli avessi appena fatto una dichiarazione d'amore. « Non devi neanche chiedere. » e prima che possa aggiungere altro, con un cenno della mano, attira l'attenzione di un camerire molto giovane, che si avvicina velocemente al nostro tavolo. « Da bere cosa vuoi? » Charlie mi guarda, mentre il ragazzo segna le patatine nel suo ordine.
« Una coca cola andrà benissimo. » sistemo la borsa al mio fianco, e accavallo le gambe, tirando il vestito sulle cosce.
« Solo coca cola? » inarca le sopracciglia, mentre per sé ordina una birra bionda alla spina.
« Mi piace tantissimo. E poi preferisco non bere. » sopratutto perché non ci conosciamo, sarà meglio che resti sobria.
Lui mi scruta, e poi si abbandona contro lo schienale del divanetto.
Siamo in un posto appartato del locale, ma mi trovo stranamente a disagio. Charlie non mi guarda come se fossi un esperimento da scoprire. Mi guarda come ho sempre desiderato che mi guardasse Peter. Come se si accorgesse della mia esistenza, come se sapesse che io sono una persona. Una ragazza.
Le luci soffuse rendono i suoi capelli ancora più rossi, e quando si mordicchia il labbro inferiore, noto un dettaglio che mi era sfuggito. Alla lingua, brillante come un diamante, ha un piercing verde smeraldo.
Grosso quanto una goccia.
Si accorge del mio sguardo, ed io di conseguenza abbasso il mio, imbarazzata.
« Ne hai qualcuno? » la sua domanda mi prende in contropiede.
« Eh? Cosa? »
Ride, tornando a sporgersi sul tavolo, le braccia incrociate. « Hai piercing? Tatuaggi? »
Scuoto il capo e accompagno il gesto con le parole « No. Sono troppo fifona per fare entrambe le cose. Però mi piacciono molto. E tu? »
« Oltre a quello sulla lingua, si intende. »
Lui continua a sorridere, ma non come se mi trovasse divertente, più come se...fossi tenera e delicata.
« Ho questo alla lingua da quando ho sedici anni. Ho una piccola C tatuata sul petto, un po' più sotto alla clavicola, un maori sulla spalla, e ne ho uno in programma da fare prossimamente. »
« Ah, ho dimenticato i piercing alle orecchie. Solo che ho dovuto toglierli perché mia madre non lo sa. Mi ucciderebbe se lo venisse a scoprire. Sono troppo pieno per i suoi gusti. »
Mi sfugge un risolino, e per un attimo mi ritrovo ad immaginare come siano i suoi tatuaggi, nascosti dagli indumenti.
Indugio con lo sguardo sui suoi lobi, alla ricerca dei buchi. Ma non mi ci soffermo troppo, per evitare la stessa scenetta di poco fa.
Dio, cosa sto facendo? Da quando in qua fantastico sui tatuaggi di un ragazzo?
« Allora... dove eravamo rimasti prima? Ti va di raccontarmi qualcos'altro di te? » mi osserva curioso.
Per me è ancora difficile prendere atto che sono qui, con questo ragazzo più grande che si interessa sul serio a me. Non sono quel tipo di ragazza che dà nell'occhio, che stringe amicizia con le cerchie di ragazzi più grandi. Non so come mi ci sia ritrovata, però mi piace.
E diversamente da come è iniziata questa storia, comincio a sciogliermi pian piano, come un cubetto di ghiaccio al sole.
« Cosa ti piacerebbe sapere? »
« Quello che ti va. Hobby, famiglia, scuola, amicizia. »
« Okay, i miei sogni nel cassetto li sai già. Quello che mi piace te l'ho detto... hai conosciuto mio fratello William, oggi. È un anno più piccolo di me, ma a volte è come se fosse lui il maggiore tra i due. È un bravo ragazzo,se non fosse che cambia ragazza come cambia il vento. »
Lui ride a quella frase, socchiudendo gli occhi. « E' giovane. A quell'età non hai testa per impegnarti. »
Stringo il labbro inferiore tra i denti. Già. Quanto è vero.
Il suo nome si affaccia tra i miei pensieri, ma lo scaccio via con un battito di ciglia.
Afferro la catenina d'argento della collana, e la rigiro tra le dita, attirando il suo sguardo.
Si sofferma sulle mie dita, deglutisce appena. Le sue iridi diventano di un verde più scuro, quasi come se i suoi pensieri si stessero tingendo delle stesse tonalità.
« E tu? Hai fratelli o sorelle? »
Torna a guardarmi, e la sua epsressione si rilassa, come se lo avessi liberato da un peso enorme.
« Ho due fratelli e una sorella. Siamo in quattro. »
« Wow! Dev'essere bellissimo avere una famiglia cosi numerosa! »
Lui solleva una spalla. « Si, finché non cominciano a concepire figli uno dopo l'altro. E ti ritrovi più nipoti che amici. »
Mi fa sorridere. È tutto cosi leggero. Cosi facile. Perché pensavo che sarebbe stato il contrario?
« Quanti nipoti hai? »
« Mio fratello Chris ha due figli, un maschio e una femmina. Mia sorella Charlotte ha un maschietto, e mio fratello Cade ha una femmina. E penso che Charlotte stia cercando di averne un altro. »
« Oddio. Tra compleanni e feste comandate, ti costerà tantissimo fare lo zio. »
« Esatto! Senza togliere le promozioni scolastiche! Quelle sono sempre un'ottima scusa per ricevere regali! »
Ci ritroviamo a ridacchiare senza neanche accorgerci che il nostro ordine è arrivato.
Il ragazzo sul palco sta per cominciare a suonare, per cui afferro la cannuccia tra i denti e guardo nella loro direzione. « È un tuo amico? »
In tutta risposta, lui solleva un braccio, salutando il chitarrista.
« Si. Conosco Jason dai tempi delle medie. È il ragazzo biondo che vedi alla chitarra. È un cover de The Weeknd. »
Afferra una patatina e la inzuppa nel ketchup, per poi portarsela alle labbra. Ora che so dell'esistenza di quel piercing, non riesco a non fissarlo, e mi sento inopportuna. Come si fa a smettere?
« Non conosco molte le sue canzoni, ad essere sincera. » tiro un sorso di coca cola. È fresca, mi da sollievo.
« Sul serio? Che muscia ascolti? »
« Un po' di tutto, non ho un genere o un cantante preferito. Tu? »
« Mi piacciono The Weeknd, i Coldplay. . »
« Quindi stasera è perfetto. » indico il palco, proprio mentre partono con la prima canzone.
Si, stasera è davvero perfetto. Continuiamo a parlare del più e del meno, della scuola, dell'università, dei nostri hobby.
È un giocatore di baseball, vorrebbe allenare da grande, diventare un coach. Vorrebbe avere una villetta a schiera, in un quartiere tranquillo. È il suo obbiettivo, subito dopo aver terminato l'università.
Ci tornerà tra un mese esatto, dopo un periodo di stacco.
Io gli parlo di nonna, della sua passione per i dolci. Non mi domanda perché viva con lei, ed io non vado oltre. Lo apprezzo molto.
Mangiamo patatine, mischiando ketchup e maionese, sfiorandoci casualmente le dita. Ma entrambi facciamo finta di nulla.
« Sapevi che puoi farci la salsa rosa, mischiandoli? » mi domanda ridendo, inzuppando una delle ultime patatine, nella poltiglia di salse all'angolo del piatto.
« Chi non lo sa, Charlie? » è la prima volta che dico il suo nome. Suona strano tra le mie labbra, e ho quasi l'istinto di toccarle, come se avessi detto un segreto incofessabile.
Ci guardiamo negli occhi senza dire nulla.
Le luci del locale che si riflettono nelle sue iridi.
È come guardare un prato disseminato di lucciole.
« Vieni. Balliamo. » rompe quel contatto, alzandosi all'improvviso e allungando un braccio verso di me. Mi tende la mano.
Lo guardo, per poi scoppiare a ridere. « Cosa? Ballare? »
Lui resta immobile, non si scompone. « Certo. Io e tu. Forza. » solleva il mento, inchiodandomi con il suo sorriso.
« Ma non sta ballando nessuno! » dico, sperando che cambi idea.
Primo motivo perché mi vergogno.
Secondo motivo, e più importante, non so ballare.
Ma lui non demorde. Si china verso di me, e le sue mani si chiudono attorno ai miei polsi, tirandomi in su.
La sua presa è salda, le sue dita morbide e calde.
Vorrei opporre resistenza, ma so che non servirebbe a nulla.
« Ora tu, Winter, ballerai con me, anche se non sta ballando nessuno. »
il suo tono divertito coinvolge anche me, anche se mi sento morire dentro dalla vergogna.
Mi lascio sollevare , e quando capisce che starò al suo gioco, mi trascina verso una piccola pista al centro dei tavoli, a pochi passi dal palco, e mi attira a sé.
Non sono mai stata cosi vicina ad un ragazzo, da che ho memoria.
Finiamo per scontrarci, per l'impatto un po' improvviso.
Io sorrido imbarazzata, e lo guardo dal basso della mia statura.
Il suo profumo di pino, di legno , è ancora più forte, ora che è a un palmo dal mio viso.
Poggio le mani sul suo petto. È più duro di quanto pensassi. I miei occhi si incatenano alle mie dita, che afferrano il suo maglione, come a volersi aggrappare a qualcosa.
Il suo profumo mi invade la testa, i pensieri. Ogni cosa.
Il suo corpo preme contro il mio dolcemente. Una mano sulla mia schiena, e l'altra che afferra una delle mie, stringendola, ma senza spostarla.
« Non è un lento. » gli dico, facendogli notare la canzone. La mia voce esce come un sussurro, un fiato di vento in un pomeriggio d'estate.
Lui mi guarda in un modo che non riesco a descrivere. Mi sembra che mi si stiano sciogliendo le ossa. Potrei diventare cenere sotto il sguardo magnetico.
C'è un fuoco in lui che non riesco a spiegarmi, e che brucia anche me.
La sua mano è calda, e racchiude la mia. Un gesto che mi fa sentire protetta, come se nulla possa farmi male.
E l'altra, aperta sulla mia schiena, mi tiene stretta a lui. Il pollice che disegna cerchi sul mio vestito, premendo appena.
Mi manca il fiato, schiudo le labbra.
Riconosco la canzone che stanno suonando, dev'essere passata alla radio diverse volte. Save Your Tears.
« Wow » sussurro, accenando un debole sorriso.
I miei occhi incrociano i suoi, le sue iridi sono di nuovo di un verde scuro, come il muschio.
Sembrano quasi innaturali, bellissimi.
« Cosa? » mi domanda lui, aggrottando la fronte.
Non mi ero resa conto che stavamo ballando, lentamente, fino ad ora, che poggia appena la fronte alla mia, cullandomi dolcemente.
« Questo. Ballare con te. Mi piace. » si. L'ho detto. Con il risultato che ora sono doppiamente imbarazzata.
Ma non posso scansarmi, ne correre via. Sono stretta a lui, con gli occhi fissi nei suoi.
« Anche a me piace ballare con te. » e prima che possa sorridergli, o dirgli qualsiasi cosa, mi afferra entrambe le mani, allontanandosi da me, quel poco che basta per farmi ruotare su me stessa. Scoppio a ridere. Dio, questo ragazzo mi manda fuori di testa.
Mi riafferra all'istante, ridendo insieme a me. Il braccio stretto attorno alla mia vita, le mie al suo collo.
« Winter, Winter... » canticchia il mio nome, una melodia perfetta tra le sue labbra.
« Concedimi ancora un'uscita. » ora è serio, come se avesse paura della mia risposta.
Le mie dita strette dietro la sua nuca, sfiorano appena i ciuffi di capelli ramati. Sono morbidi al tatto.
Riesco a contare ogni sua lentiggine. Sono una costellazione meravigliosa, e l'improvvisa voglia di toccargliele , mi fa prudere le mani.
Vorrei anche stringergli i capelli.
Sarà dettato tutto dal momento.
Io ho per la testa un'altra persona, e Charlie lo conosco a malapena.
E poi stiamo uscendo da amici. Nessuno ha parlato di altro.
Non posso farmi paranoie inutili.
Però rispondo ugualmente « Si. Io voglio rivederti. »
Lui sospira alle mie parole. Stringe entrambe le braccia attorno ai miei fianchi, e continuiamo a ballare in silenzio.
Due ragazzi che ballano in un locale poco affollato, gli unici al centro della pista. Un po' fuori di testa, fuori tempo.
Stretti in un abbraccio, come se si conoscessero da tempo, dopo qualche ora trascorsa a parlare senza sosta del più e del meno.
Ecco cosa siamo.
Avevo quasi dimenticato cosa significasse avere diciotto anni.
Anzi, forse non l'ho mai saputo davvero.

Non penso a Peter. Non penso ad Amanda. Non penso a loro due insieme.
E sto bene cosi.
Sto davvero bene cosi.

Come le notti in AlaskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora