« Winter! » una voce squillante mi richiama dai miei pensieri. Con le braccia ancora strette al petto, mi volto verso la mia migliore amica, che mi corre incontro con le lacrime agli occhi.
Ho un tuffo al cuore. In un primo momento non riesco a capire se siano lacrime di gioia o di dolore.
Ma quando mi si butta al collo, stringendomi forte e scoppia in un singhiozzo incontrollato, le sue parole escono fluide, regalandomi subito una sensazione di sollievo. « Ho vinto la borsa di studio! È mia! »
Provo una miriade di sensazioni insieme: gioia, vittoria, orgoglio, ma anche tristezza, nostalgia, e si, una punta di invidia.
So che la mia migliore amica si merita questo e altro, che si è sudata questo traguardo con i denti e con le unghia. Ma so che la perderò, che andrà lontano, che raggiungerà i suoi obbiettivi, mentre io probabilmente resterò qui, a programmare viaggi che non farò mai e ad immaginarmi nei posti più freddi del mondo.
Ma non è questo quel che si merita Amanda in questo momento. Ora ha bisogno di me, e devo metterci tutta me stessa per regalarle la gioia e il sostegno di cui ha davvero bisogno.
« Lo sapevo che ce l'avresti fatta! Sei grande, tesoro! Sono cosi fiera di te! » le strofino una mano sulla schiena, trattenendo le lacrime che minacciano di uscire.
Lei mi afferra per le spalle e mi guarda con gli occhi carichi di lacrime.
« Non potevo crederci! Sono venuti a comunicarmelo non appena ho messo piede nello spogliatoio! Non hanno avuto da pensare, questa volta! » lo dice tutto d'un fiato, come se potesse buttar fuori un polmone e continuare a vivere normalmente.
Le sorrido, stringendo le mani alle sue, come quando eravamo bambine.
« Io te l'ho sempre detto che nessuno te l'avrebbe portata via! Te la sei meritata tutta! E ora puoi finalmente cominciare a fare le valige per Tampa! » L'università della Florida che le ha offerto la borsa di studio.
Lei annuisce con vigore, e aumenta la stretta delle dita, facendomi quasi perdere la sensibilità.
L'odore della pioggia si mischia al suo da post doccia, di shampoo alla fragola e di qualche residuo di cloro.
« Mamma e papà sono già al corrente, ma io non vedevo l'ora di dirlo a te! » sorride, come se non riuscisse a smettere.
« Bene, allora dobbiamo festeggiare! » affermo, grondando del suo stesso entusiasmo, col cuore che pompa a tutta velocità.
Ma qui il suo sorriso si spegne appena e le sue mani lasciano le mie.
« In realtà mi ha appena invitato il coach a partecipare alla cerimonia di questa sera. Ci saranno tutti i ragazzi che hanno vinto la borsa di studio con i loro insegnanti. »
Mi guarda come se avesse paura che io possa scoppiare a piangere da un momento all'altro. Ma tutto ciò che mi limito a fare è alzare le spalle e continuare a mostrarle un sorriso rassicurante. « Devi andarci! Da oggi comincia la salita per il tuo futuro! Noi due avremo tempo per festeggiare! Divertiti e goditi il tuo momento! » quella punta di invidia continua a farsi strada nel mio petto, risucchiandomi tutta l'aria.
Ma questa volta è un tipo di invidia diversa. Perchè stasera non sarà con me a festeggiare il suo successo, ma con altre centinaia di persone che neanche conosce.
Ma dopotutto è questo che ci riserva il futuro. Non posso pretendere che resti con me in questa bolla privata.
Le sorrido un'ultima volta, prima di acconsentire a sentirci al suo ritorno, questa sera tardi. Poi la vedo rientrare negli spogliatoi, e quel groppo che mi impediva di respirare, finalmente scende giù, trasformandosi in lacrime.
Sono arrabbiata con me stessa.
Asciugo con rabbia le lacrime, strofinandomi le guance. Sbatto le palpebre e sollevo gli occhi verso il cielo in burrasca.
Sapevo che sarebbe stata una giornata difficile emotivamente.
Ed ultimamente non posso far nulla per calmare tutte le sensazioni che si fanno spazio dentro di me.
È come se l'adolescenza stesse andando via, lasciando dietro di sé una scia di amarezza e rimpianti, e sensazioni negative difficili da lavare via.Guido fino a casa in totale solitudine. La pioggia continua a venir giù, i tergicristalli in azione. Vado piano, perché il terrore che possa succedere qualcosa resta sempre in agguato dietro l'angolo.
William mi ha scritto poco fa, dicendomi che sarebbe rimasto a giocare a scacchi con i suoi amici. Ed io mi sono adeguata di conseguenza, a questa serata in totale solitudine.
Le dita strette al volante e i sensi di colpa in allerta.
Vorrei non aver provato ciò che ho provato quando Amanda mi ha comunicato la bella notizia. Non sono mai stata quel tipo di amica, ma ora che l'età adulta si avvicina, e con essa tutte le conseguenze che ne derivano, comincio a vedere la realtà per quella che è.
Non ho voglia di andare al college. Non ho aspirazioni, se non quella di viaggiare. Non so cosa vorrò essere da grande, non so neanche se voglio diventare grande. Magari potrei restare a casa con nonna, a sfornare biscotti, a leggere le sue riviste di dolci, e a preparare torte.
Non è quello che mio padre vorrebbe per me.
Non lo vorrei neanch'io per me stessa. Ma non so cos'altro pensare, e quando ci provo mi assale l'ansia, e non riesco più ad essere lucida.
La spia del carburante mi riscuote dai miei pensieri. Per fortuna c'è il primo benzinaio a pochi metri.
Quando spengo il motore, tiro un sospiro di sollievo. Con questo tempaccio non mi piace guidare.
Scendo dal pickup e mi avvio al distributore.
Nel mentre il telefono vibra nella mia tasca, e tirandolo fuori mi accorgo che è un messaggio di Amanda.
In allegato c'è una foto che ritrae tutti gli studenti che come lei hanno vinto la borsa di studio. Un'allegra foto di gruppo.
E tra tutti loro, per poco non mi prende un colpo, c'è anche lui.
Lo riconosco dal suo sorriso, dalla sua mascella pronunciata e da quello sguardo penetrante.
Tra lui e Amanda ci sono altri due ragazzi che credo di conoscere appena.
Amanda sorride, all'oscuro che proprio lì vicino a lei, c'è la persona per cui probabilmente, farei qualche follia.
L'unico segreto inconfessabile che non dirò mai ad anima viva. Non lo ammetto neanche a voce alta, a me stessa, figurarsi dirlo ad una persona vivente in carne ed ossa. È una cosa mia e solo mia. Una cosa che voglio tenermi stretta, di cui sono molto gelosa, e di cui non vado assolutamente fiera. Perché quale ragazza sana di mente, ha una cotta per lo stesso ragazzo da cinque anni e non fa un passo in avanti? Nessuna. Tranne me.
Mando giù quel senso di amarezza, mentre l'invidia cede il posto al panico.
Con dita tremanti le rispondo " divertiti, tesoro. " Il panico cede il posto al senso di colpa, nuovamente.
Poggio la testa al muro di fronte, tirando un lungo sospiro.« Ehi tu, tutto bene? » una voce maschile rimbomba nello spazio vuoto.
Sollevo la testa spaventata, incontrando un paio di occhi verdi come i prati assolati d'estate.
Un ragazzo alto, stretto in una giacca a vento verde militare, si avvia nella mia direzione.
Ha i capelli più rossi che abbia mai visto, un paio di occhiali dalla montatura marrone e una spruzzata di lentiggini sul naso.
« S-si... stavo per far benzina. » borbotto, avvertendo una punta d'ansia nel petto.
Lui si ferma a pochi passi da me, corrucciando la fronte.
« Pensavo stessi male. Perdonami. »
Abbozzo un sorriso storto, sentendomi agitata e imbarazzata.
« Tranquillo, e grazie per il pensiero. »
« Non volevo spaventarti. Ma sei qui tutta sola, con questo tempo, e ti sono corso incontro. » i suoi occhi sembrano sinceri, non c'è traccia di maliziosità o di pericolo.
E poi non muove un singolo passo nella mia direzione, resta fermo lì dov'è, senza però distogliere lo sguardo dal mio.
« Sto tornando a casa. Sono appena uscita da scuola. » mormoro a bassa voce, sperando che mi abbia sentito, nonostante la pioggia.
I suoi occhiali sono spruzzati di gocce d'acqua, ma lui non se ne cura.
Non so se sia buona cosa dire i fatti miei ad un perfetto sconosciuto.
Al buio, in un distributore di benzina, in piena notte.
« Frequenti il liceo qui vicino? Ci venivo anch'io, qualche anno fa. Se non sbaglio è la giornata dello sport, vero? » il suo primo sorriso compare sul viso lentigginoso. E non so perché, ma quel gesto mi dona sollievo e calore, come se fossi appena entrata in un luogo caldo e accogliente.
« Si, oggi è la giornata dello sport. Lo ricordi a memoria? »
Inclino la testa, scrutandolo attraverso le ciglia bagnate di pioggia.
« Si. Anni fa ho vinto la mia borsa di studio per Harvard. Non posso dimenticare un giorno cosi. »
Un sorriso amaro si fa strada sul mio viso.
Possibile che sia rimasta io e io a non vincere borse di studio sportive?
« Che sport pratichi? » domando, cercando di tenere da parte i miei pensieri funesti.
« Baseball. Tu invece? Pratichi sport? »
Vorrei ridere. Ma non sono il tipo che si apre cosi tanto dinanzi ad uno sconosciuto.
« No. Non mi piace lo sport. »
Lui abbozza un sorriso e abbassa lo sguardo. Non so cos'altro dire, e credo anche lui. Colpa mia e della mia risposta molto distaccata e fredda.
Stringo le mani a pugno a disagio.
Gli rivolgo un altro sorriso storto che sembra più una smorfia e faccio per andarmene.
« Aspetta. Come ti chiami? »
Mi fermo, restando di spalle.
Perché vuole sapere il mio nome?
Mi volto lentamente, le mani ancora strette a pugno.
« Winter. Tu? »
Lui mi sorride. Si passa una mano tra i capelli. « Io sono Charlie Evans. Mio padre è il propietario del distributore e della locanda alle nostre spalle. »
Perchè mi da queste informazioni su di sé? Io non gliel'ho mica chiesto. E sopratutto, non gli ho detto il mio cognome.
« Abiti qui? » mi domanda ancora.
Il senso di disagio accresce. Conoscere estranei mi innervosisce.
Anche se lui sembra cosi gentile. Sono io il problema, e ne sono consapevole.
« Si. Ai confini del bosco. » deglutisco. Spero di non aver fatto un grande errore. E se si trattasse di un serial killer? Non bisognerebbe mai dare confidenza agli estranei. Anche se questi ti offrono caramelle.
« Non mi ricordo di te. Dovremmo esserci incontrati negli anni scorsi, a scuola. »
Che novità. Nessuno mai si ricorda di me. È uno dei miei pochi obbiettivi, quando sono a scuola. Passare inosservata. E a quanto pare, ci riesco alla grande.
« Sono una persona molto solitaria. » già. Chi l'avrebbe mai detto, Winter?
Lo vedo sorridere, abbassare lo sguardo sulle sue scarpe e tirare un calcio a un sassolino che rotola verso di me.
« Io sono tornato per un po' a casa. Tra qualche mese rientrerò ad Harvard. Quindi magari ci si vede in giro. » solleva le iridi verdi su di me, puntandole nelle mie.
E quest'ultimo sguardo mi trafigge, come se potesse sprofondare dentro di me. Fino in fondo all'anima.
Mi ritrovo ad annuire senza volerlo davvero. Un cenno appena visibile del capo, ma comunque una conferma alla sua frase. « Va bene. Ci si vede in giro. » ribadisco a parole, pur di non sembrare una matta, più di quanto già lo sia per davvero.
E con l'immagine del suo sorriso stampato in testa, gli do le spalle e salgo sul mio pickup. Mentre giro la chiave del motore, mi volto per guardarlo.
Mi fa un cenno col mento, infila le mani nelle tasche dei jeans e torna verso la locanda a testa china sui suoi passi.
Resto a fissarlo fino a quando non sparisce oltre la porta a vetri colorata. E soltanto quando riparto che mi rendo conto di non aver fatto benzina, ma di essere assolutamente rimbecillita.
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Come le notti in Alaska
RomanceWinter ha un sogno nel cassetto: visitare i posti più freddi del mondo, proprio come faceva suo padre. Non a caso il suo nome vuol dire ' inverno ' la stagione preferita del genitore ormai defunto da soli due anni. Winter cresce con suo fratello W...