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Comincia a fioccare nel momento in cui salgo sul pickup, abbandonando la testa contro il sedile. Ora che sono sola posso finalmente lasciarmi andare ad un lungo sospiro e ai miei sensi di colpa. Sono arrabbiata con me stessa per essere fuggita via in quel modo, come una ladra. Sono arrabbiata perché provo questa gelosia assurda che mi corrode l'anima, e vorrei strapparmela dal petto e darle fuoco.
Sono arrabbiata perché vorrei piangere e permettermi di essere fragile anche per un solo secondo, e invece devo essere forte, perché se mi lascio andare, non so se riuscirò a risalire a galla.
Afferro il volante con entrambe le mani, stringendo gli occhi per evitare alle lacrime di sgorgare inesorabili. Rilasso il respiro e mi ripeto che sono soltanto mie assurde illusioni, che non ho appena spinto la mia migliore amica tra le braccia del ragazzo che mi piace da praticamente...sempre.
Mi ripeto che avranno parlato del piu e del meno, con la promessa di rivedersi in giro. Magari lei lo avrà trovato antipatico, un po' borioso, o sciupafemmine.
No, Amanda non si lascerebbe abbindolare da uno cosi.
Il telefono comincia a squillare dall'interno della mia borsa, poggiata sul sedile di fianco.
Lo guardo, sapendo già di chi si tratti.
Non posso evitare di rispondere, prima o poi dovrò comunque affrontare la situazione.
Sospiro ancora, mi allungo e lo afferro, osservando il nome della mia migliore amica lampeggiare sullo schermo.
« Ehi! Ma dove sei finita? Mi sono distratta due minuti e non ti trovo più! » sta camminando, lo sento dal leggero affanno nella voce.
Posso immaginarla con la borsa a tracolla pesante, i libri tra le braccia e il telefono incastrato tra la spalla e la guancia.
« Perdonami! Mia nonna mi ha chiamato. È saltata la corrente e sto tornando a casa per vedere cos'è successo. » mi mordo l'interno guancia. Odio dire le bugie, sopratutto se devo dirle alla mia migliore amica.
« Non volevo interrompervi. Non mi sembrava il caso. » aggiungo, prima che possa dire altro. Nel frattempo, avvio il motore del mio pickup.
« D'accordo. Fammi sapere se riesci a risolvere la questione corrente. Torno a casa anch'io. »
So che mi pentirò di quello che sto per chiederle, ma devo farlo.
« Come è andata con quel...come si chiama? Peter? »
La sento sorridere. Non so se si possa sentire un sorriso, ma conosco Amanda. So quello che farà ancora prima che lo faccia.
« E' un tipo apposto! Ed è ancora più carino da vicino! Mi ha detto che deve mettersi in pari con lo studio per arrivare al college con ottimi voti. Ha qualche difficoltà in matematica, e mi sono offerta di aiutarlo, se mai dovesse averne bisogno. »
Il suo tono è entusiasta, per cui non posso mostrarmi da meno.
Trattengo un sospiro e tiro fuori l'ennesima bugia. Dio, quanto mi odio.
« Sono contenta che abbiate fatto amicizia! Magari scopriamo che non è il classico sportivo tutto muscoli e zero cervello! »
Lei ride. Una risata melodica, come la risacca del mare.
« Oh, fidati! Di cervello ne ha eccome! Sa parlare, sa dialogare senza sfociare nel banale. È il tipo di ragazzo con cui è piacevole passare del tempo. »
Già. E su questo ci avrei scommesso persino l'anima. Ma questo non glielo dico. Mi limito a tamburellare le dita sul volante. « Devo salutarti. Corro da mia nonna, prima che faccia buio. »
« Va bene. Ma và piano! Ha cominciato a nevicare! »
Dopo averle promesso che arriverò a casa sana e salva, parto per la via di casa, abbandonando il telefono sul sedile affianco. Accendo la radio per distrarmi. Per scacciare dalla testa il sorriso che Peter ha rivolto ad Amanda quando si è accorto di lei. Per non pensare alle parole carine che lei ha dedicato lui per tutto il tempo. Mi viene mal di pancia.
Ho fatto cosi tanto per restare fuori da tutto questo, ed ora mi ritrovo catapultata nel mio peggiore incubo.
Perché tra tante ragazze proprio la mia migliore amica?
Non è ancora successo nulla. Lo so. Ma qualcosa mi dice che siamo soltanto all'inizio.

La porta d'entrata si apre allo stesso orario di ieri sera.
Questa volta sono sul divano, con la coperta di lana sulle gambe e lo stesso libro di ieri.
Mi volto appena, scrutando la figura di William in piedi, sulla soglia della porta del salotto.
« Dove vai tutte le sere? » gli domando, senza neanche dargli tempo di salutarmi. Chiudo il libro infilandoci un dito per non perdere il segno.
Mi fa un mezzo sorriso, poggiandosi allo stipite della porta e infilando le mani nelle tasche della felpa.  « A chi pensi quando ascolti Miley Cyrus a tutto volume? »
Inclino il capo, lanciandogli un'occhiataccia. « Non fare lo spiritoso. Sono seria. È la seconda sera che rientri cosi tardi. »
« Sono serio anch'io. Non puoi ascoltare Wreaking Ball senza pensare al nulla. »
Ci sfidiamo con lo sguardo; lui divertito, io arrabbiata. È sempre cosi con lui. Non dirà mai la verità se non vuole che venga fuori. Un po' come me. Qualcosa su cui siamo molto simili.
« Non cacciarti nei guai, Will. » riapro il mio libro e faccio per tornare alla mia lettura, quando la sua frase mi spiazza, lasciandomi di stucco.
« Anche tu, sorellina. Tenersi le cose dentro non va bene. Prima o poi scoppierai. E sarà troppo tardi. »
Sollevo lo sguardo sulla porta, ma lui è già sparito su per le scale.
Resto a fissare lo spazio lasciato vuoto per darmi il tempo di assimilare quelle parole.
Perché William riesce a capire tutto in poco tempo. Sa che qualcosa non va. Sa che sto nascondendo qualcosa e che la sto tenendo per me, perché se provassi a tirarla fuori, probabilmente mi ucciderebbe.
Ma anche tenendola dentro finirà per uccidermi. Mi soffocherà a tal punto che non potrò più andare avanti.
È da troppo tempo che sono l'unica custode di questo segreto.
Ma non è neanche il momento di tirarla fuori. Non ora. Ci saranno altre occasioni. Non posso pensare a me stessa.
Sfioro con le dita la copertina del libro. Ultimamente non riesco più a concentrarmi neanche sulla lettura. Rileggo le righe più volte, fino a quando non mi entrano in testa sotto forma di immagine. Una cosa che mi è sempre venuta naturale.
I miei pensieri volano altrove, l'ansia mi attanaglia lo stomaco ed io fingo di star bene.
E non è successo nulla, continuo a ripetermi.
Ma se davvero siamo solo agli inizi, cosa succederà più avanti? Cosa mi aspetta? Sarò pronta a sopportare qualcosa di più grande, visto che ora non riesco neanche a digerire una semplice chiacchierata?
Mi soprendo della mia gelosia ossessiva, di una persona che tra l'altro neanche sa che esisto. Come si è dimostrato oggi, in biblioteca. I suoi occhi hanno visto solo e soltanto Amanda. Non me. E come biasimarlo. Lei brilla di luce propria. Lei è come il sole, illumina ogni cosa. È calore, è allegria, è vitalità pura.
Io sono soltanto un'eclissi lunare. Non illumino nulla, sono buio e freddo.
E chiunque sceglierebbe di scaldarsi piuttosto che immergersi nelle acque più ghiacciate.
Lascio da parte i miei pensieri e scosto la coperta di lana.
La ripiego con cura sul divano, e dopo aver riempito un bicchiere di latte da portarmi su in camera, libro sotto braccio, sbircio attraverso le tendine del salotto, fuori nella notte.
La neve si è posata, e domani sarà complicato arrivare a scuola in auto.
L'atmosfera è magica, tutto è bianco, fermo, congelato.
Se papà fosse qui amerebbe questa notte di Gennaio.
Mi direbbe che è bello essere ghiaccio. Che il freddo purifica, rigenera. Che dovrei essere fiera di essere quella che sono, senza mai dovermi vergognare.
Mi direbbe di dormire con le tende aperte e di cullarmi con la neve che cade leggera, senza fare rumore, di ascoltare il silenzio e di farne tesoro per quando le correnti calde spazzeranno via quelle fredde.
In questi momenti mi manca molto la sua voce. Sarebbe ancora sveglio a quest'ora, seduto sulla poltrona, una tazza di cioccolata calda tra le mani.
Invece ci sono solo io, un'anima in pena che gira per casa, quando dovrebbe andare a dormire. Riposare, e cancellare le tensioni di questa giornata.
Si. Domani è un nuovo giorno. Domani sarà diverso, ed io starò meglio, qualsiasi cosa accada.
Qualsiasi cosa accada.

Come le notti in AlaskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora