12.

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Ho infilato in valigia un po' di tutto, anche se si tratta di una sola notte.
Non pigiami carini per dormire fuori, l'unico un po' più decente è quello con i disegni delle barrette di cioccolata, un regalo di San Valentino dello scorso anno da parte di William.
Da quando abbiamo dodici anni, abbiamo decretato che saremo l'uno amore della vita dell'altro. E che ogni anno, per dimostrarcelo, avremo dovuto farci un regalo per la festa degli innamorati.
La cosa è sempre stata buffa, ma se ci si sofferma a pensare, la famiglia
è l'unico amore eterno che non passerà mai.
William è quell'amore. Sarà l'unico uomo incapace di spezzarmi il cuore, ed io altrettanto con lui.
Afferro il mio shampoo alla vaniglia e la crema corpo. Poi richiudo finalmente la cerniera, puntando le mani sui fianchi.
Osservo l'orologio; sono le cinque del pomeriggio. Fuori è già buio pesto, a breve arriverà Charlie, e insieme ci dirigeremo verso la cascina in montagna dei genitori di Peter.
Lui e Amanda sono già lì.
La prospettiva di queste ore in loro compagnia, con Charlie al mio fianco, continua a farmi pressione sul petto. Non vedo l'ora sia domani a quest'ora, per poter decretare questa tortura finalmente terminata.
Tiro un lungo sospiro e poi agguanto la valigia, trascinandola sul pianerottolo di casa.

William esce dal bagno in una nuvola di vapore, stretto nel suo accappatoio azzurro mare , passandosi un'asciugamano sui capelli biondi.
« Quanto starai via? » mi domanda, notando la mia valigia.
« Una notte »
Le labbra si incurvano all'insù in un sorriso divertito. « Sembra che li dentro ci sia roba per una settimana intera. »
Gli faccio una smorfia. « Divertente, molto. Ma preferisco trovarmi preparata a qualsiasi evenzienza. »
Lui corruga la fronte, improvvisamente preoccupato, gli occhi azzurri che lucciano, i ciuffi biondi bagnati che ricadono disordinati sulla fronte. « Okay, Winter. Questo non è divertente, però. Ti prego di stare attenta, a qualsiasi cosa tu decida di fare. »
Avvampo, per poi tirargli un pugno senza forza sul suo bicipite. « Cretino! Non farò nulla con nessuno. Non sono quel tipo di persona, lo sai pefettamente! »
Lui ride, ora sollevato dalle mie parole. Ed io ci tengo a precisare « Sto portando via il mio pigiama con le stampe della cioccolata, se questo ti rincuora. » sono ancora dello stesso colore delle sue lenzuola del letto, rosso pomodoro, dove si avvia a piedi scalzi, abbandonando l'asciugamano con cui strizzava i capelli poco fa, per terra. « Ehi! Quel pigiama è sexy da morire! »
Lo guardo inclinando la testa. Poi entrambi ridacchiamo come se avessimo appena fatto una marachella. « Ti voglio bene. Ci vediamo domani. E non far preoccupare la nonna! » gli punto contro l'indice, per poi avviarmi alla porta. La sua voce mi segue fin lì. « Potrei dire lo stesso di te! Divertiti, sorellina! »

L'aria è gelida quando varco la soglia. Mi stringo nel mio cappotto, chinando il mento nella mia sciarpa.
In montagna c'è neve, mi ha avvertito Amanda. Per cui mi sono munita dei miei indumenti migliori per sopravvivere nel mio paradiso personale.
Il cielo è limpido, le stelle fanno da spettatrici. È la notte perfetta da trascorrere in montagna. Vorrei soltanto avere la compagnia giusta.
Sospiro, abbassando le spalle, proprio mentre un clacson cattura la mia attenzione.
Charlie è lì, nella sua auto, fermo davanti al vialetto di casa.
Spicco una corsa, respirando l'odore dell'inverno e del bosco adiacente alla mia casa.
Vengo accolta da un'abitacolo caldo e profumato.
È qualcosa di meraviglioso, ogni volta, entrare nella sua auto. « Ciao, bellezza. » Charlie mi sorride, ed io mi perdo nei suoi occhi verdi, venendo trasportata in un'altra stagione.
Si china verso di me prima che io possa anche solo dire ' ciao ' e mi lascia un bacio sulla guancia.
È il primo vero sfiorarsi da quella sera. Le sue labbra sono morbide, e sulla mia pelle bruciano come due tizzoni ardenti.
Mi sento scossa da un brivido, sopratutto quando lui si scosta appena, una mano ancora sul volante e l'altra sul cambio manuale, gli occhi puntati nei miei, le lentiggini evidenti anche con gradi sotto lo zero, e la zazzera di capelli rossi sempre disordinati, come se ci passasse continuamente le dita.
« Ciao » riesco a biascicare, dopo un tempo indefinito.
Lui sorride e parte lentamente, per poi intraprendere un ritmo controllato in strada.
« Come è andata questa settimana? » mi domanda, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Ecco perché riesco a fidarmi di lui, nonostante la poco conoscenza che ci unisce. Ha il potere di farmi sentire a suo agio. Non fa nulla che possa mettermi in difficoltà, o anche solo farmi dubitare della sua persona.
« E' stata un po'.. difficile. Ma per lo meno, scuola è rimasta chiusa per tre giorni. E ne ho approfittato per portarmi avanti con i compiti. » lo guardo, cercando di studiare le sue reazioni quando parlo. Sembra davvero interessato a tutto quello che dico. E non sto dicendo assolutamente nulla di speciale.
« Tu invece? Hai fatto qualcosa di bello con la tua famiglia? »
Alla mia domanda lui scuote mesto il capo, scoccandomi un'occhiata sfuggente, per poi tornare ad osservare la strada.
« Sono tornato ad Harvard per due giorni. Avevo una partita importante, ma sono ritornato per il weekend. Speravo di vederti. »
L'ultima frase è seguita da un silenzio imbarazzante. Si aspetta che io dica qualcosa. E probabilmente dovrei farlo. « Mi spiace. Non ero dell'umore giusto per uscire. Non perché non volevo vedere te, ma avevo bisogno di stare da sola. » ed in parte è vero.
« Come è andata la partita? » accenno un sorriso, quando si volta ancora verso di me, ascoltando le mie scuse.
« Non devi scusarti. Non voglio che tu lo faccia. Se volevi sparire del tutto l'avresti fatto, senza neanche rispondermi agli sms. È normale prendersi del tempo per se stessi, quando non si è nei periodi migliori della propria vita. »
Abbasso lo sguardo alle sue parole, fissandomi le dita strette in grembo.
Fuori il paesaggio è ancora quello della città. Ci vorrà mezz'ora per arrivare su in montagna. Ma non sono agitata per il tragitto, quanto per l'arrivo.
« Comunque abbiamo vinto. Se ce la giochiamo bene, quest'anno, potremmo vincere il campionato. » il suo tono sfuma appena nell'orgoglio e nella soddisfazione. Come un qualunque sportivo che ami il suo sport e che sia vicino al traguardo. Mi ricorda un po' Amanda, magari andrà d'accordo con lei. E anche con Peter, visto che praticano lo stesso sport.
Io sono l'unica incapace di tirare un pallone, o qualsiasi altra cosa.
« Sono davvero contenta. Anche se non pensavo che il viaggio da qui ad Harvard fosse cosi breve. »
Lui solleva le spalle, afferrando con entrambe le mani il volante dell'auto, distendendo le braccia, i bicipiti gonfi e le vene delle mani in rilievo.
Questa sera indossa gli occhiali. Ha un maglioncino rosso con lo scollo a V, un paio di jeans marroni e delle scarpe nere.
È sempre molto carino, non posso negare l'evidenzia.
« In realtà occorrono diverse ore di aereo. Ma ne vale la pena. »
Mi guarda di sfuggita, un'altra volta. Come se volesse sottolineare qualcosa.
Per cui tengo per me la domanda che volevo porgli e cambio discorso, dirottandolo su altre cose banali.
Riusciamo a parlare del più e del meno, senza tornare su argomenti imbarazzanti. Ripenso alla sua ultima frase, durante la conversazione telefonica di qualche ora prima, quel ' tu mi piaci, Winter. '. Credo che volesse dire come persona, che si trova bene con me. Non in altri sensi. Non penso di essere il suo tipo. Lui è cosi aperto al mondo, curioso, brillante, simpatico, gentile.
Io sono timida, impacciata, un bocciolo di un fiore che non riesce a schiudersi. Siamo due poli opposti, che finiscono per ruotare l'uno intorno all'altro, senza però mai sfiorarsi.
Accanto a lui ci starebbe bene una ragazza con i contro fiocchi, una con una bella lingua lunga, atletica, spiritosa, frizzante. Tutte qualità che non mi appartengono affatto.
Gli vado bene come amica, perché almeno in quello so essere brava, anche se sono ancora un po' chiusa nella mia bolla di timidezza.
Lo ascolto parlare, mi racconta dell'università, del Massachusetts e dei suoi posti magnifici, di come gli piaccia viaggiare in aereo, guardare il mondo dall'alto e le luci delle città.
Mi racconta dei suoi amici, lì ad Harvard. E di quelli che si è lasciato qui a Bainville, quelli con cui si stava allenando prima, quando l'ho chiamato e ho sentito quel gran vociare.
La sua vita è cento volte più entusiasmante della mia. Farebbe sognare William, se solo lo ascoltasse parlare.
Mi perdo nelle sue parole, e mi lascio trasportare in un mondo che non mi appartiene, facendo finta, per tutta la durata del viaggio, di non appartenere alla mia vita.
E soltanto quando imbocchiamo la strada che porta alla casa di Peter, che mi si annoda lo stomaco.
Mi agito sul sedile, sbuffando appena.
« Sei nervosa? » mi domanda Charlie, aggrottando la fronte.
« Un po'. Come avrai ben capito, conoscere estranei mi agita. » lo dico con un sorriso poco convinto.
Lui annuisce, probabilmente ricordandosi il nostro primo incontro, disastroso, tra l'altro.
« Mi spiace per Amanda. » gli dico, tenendomi le mani sulla pancia, come se fossi sul punto di vomitare.
Charlie sogghigna. « Ti stai scusando in anticipo per le stranezze della tua migliore amica? »
Annuisco con vigore, e quel movimento mi fa sentire nauseata. « Si. Te l'ho detto, lei è famosa per i suoi castelli in aria, quindi probabilmente ti tratterà come se tu fossi il mio ragazzo. Non farci caso, semplicemente, ignorala. »
Guardo fuori dal finestrino, cercando di concentrarmi sullo spettacolo mozzafiato che ci si para davanti; la montagna innevata, le foreste bianche, silenziose, cariche di segreti.
Charlie resta in un religioso silenzio. Non mi volto per scrutare la sua espressione, ma penso che stia evitando di dirmi che non sarà mai il mio ragazzo.
Le ruote scricchiolano sulla ghiaia del vialetto di un'immensa cascina, una di quelle che si vedono nei film, quando qualche ricco neyorkese, acquista una casa in montagna per trascorrerci il suo ricco e maestoso Natale.
« Wow. Davvero niente male. » borbotta Charlie, assotigliando lo sguardo alla vista della dimora.
È tutta in legno, con un giardino ed una veranda. Le luci all'interno sono accese, regalando all'ambiente, tranquillità e calore.
Una Volvo nera opaco è parcheggiata davanti al garage. Credo sia quella di Peter.
Charlie gli si ferma accanto, e spegne il motore. « Come si chiama il ragazzo della tua amica? »
Mi si attacca la lingua al palato. Maledizione. Non andare in panne, Winter. Non cominciamo.
« Peter Hamilton. » sussurro a fatica, per poi afferrarmi il labbro tra i denti.
Charlie non fiata. E la cosa mi sorprende. Lo osservo, ed è lì, immobile contro lo schienale. Lo sguardo fisso sulla casa.
Sembra arrabbiato. Non saprei neanche il perché. Lo conosce?
Vorrei domandarglielo, ma spalanca lo sportello ed esce dall'auto.
Oddio. Ho fatto un errore colossale ad invitarlo?
Ma prima che possa domandarmelo, Charlie apre il mio di sportello e tende la mano nella mia direzione, un invito a scendere.
L'afferro, imbarazzata. Certi gesti cosi gentili, non sono da tutti gli uomini su questo pianeta.
Stringe le dita attorno alle mie, lanciandomi una scarica elettrica che mi pervade dalla testa ai piedi. E quando sono in piedi davanti a lui, i suoi occhi inchiodano i miei. Un abisso di foreste e boschi. Non so cosa sia successo al suono del nome di Peter, ma il Charlie che ho conosciuto io, è diverso da quello che mi si staglia davanti.
Sembra quasi arrabbiato con me.
Come se lo avessi ferito in qualche modo. Ma quale?
Eppure non rinuncia alla sua galenteria nei miei confronti. Tira fuori dal cofano i nostri bagagli, posizionandoli sulla neve.
La porta della casa si apre, rivelando la figura di Amanda stretta in un plaid rosso e verde, che mi sorride radiosa, e scende i gradini della veranda, venendoci incontro. Alle sue spalle compare Peter, i capelli neri arruffati, un maglione nero e i pantaloni di tuta grigi. Le mani calate nelle tasche quando ci raggiunge, alle spalle della sua ragazza.
Mi sembra di essermi immersa in un lago ghiacciato.
Non ho più fiato. Non ricordo come si faccia a respirare.
I suoi occhi si sollevano, e per primi incrociano i miei.
È la prima volta in tutta la mia vita, che si accorge della mia presenza. Che mi guarda dritto negli occhi.
È il mio primo contatto visivo con il ragazzo che tormenta i miei sogni da cinque anni.
Perdo ogni lucidità, ogni pensiero razionale.
Le sue labbra carnose, la mascella pronunciata e gli zigomi arrossati.
Ho caldo anche se siamo a meno sei gradi.
« Ciao, tesoro! Sono cosi felice che tu sia qui! » Amanda mi si getta tra le braccia. Ha un nuovo profumo addosso, e sospetto che sia quello di Peter.
Muschio, dopobarba. Non è il solito profumo estivo di Amanda. Ed è un pugno allo stomaco. Forte. Deciso.
Cerco di muovere la bocca per sorriderle, quando ad interrompere ogni mio imbarazzo è Charlie, che mi si affianca, ed il suo profumo di bosco e legna tagliata sopraggiunge a quello che Amanda ha addosso.
Avverto il suo calore al fianco dove lui è poggiato, come se volesse proteggermi.
« Ciao, io sono Charlie. E tu devi essere Amanda. » allunga la mano verso di lei. Tra tutti noi quattro, lui è il più alto. Persino di Peter.
Amanda guarda il ragazzo accanto a me, strabuzzando gli occhi.
« In persona! Winter non mi aveva detto che fossi cosi bello! »
Ci sono tre tipi di reazioni: Charlie scoppia a ridere, per nulla imbarazzato. Io vorrei sprofondare sotto la neve e sotterrarmi viva, mentre Peter lancia un'occhiata in direzione della mia migliore amica. Un'espressione che non riesco a decifrare.
Indignazione? Fastidio?
Forse entrambe le cose.
« Io sono Peter, il ragazzo di Amanda. » fa un passo avanti, e allunga la mano verso Charlie.
Il sorriso del mio amico svanisce lentamente, e con un'estrema lentezza, ricambia la stretta.
Le loro mani restano qualche secondo in più del dovuto, come se l'uno cercasse di stritolare le dita dell'altro.
Mi schiarisco la gola, e solo allora, gli occhi di Peter tornano su di me.
« Ciao, Winter. »

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