18.

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L'unico suono è quello dei nostri passi sulla ghiaia.
La neve delle settimane scorse si è quasi del tutto sciolta, lasciando soltanto un vento freddo che graffia e punge.
Gli rivolgo qualche occhiata sfuggente, guardandolo armeggiare con qualcosa in tasca.
Tira fuori un accendino blu notte e una sigaretta che porta alle labbra. Solleva una mano davanti, per proteggere la fiamma dal vento, ed ecco che l'accende.
Il debole bagliore rossastro gli illumina il viso. Infila l'accendino in tasca e continua a camminare al mio fianco senza proferire parola. La sigaretta stretta tra le dita della mano destra, lasciata mollemente lungo il fianco.
Il capo chino, qualche ciuffo di capelli scuri che ricade davanti agli occhi.
Vorrei allungarmi e scostarglieli. Mi prudono le mani, ma resto ferma dove sono, cercando di costringere la mia mente a pensare ad Amanda.
« Abiti distante? » mi domanda, spezzando il silenzio. Il rumore delle macchine che sfrecciano in lontananza copre per un attimo la mia incertezza, prima di affrettarmi a dire « Boulevard Street. »
Lui annuisce, restando sempre a capo chino. « Non molto distante da dove abito io. »
Per fortuna, direi. Non mi sentirò in colpa per avergli dato fastidio.
Arriviamo alla sua auto, una Mercedes nera.
Non me ne intendo molto in materia, ma la sua è davvero carina.
E mai nella vita avrei pensato di salire sulla sua auto. Da sola. Al posto di fianco al suo.
Il suo odore qui dentro è più forte, cosi come lo era in quello di Charlie.
Perché i ragazzi hanno questi profumi cosi forti? Li senti ovunque, persino nei capelli.
Allaccio la cintura, fingendo indifferenza mentre mi guardo intorno. Un pupazzetto a forma di orsacchiotto è appeso allo specchietto retrovisore. Un pacchetto di sigarette è poggiato sul cruscotto. Poi nient'altro. È piuttosto ordinata.
Amanda ci sta bene in questa macchina. Non io.
Mi domando quante volte ci sia salita, e quante volte abbiano usati i sedili posteriori.
Dio, sempre a farti del male, vero Winter?
Stringo le mani tra le gambe, mentre lui mette in moto l'auto. « Ti spiace se apro il finestrino? Devo finire la sigaretta. »
« Fa pure. » rispondo velocemente. Dopotutto l'auto è tua.
Parte tranquillamente, il braccio poggiato sul finestrino mezzo aperto e una sola mano al volante.
Tira fuori diverse boccate profonde, mentre io resto immobile a guardare fuori dal finestrino. Non sa che il vetro mi regala il suo riflesso, per cui resto ad osservarlo a sua insaputa.
È bello che mi fa male il petto, il cuore, i polmoni.
Mi piace da impazzire e non so nemmeno perché.
Il suo pomo d'Adamo, il profilo deciso.
Cristo santo. Devo assolutamente smetterla.
Devo trovare qualcosa che mi distragga. Perché ho caldo come se ci fossero quaranta gradi.
Devo smetterla di mangiarlo con gli occhi. Non è educato, e non è giusto.
Sopratutto non è giusto.
Una volta finita la sigaretta, alza il finestrino e cambia mano sul volante. L'altra la poggia normalmente sulla sua coscia, tamburellando le dita.
Vorrei dire qualsiasi cosa. Ma non so cosa.
Con Charlie è diverso. È sempre lui a tenermi viva. Perché continua a fare capolino nei miei pensieri? Non basta un ragazzo solo?
Sono irrecuperabile. Magari sono malata, chi lo sa.
Osservo la sua mano, quella poggiata sulla coscia. La testa del serpente spunta dalla manica del maglione. È intrigante come tatuaggio, affascinante.
« Winter? » mi domanda, facendomi sobbalzare.
« Eh? Si? Dimmi. » Certo, comportati pure come un'idiota patentata!
Un sorriso accennato fa capolino, mentre le luci dei lampioni passano ad intermittenza sul suo viso.
« Se non la smetti di fissarmi, finisce che fermo l'auto. »
Non riesco ad interpretare la sua frase. Non ha il minimo senso.
Ed io resto a guardarlo con la bocca schiusa e l'espressione attonita, finché lui si volta verso di me mentre è fermo ad un semaforo.
« Winter... ti prego. » la sua ora è una supplica, senza accenni di sorrisi.
Solo una preghiera che arriva dal profondo del cuore, mentre deglutisce a fatica, le dita stretta al volante.
Mi pizzicano gli occhi e non so neanch'io perché sto per piangere, ma qualcosa è scattato in questo abitacolo, tra noi due.
Qualcosa che non ha nome e che non ha senso di esistere.
Lui sospira gravemente e riparte a tutta velocità quando il semaforo passa dal rosso al verde.
Non ho mai avuto la sensazione di abitare cosi lontano. Di solito i tragitti durano molto poco.
Ma ora sembra un viaggio infinito.
« Cosa ti ho fatto? » gli domando, prima di ripensarci. Mi sento di impazzire, voglio capire se ho sbagliato qualcosa con lui.
« Non lo so. » è la sua unica risposta. Diretta, poco convinta. Preme il piede sull'accelleratore, senza però superare i 100 chilometri orari.
« Non stavo facendo nulla di male. » ribatto, come una bambina che cerca di giustificarsi, nonostante sia appena stata scoperta con le mani nel barattolo di marmellata.
« Mi stavi guardando in un modo strano. » fissa la strada, non mi guarda più. Quel serpente sul dorso sembra ancora più arrabbiato.
« Non ti stavo guardando in nessun modo. » in realtà ti guardo da sempre. Ma questi sono dettagli che non ti interessano.
« Winter. Io ce la sto mettendo tutta. Non voglio fare del male ad Amanda. » le sue parole sono uno schiaffo violento. Una doccia fredda.
Mi sta ferendo. Mi sta facendo volontariamente del male.
« Ma cosa diamine stai dicendo? » borbotto, la voce incrinata, proprio come il mio cuore. Spezzato a metà.
« Sto dicendo che devi smetterla di guardarmi cosi, ogni volta. Perché non ho un autocontrollo cosi tanto evoluto. Quindi per favore, se non vogliamo rischiare di creare situazioni di cui potremmo pentirci, ti prego di distogliere lo sguardo e di restare al tuo posto finché non arriviamo a casa. » lo dice tutto d'un fiato. Ed io sono persa nella confusione più totale. Non riesco a capire dove ho sbagliato. Io che cerco di ignorarlo dal primo giorno di scuola, che resto fuori da ogni cosa per non catturare l'attenzione di nessuno.
Io che mi sono sempre tenuta lontana dai guai perché non voglio soffrire.
Io e il mio istintio di autoconservazione.
« Stai insinuando qualcosa, per caso? » la rabbia comincia a prendere il posto della confusione. Mi tremano le mani.
Lui deglutisce ancora, e si accarezza il mento , con la mano il cui braccio è poggiato sul finestrino.
« No. Ma tu mi guardi esattamente come ti guardo io. E questa cosa deve finire. »
Perdo diversi battiti. Dieci, cento, mille.
Lui ferma la macchina. Siamo fermi davanti alla via di casa, quella che fiancheggia il bosco.
« i-io... come ti guardo? » non so più cosa dire, cosa pensare. Mille lucine rosse d'allarme si accendono nella mia testa, ma le ignoro. Ed è la prima volta che mi comporto in maniera cosi egoista.
Peter si gira sul sedile, inchiodandomi con lo sguardo.
È una scocca elettrica lungo la schiena.
« Qualcosa è scattato, durante quella notte alla cascina in montagna. Non ti avevo mai notata prima, ma... ti ho vista.
Capisci però che io non posso far soffrire , Amanda, vero? Per troppo tempo ho fatto lo stronzo, e forse tutt'ora ancora lo sono. Ma voglio provare a cambiare. E non ci riesco se tu continui a girarmi intorno. »
Ho la bile in gola. Potrei vomitare da un momento all'altro.
Continua a ripetermi il nome di Amanda. E dovrei essere io quella a difenderla, a difendere il suo onore e la nostra amicizia. E invece me ne sto qui, come la più stupida e la più infedele delle amiche a guardare e a desiderare il suo ragazzo.
Mi sento uno schifo totale.
« Sei davvero un cretino. » è tutto ciò che dico. Lo guardo con rabbia, mentre i pezzi del mio cuore in frantumi, si sparpagliano dentro di me come piccole schegge. E fanno male.
Slaccio la cintura e scendo dall'auto.
Richiudo con forza lo sportello e stringendomi le braccia al petto, sfidando il freddo, mi avvio verso casa.
Avverto ancora il motore della sua auto ferma. Ma non mi volto indietro.
Continuo a camminare fino a quando mi si rigano le guance di lacrime.

Come le notti in AlaskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora