CAPITOLO QUATTRO

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Dai, questa volta sono stata brava, ammettetelo.
Ho aggiornato prima del previsto.

...Buona lettura

❄️

LEILA

Una settimana prima


Cacciai per l'ennesima volta la testa sotto il cuscino cercando di attutire la musica che rimbombava forte dalla confraternita di Ramirez, quasi provenisse dalla stanza accanto.

Tuttavia, dopo svariati e inutili tentativi di addormentarmi, mi girai a pancia in su e aprii gli occhi. Diedi uno sguardo alla sveglia – le 3:17 – poi fissai il soffitto, nervosa.

Scesi dal letto e osservai dalla finestra la confraternita, proprio di fronte al mio dormitorio. C'erano luci accese ovunque, gente che ballava, voci, risate, e musica.

Tra meno di cinque ore avevo la sveglia e questi idioti stavano dando una festa di mercoledì.

Sul patio c'erano alcuni ragazzi che si passavano a vicenda un tiro di erba alternato a un sorso di birra. Tirai su la finestra e provai a farmi sentire da uno di loro, l'unico di cui conoscevo il nome. Era il figlio del fondatore di una delle più antiche confraternite dell'ateneo, e per questo motivo la sua famiglia veniva venerata.

Quando per una casualità si girò verso di me provai ad attirare la sua attenzione urlando. Gli dissi che era tardi e che con tutto quel fracasso non riuscivo a dormire. Lui aggrottò le sopracciglia, parlottò con i suoi amici e dopo scoppiarono a ridere di me, mentre tornarono a bere e a fumare.

Rimasi a fissarli costernata.

Se pensavano che avrei lasciato correre si sbagliavano di grosso.

Senza pensarci due volte mi coprii con una felpa che avevo lasciato sulla scrivania, infilai le pantofole, e mi diressi fuori dalla stanza, superando Sam che trovai ancora sveglia. Non mi sorpresi, lei viveva di notte.

«Dove stai andando?» Si fermò con un biscotto a mezz'aria e la bocca aperta. Era seduta sul divano a gambe incrociate, una tazza di latte tra le mani e l'ennesimo episodio della Casa di Carta proiettato sulla parete del soggiorno.

«A educare qualche stronzo figlio di papà» dissi, prima di uscire e sbattermi la porta alle spalle.

Una volta fuori attraversai di fretta il giardino che separava le due residenze chinando il viso per proteggermi dal vento. Salii i gradini del patio e bussai con forza alla porta fino a quando un ragazzo la aprì. Mi rivolse un'occhiata da capo a piedi. «Bellezza, ti sei sbagliata, questo non è un pigiama party ma una...»

«Sta' zitto» lo troncai subito togliendomelo di mezzo con una spinta.

Una volta dentro mi guardai attorno e mi mossi nella casa alla ricerca del proprietario. Le feste alle confraternite erano tutte uguali: fiumi di alcol e studenti strafatti in ogni angolo della casa.

Il pensiero che il futuro della nostra nazione un giorno sarebbe stato nelle loro mani mi faceva rabbrividire.

Di tanto in tanto provai a fermare qualcuno chiedendo se sapesse dove fosse Ramirez ma nessuno lo sapeva, quindi, provai a cambiare domanda e chiesi loro di abbassare la musica, di nuovo.

«Come dici? Non ti sento» mi urlò una ragazza all'orecchio. La musica era così alta che rendeva persino difficile sentire la sua voce a pochi centimetri dal mio orecchio.

«Ho chiesto...» respirai a fondo cercando di mantenere la calma. «Se potete abbassare la musica. Sono le tre inoltrate, e domani devo...»

«Ti ho detto che non ti sento. Ascolta, beviti una birra e goditi la festa. C'è spazio per tutti» mi piazzò una bottiglia ghiacciata tra le mani e mi lasciò lì, in piedi e da sola, come una stupida.

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