CAPITOLO 14 Pericoli

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4 ANNI DOPO...
Edward
Mio padre mi aveva fatto l'ennesima telefonata per accompagnarlo in quella robaccia clandestina.
Se c'è una cosa che non sopporto è quando quella gentaglia mette in mezzo me se sono cose che riguardano lui.
Sapevo benissimo che stare con Ashly avrebbe complicato ancor di più le cose ma io ero innamorato di lei. Lo sarò sempre.
Probabilmente avrei dovuto lasciarla e proteggerla, invece che farle conoscere il brivido del pericolo che si provava quando si sta con Edward Brown.
Ma io ero questo.
Pericolo, illusione e illegalità.
Non nego, però, che il lieto fine è quello che ho sempre desiderato, ma non potrò mai averlo perché ero  destinato a questo.
Salii in macchina di mio padre e ci dirigemmo al nightclub più famoso di Los Angeles: il Mirko's Club.
Sì. Mirko Davis, l'acerrimo nemico di mio padre. Colui che l' aveva illuso.
Ero sempre stato una persona pacifica e che non porta rancore ma per Mirko Davis le regole non valgono. Mai.
Nonostante quell'uomo avesse l'età di mio padre se la faceva con me e continuava a prendermi di mira, a usarmi come se fossi una carta da gioco.
Tutti eravamo le sue carte e lui comandava il gioco.
Tutti prima o poi ne avremo fatto parte.
Per questo ho bisogno delle feste e dello svago. Ho bisogno di vivere la mia età, prima questi anni volino via.
Il telefono squillò.
Henry.
«Pronto, Henry? Cazzo hai fatto?» bisbigliai.
«Com'è andata con Ashly? Te la sei sbattuta per bene?» ammiccò.
«Ma Henry! Quante volte lo devo ripetere? Non facciamo sesso io e Ashly perché lei non si sente pronta.»
Sbuffò.
«Che palle che siete! Uno più santarellino dell'altro.» mi ammonì Henry.
Mi scappò un risolino.
«Henry, io e la parola "santarellino" non andiamo d'accordo insieme. Comunque stacco che mio padre mi ha chiesto di accompagnarlo in missione.»
Attaccò.
Dovevo stare di guardia alla macchina casomai Mirko Davis o/e i suoi scagnozzi se la fossero rubata mentre mio padre era dentro assetato di vendetta.
No, non ho detto tutto alla mia ragazza perché se sapesse che lasciarci sarebbe la cosa migliore per entrambi, non ci vedrebbe più.
Io la amo e lei ama me ma il destino è troppo ingiusto.
Sentii degli spari.
Oh, forse mio padre ce l'ha fatta a far fuori quella testa di... ah! Insopportabile.
Ecco che lo rividi.
Stava scappando di nuovo.
E naturalmente era lui quello inseguito.
«Su! In macchina!»
E sfrecciammo alla velocità della luce con il rumore degli spari che tagliava il silenzio tra me e Roger perché per quello che mi ha fatto non si merita questa parola.
«Devi lasciarla, Edward.» tuonò all'improvviso lui.
Il mio volto solitamente roseo impallidì.
Come. Lo. Aveva. Saputo.
Comeeee?
Okay, ho due opzioni: o gli dico la verità e la lascio o faccio il finto tonto.
Faccio il finto tonto.
«Di che p-parli?»
Ma che cavolo!
Io non balbettavo mai.
Tenevo così tanto ad Ashly?
Una lacrima percorse il mio viso.
Io non piangevo mai.
Quattro anni di relazione nascosta erano tanti.
Certo, avevamo i nostri momenti ma non davamo a vederlo in famiglia.
Ma poi io aggiustavo tutto con i miei dolci.
Eh sì, a diciott'anni avevo lottato per i miei sogni e avevo avviato i progetti per una pasticceria, nonostante i continui lamenti di mio padre.
Ha sempre odiato questo lavoro.
E continua a dire che è da "femmina", come quattro anni fa.
Tutti dicono che l'estate porta cambiamenti e quest' estate era appena iniziata: avevo fatto gli esami di maturità, ed ero passato (come Ashly), avevo avviato i progetti per la mia pasticceria e... avevo *pianto*?
«Non puoi continuare così.» mi sgridò.
«Già abbiamo problemi con Davis...» (mio padre non nominava mai il nome di Mirko: diceva solo Davis) «...se si immischia pure quella ragazza, Rebéca mi lascerebbe.»
«Ah, sì, quindi devo lasciarmi io?» risposi infuriato.
«Tu e Ashly non avete una figlia di quattro anni in comune e non dovete portare avanti una famiglia da sei persone.»
«Tu hai deciso di mettermi al mondo.» urlai.
«No. Non l'ho deciso. Per colpa tua non ho potuto frequentare l'università e sto casino è per merito tuo e della tua venuta al mondo.»contrastò la mia voce.
«Potevi stare più attento a mettere il preservativo quando scopavi con mamma.» gli sbraitai contro.
Mi tirò uno schiaffo. Due. Tre.
Mi strappò la T-shirt.
Mi diede un calcio dritto su cazzo.
Mentre mi picchiava mi aveva scaraventato fuori dall'auto.
Mi guardò con disprezzo e disse.
«Avrei dovuto fare questo quando avevi pochi giorni di vita.»
Prese un frammento di vetro da terra e me lo conficcò nel petto.
Restai lì ad aspettare un altro colpo letale ma non lo fece.
Mi lasciò dolorante sul marciapiede.
Quando fu lontano urlai un "vaffanculo" così forte che sentii la gola secca.

MADAMEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora