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"Mi avevi promesso che saresti stata puntuale!" il forte accento francese di Pierre è l'ennesimo rimprovero di una lunga serie che perfora con violenza le mie orecchie; prima al telefono, ed ora mentre salgo velocemente nella sua macchina, una Audi RS3 bianca così lucida e pulita dal farmi sentire in colpa di salire con le scarpe; tra le sue continue lamentele ed il mio risveglio a dir poco traumatico non so cosa sia peggio.
Come promesso e soprattutto come da accordi non proprio rispettati, Pierre è stato puntualissimo; si è fatto trovare davanti al cancello di casa mia alle 07:40 precise, in cui avrei dovuto già aspettarlo davanti all'ingresso, pronta, per dirigerci insieme al lavoro. Qualcosa però non ha rispettato i tempi che avevo calcolato. E quel qualcosa, è piuttosto un "qualcuno": sono proprio io la causa della sua ira e le scarse ore di sonno che mi hanno tormentata per tutta la notte.
Sono stata svegliata infatti dalle sue chiamate senza sosta che mi hanno fatto sobbalzare all'istante facendomi volare giù dal letto in soli due minuti, come se Pierre avesse già la sensazione che nulla stesse andando come avevamo pianificato. O forse, semplicemente mi conosce così bene dal sapere già che stava andando incontro ad una guerra già persa ancora prima di combatterla.
La mia testa è incredibilmente appesantita dall'uragano di eventi che mi sta travolgendo che rallenta anche i miei riflessi ed il mio risveglio celebrale. Con i capelli arruffati da notte e gli occhi ancora chiusi ho cercato a tastoni il mio telefono, sperando di trovarlo sul comodino, senza però riuscirci. Poi, il ricordo flash di averlo lasciato al piano di sotto pensando potesse essere un'idea geniale, si è rivelata invece una pessima, orribile decisione; non ho avuto altra scelta se non quella di alzarmi; lo faccio lentamente, quasi trascinandomi per mettermi seduta. Quando apro gli occhi, ancora impastati dal sonno, li poso ingenuamente e distrattamente sull'orologio della camera che segna le 07:45, quanto basta per farmi andare completamente nel panico e darmi quell'incredibile botta di adrenalina che mi fa scattare come un grillo.
Percorro infatti il corridoio del piano superiore come se avessi appena abusato di qualche sostanza eccitante mentre la fastidiosa suoneria del mio telefono continua a squillare, ancora e ancora, come se volesse fare da sottofondo comico al caos che ho appena creato. La prima cosa che mi sembra logica fare è proprio quella di scendere per rispondere alle chiamate ed avvisare Pierre. Inutile dire che credo le sue urla siano state sentire anche da mia madre, ancora nel mondo dei sogni al piano di sopra.
Il solo ricordo delle sue imprecazioni in francese hanno causato ancora più confusione nella mia testa; sento la sua voce ancora più acuta e fastidiosa, dal farmi allontanare il dispositivo dalle orecchie per paura di perdere un timpano. Per niente entusiasta di questo risveglio e tantomeno di sentirlo borbottare, taglio corto il suo sproloquio pronunciando un "cinque minuti ed arrivo" che sembra più una supplica che una conferma, interrompendo così bruscamente la sua comunicazione nel bel mezzo del suo sfogo.
Non ho tempo per le tue ramanzine, Pierre! Non adesso!
Mi maledico a mia volta, per non essermi nemmeno ricordata di puntare la sveglia. La giornata di ieri è stata così disorientante dal farmi crollare come un sasso appena ho toccato il morbido cuscino del mio letto, e non credo che la voce squillante di Pierre possa aiutarmi ad affrontare al meglio questa giornata; ma dopotutto, non ho altra scelta. Onestamente non vedo l'ora di riavere la mia macchina questa sera!
Sospiro, già satura di questo lunedì; e la giornata deve ancora iniziare. Peggio di così non può andare, no?
Mi faccio forza e salgo nuovamente al piano di sopra ed appena mi posiziono davanti allo specchio, rischiando di cadere di faccia sull'ultimo gradino delle scale che percorro, ci metto mezzo secondo a riconoscere di essere ancora nel mondo dei sogni: la mia faccia gonfia e stravolta parla da sola. Sono comunque riuscita a liberarmi del mio pigiama, che consiste in una semplice camicia da notte azzurra e mi sono vestita con dei semplici jeans regular chiari ed una maglietta a mezza manica color cioccolato, recuperata in fretta e furia dal mio cassetto dell'armadio. Ho percorso velocemente le scale saltando qualche gradino e rischiando più volte di ammazzarmi per correre alla scarpiera davanti al bagno al piano di sotto ed indossare il primo paio di sneaker che mi è capitato davanti agli occhi: bianche, per fortuna. Le ho indossate saltellando prima sul piede destro e successivamente sull'altro, entrando così velocemente in bagno per applicare almeno un filo di correttore per cercare di coprire le profonde occhiaie che porto con me da ormai infiniti giorni ed uno strato lieve di mascara, senza neanche avere il tempo e la lucidità di truccarmi decentemente.
Riesco a lavarmi i denti cercando di non macchiare la t-shirt di dentifricio mentre controllo assiduamente l'orologio sul mio telefono che vorrei poter fermare con la forza del pensiero, per non sentire le urla di Pierre che riempiranno l'abitacolo per tutto il tragitto. Già so che sarà così.
Infine, dopo numerosi sbuffi ed imprecazioni nella mia testa, afferro la borsetta ancora intatta rimasta sulla console da ieri sera; infilo malamente il telefono e senza neanche la preoccupazione di non avere nulla per pranzo, esco di casa salutando mia madre che nel frattempo sentendo tutto il mio trambusto, scende le scale ancora in pigiama, seguita dalla piccola Edvige più curiosa di lei.
Borbotto un veloce "Ciao" senza neanche aspettare una risposta e chiudo con forza la porta d'entrata dietro di me, percependola come l'ennesimo schiaffo sul viso per rimanere sveglia.
Mi incammino a passo svelto mentre corro affannata alla macchina di Pierre, ancora accesa e con il finestrino abbassato, che sbuffando ricorda per l'ennesima volta di muovermi e di essere in ritardo per colpa mia.
Evito il suo sguardo accusatorio, salendo velocemente in macchina e sperando di cavarmela con un "ti prego non dire niente" sussurrato che risulta avere invece l'effetto contrario, facendolo scattare ancora di più di quanto non sia già fuori di sé. Anche mentre sono al suo fianco, continua a non risparmiarmi alcuna ramanzina. Pierre sbotta come un fiume nel bel mezzo della tempesta, mentre io mi limito a rimanere in silenzio ed osservare passivamente l'interno della sua macchina, dove tutto è color nero opaco, così elegante e particolare dal farmi storcere il naso al solo pensiero della mia misera Opel Adam che in confronto sembra una povera scatoletta di tonno arrugginita.
"Lo sapevo, lo sapevo sarebbe finita così! Arriveremo tardi per colpa tua, non so perché io mi sia lasciato convincere ad accompagnarti!" esclama Pierre agitandosi e sbattendo con rabbia le mani sul volante.
Ancora con il cervello in blackout chiudo la portiera alla mia destra, sentendo la sua lagna ripetersi senza sosta come un rosario. Nella mia testa al contrario qualsiasi rumore intorno a me sembra fischiare fastidiosamente, così forte dal farmi strizzare gli occhi dal fastidio. Sento infatti la testa così pesante da appoggiarmi a peso morto sul sedile passeggero mentre mi allaccio velocemente la cintura, sentendo la forte spinta del piede di Pierre sul pedale dell'acceleratore per tornare in carreggiata.
Non soddisfatto del suo sfogo ed irritato dal mio silenzio tombale, insiste. "Perché mi sono lasciato convincere? Non potevo semplicemente dirti di no e basta?!" borbotta ancora al mio fianco, chiaramente nervoso.
Parla nuovamente a sé stesso, sfogando la sua frustrazione e rimproverandosi più volte di aver accettato la mia proposta. Io invece, un po' per la scelta volontaria di ignorare le sue lamentele, un po' perché mentalmente sono ancora a letto, ci metto qualche secondo a carburare.
All'ennesima colpevolezza che sento martellare sulle tempie, sospiro profondamente, seccata, massaggiandole lentamente per evitare di arrivare in ufficio con l'emicrania. "Ti prego, fai silenzio, mi stai facendo venire mal testa" affermo infastidita, cercando di temperare il nervoso che sento accentuarsi ad ogni sua continua polemica.
Pierre non vuole sentire ragioni, anzi, forse nemmeno mi sta ascoltando; è così impegnato a battere lo spazio-tempo in cui siamo, guidando un po' troppo velocemente, come se si sentisse un pilota di Formula Uno.
Ribaltando completamente la mia convinzione, per quanto sperassi di essere bellamente ignorata, Pierre abbozza una risata infastidita, picchiando un pugno sul volante alla mia lamentela, incredulo.
"Sei incredibile!" esclama, lasciando che la sua vena francese dia il meglio di sé per esprimere quanta frustrazione stia scorrendo nel suo sangue. "Nous serons en retard aujourd'hui à cause de toi!" continua, prima di fermarsi all'ennesimo semaforo rosso che aumenta ancora di più la sua cascata di rabbia.
Sbuffo, agitando le mani in aria e sbattendole sulle mie cosce, stanca di sentirlo blaterare. "La vuoi smettere? Mi dispiace aver fatto tardi, okay? Non posso fare nulla per tornare indietro e rimediare, quindi è inutile polemizzare su un qualcosa che non posso cambiare" ammetto abbassando lo sguardo; confessione che sembra calmare improvvisamente il biondo.
"E per quanto ti piaccia rinfacciarmi le cose, lo sai anche tu che continuare a lamentarti non ci farà arrivare prima" rispondo decisa, sapendo esattamente come prendere Pierre in questi casi.
Lo squadro da capo a piedi con particolare attenzione, riuscendo finalmente ad osservarlo in ogni dettaglio.
La sua maglietta a tinta unita beige decisamente oversize copre il suo braccio fino a sfiorare il gomito, ora leggermente piegato per potersi appoggiare al volante; seguendo il braccio raggiungo il suo polso, avvolto da un orologio d'orato di chissà quale prestigiosa marca, essendone Pierre molto appassionato. Scorrendo il mio scanner sulla parte inferiore del suo corpo, un paio di baggy jeans blu chiari rendono il suo look più casual e da strada, mentre le sue immancabili Nike Dunk color giallo paglierino completano il tutto. I capelli chiari, volutamente spettinati lasciano che qualche ciuffo sbarazzino accarezzi la sua fronte e la sua barba accennata mi fa intuire che Kika lo abbia obbligato ad accorciarla.
Pierre volta il suo sguardo con uno scatto alle mie parole, che sembrano alterarlo ancora di più: stringe gli occhi fino a ridurli in piccole fessure, minaccioso. "Ringrazia il Cielo che l'omicidio è illegale" mi sfida con tono duro, causando invece una risata spontanea che non riesco a trattenere.
Mi copro la bocca con la mano per non ridergli in faccia. "Uuuh! Dovrei avere paura?" fingo ironicamente sgranando gli occhi, alzando le mani me come se fossi terrorizzata.
"Tsk" lamenta lui, infastidito dalla mia reazione; non può fare altro che rassegnarsi, ben consapevole di quando questo battibecco non porterà mai a niente.
Scuote il capo in silenzio, immerso in chissà quali pensieri, tornando a concentrarsi sulla strada, ora deserta.
Trovo esilarante la nostra amicizia; bizzarra, assurda, caotica. Con Pierre è sempre stato così; passiamo dalle riflessioni profonde sulla vita, alle discussioni inutili, alle confidenze più intime come l'ultima che ci ha coinvolto, e poi ancora a fare gli stupidi e scannarci come ragazzini.
In questo caso però, non sono così sicura di voler gettare la spugna ed alzare bandiera bianca.
Pierre questa mattina ha dato il meglio di sé; per poco non si è trasformato in mia madre con tutti i rimproveri che ho dovuto sopportare. Ho incassato in silenzio tombale le sue continue provocazioni; ora però è il mio turno.
Cerco di reprimere una risata alla sua minaccia che non ha alcun effetto su di me e decido di punzecchiarlo ancora, giocando un po' con lui. Alzo un sopracciglio, mettendo in discussione le sue parole.
"Stai esagerando come al tuo solito, P" dico pronunciando quel fastidioso nomignolo che tanto detesta.
Alzo gli occhi al cielo, guardandolo torvo. Pierre non risponde, permettendomi così di pizzicarlo ancora: "e comunque la tua minaccia non mi sfiora nemmeno, soprattutto se proviene da chi appena vede di un goccio di sangue sviene come un sacco di patate" esclamo dandogli una gomitata sguaiata, toccando il suo braccio divertita.
Lo guardo di Pierre a queste mie parole diventa ancora più pungente, consapevole di aver beccato la sua parte più debole, ovvero la sua fobia più grande: il sangue.
"Quando hai finito di fare la bambina" suggerisce squadrandomi, ormai definitivamente arreso e senza più alcuna voglia di portare avanti questo teatrino.
Pierre scuote ancora il capo, senza aggiungere altro mentre io sorrido divertita, sapendo di aver vinto; per quanto il suo continuo lamento non abbia alcun effetto ragionevole su di me, Pierre sceglie saggiamente di dirottare il discorso su un qualcosa che so per certo lo solletica da quando ho messo piede in macchina.
Ancora concentrato sulla strada, ormai vicini alla zona industriale dell'ufficio, prende parola.
"Spero che per lo meno il tuo ritardo abbia avuto una motivazione valida, che ne sia valsa la pena" inizia, lasciando uscire dalle sue labbra la tanto attesa richiesta che so per certo non vedeva l'ora di puntualizzare.
Lo guardo senza dire nulla, pizzicando le labbra cercando di trattenere qualsiasi mia reazione visiva. Mi accorgo pochi secondi dopo che siamo arrivati a destinazione, lasciando che Pierre faccia qualche agile manovra per effettuare un perfetto parcheggio a S, poco distante all'entrata dell'azienda.
Non dico nulla, onestamente non saprei da dove iniziare e sono certa che non basterebbe qualche minuto, neanche se dovessi riassumere il tutto.
Il solo pensiero di dover rivivere quei momenti, sensazioni ed emozioni mi fa scattare come una molla; sento nuovamente un turbine di emozioni travolgermi; sia belle che brutte. E senza neanche pronunciare alcun nome, so benissimo a chi corrispondano.
Pierre spegne velocemente il motore, rivolgendosi a me sollevato ed appoggiando le mani sulle sue cosce toniche. "Comunque sei fortunata, siamo arrivati in tempo" afferma, guardano l'orologio sul telefono che afferra dal portaoggetti. "Sono le 07:55, sarà meglio rimandare il gossip ed entrare. Abbiamo già rischiato abbastanza per colpa tua" insinua puntandomi il dito contro.
Alzo gli occhi al cielo sbuffando a questa sua frecciatina per niente velata, slacciando in silenzio la cintura ed uscendo velocemente dalla macchina. Pierre segue i miei movimenti, chiudendo la portiera alle sue spalle. Notando il suo cellulare stretto nella mano destra, ricordo all'istante di non aver ancora guardato con attenzione il mio di telefono; un'irruente ed improvvisa voglia di farlo mi pervade, curiosa ed elettrizzata di accorgermi se ci sia qualche messaggio di Max, ma scelgo a malincuore di non ascoltarla; non è sicuramente questo il momento ideale per poterlo fare. Soprattutto se voglio tornare a casa intera, piuttosto che in un sacco nero nelle mani di Pierre.
Lascio dunque il telefono al sicuro nella borsetta e chiudo la portiera con la mano libera, affiancando Pierre per iniziare ad incamminarci a passo svelto verso il piccolo marciapiede che ci accompagna fino all'ingresso dell'ufficio. Intorno a noi è deserto; nonostante la leggera giornata di sole e le temperature ancora quasi estive, stiamo andando incontro ad ottobre, che al contrario sembra essere così lontano. Un leggero venticello scompiglia i miei capelli, che cerco di sistemare come riesco, mentre soffia leggero sulla maglietta larga di Pierre che si increspa al solo contatto con la sua pelle.
Mentre ci incamminiamo non perdo occasione di guardarmi intorno; i colori sono ancora accesi, chiari e puri, così intensi dall'infastidirmi appena e maledirmi per non aver portato con me i miei occhiali da sole a forma di gatto. Le strade appartenenti alle classica zone industriali della città sono colme di macchine senza vita di diverso modello, forma e colore, ognuna con la sua storia; credo proprio che saremo gli ultimi ad arrivare, vista la loro quantità.
La falcata di Pierre è decisamente più lunga e spedita della mia; non perde occasione di farmelo notare continuando a ripetermi un sonoro "muoviti!" che mi fa quasi iniziare a marciare. Ormai sono rassegnata anche io alle sue lamentele, ricorda la mia mentre scherzosa. L'idea che potremmo essere davvero le ultime persone a dover entrare in ufficio lo agita, ma fortunatamente questa sensazione svanisce all'istante, alleggerendo il suo respiro e la sua tensione.
Scorge infatti una piccola folla proprio davanti al cancello d'entrata in ferro battuto, dove una volta affiancati, veniamo accolti velocemente da una manciata di colleghi ed altre persone appartenenti ad altri uffici; alcuni chiacchierano allegri, senza preoccuparsi dell'orario, altri sono più seri, impostati, pensierosi, mentre altri ancora non hanno il tempo di conversare ed allungano il passo verso le porte scorrevoli che si aprono all'istante.
Sorpasso velocemente Pierre che rimane alle mie spalle e raggiungo una mia collega in particolare che mi saluta con un sorriso, mentre avanziamo insieme e scambiamo quattro chiacchiere al volo, i classici convenevoli del lunedì mattina; come stai, come è andato il weekend, discorsi monotoni.
Il nominare la scorsa serata, sembra smuovermi di nuovo una quantità infinita di farfalle nello stomaco al solo ricordo. Sono farfalle caotiche, confuse, che svolazzano proprio all'altezza dello sterno. Sento però un mix contrastante che come ormai d'abitudine, colpisce i due grandi nomi che appartengono ai due estremi della mia testa e del mio cuore: Charles e Max.
E' incredibile come questi due individui siano in una costante lotta nella mia testa, così dannatamente simili seppur allo stesso tempo distanti anni luce.
Mordo pensierosa il labbro inferiore, intrappolandolo appena fra i denti al ricordo della morbida e calda bocca di Max sulla mia; sensazione che si scontra in estremo contrasto con la scossa di brividi che sento sulle braccia fino alla schiena alla probabilità e possibilità che Charles ci stesse spiando proprio in quel momento così intimo. Pensieri che si mescolano più e più volte fra di loro, mentre i miei occhi percorrono solo apparentemente l'ampio cortile che attraversiamo per poi arrivare alla l'entrata principale, minuita di tornelli elettronici. Le tanto familiari pareti dell'ufficio ci accolgono, trasmettendomi quell'enorme senso di monotonia e regolarità che assume ogni inizio settimana: il lunedì deve essere traumatico per tutti.
Soprattutto per chi come me, è già stanca ed affaticata ancora prima di iniziare il turno. Sento come in sottofondo la voce di Pierre alle mie spalle, impegnato a controllare il suo cellulare e mandare un veloce messaggio vocale a Kika, prima di oltrepassare a sua volta il tornello dopo di me, minuto di badge, per poi dirigerci a passo svelto alle nostre scrivanie vuote.
Percorriamo una breve tratta di corridoio, la cui moquette grigia attutisce i nostri numerosi e pesanti passi fino a raggiungere il nostro ufficio. Con un cenno del capo ed un veloce "buongiorno" accogliamo e veniamo accolti dal resto dei colleghi già presenti. Ricambio velocemente il loro saluto con un timido sorriso, e mi affretto a raggiungere la mia postazione, dove appoggio le mie cose sentendomi così incredibilmente leggera e vuota senza la mia borsa per il pranzo; credo proprio che mi arrangerò in qualche modo alle molteplici macchinette nella zona break. Dopotutto al momento l'appetito è davvero l'ultima cosa a cui potrei pensare. Decido che me ne preoccuperò più tardi, tenendo ben a mente la possibilità di uscire a mangiare con Pierre alla caffetteria poco distante.
Mi accomodo sulla mia sedia nera con le rotelle tirando un sospiro di sollievo per essere finalmente arrivati in tempo, ed appena mi sporgo in avanti per accendere il mio pc fisso, sento con la coda dell'occhio lo sguardo di Pierre fissarmi insistentemente, come se volesse attirare a tutti i costi la mia attenzione.
Mi volto curiosa, e pronunciando solo con il movimento delle labbra, per non farsi sentire dagli altri colleghi, sussurra: "abbiamo un caffè molto lungo da bere" alzando le sopracciglia, mentre il suo viso cambia espressione all'istante mostrando un ghigno malefico, pronto a voler sapere ogni singolo dettagli della mia giornata di ieri. Come se non esistesse nulla di più importante.
Mi domando se tutto questo interesse sia naturale o se gran parte del suo entusiasmo sia avvolto dalla tensione che deve esserci tra lui e Kika e la tanto chiacchierata scommessa di cui parlavano qualche giorno fa, quando chiesi il passaggio proprio al biondo. Possibile. Probabile.
Incasso la sua frecciatina camuffata con una proposta alquanto normale dall'esterno, di cui solo io e lui sappiamo il vero riferimento e ciò mi fa sorridere, ma riesco a trattenermi. Premo nervosamente le labbra in una linea spessa cercando il più possibile di forzare qualsiasi muscolo del viso per non lasciare a Pierre alcuna reazione, rischiando quasi un crampo alla faccia.
Mi concentro, e quello che riesco a proporre è un'espressione seria e composta, ma solo all'inizio; non riesco infatti a resistere al suo ghigno divertito, consapevole quanto me che io non riesca affatto a mentigli quando qualcosa nella mia vita mi travolge. Lascio uscire dalle mie labbra un leggero sorriso, furbo ed imbarazzato, mentre dopo esserci scambiati un'occhiata d'intesa, entrambi rimaniamo in silenzio e rivolgiamo la nostra attenzione sull'infinita quantità di email logistiche ed amministrative che ci aspettano impazienti.
Rivolta verso lo schermo, come se stessi riflettendo sulle sue parole, serro le labbra fra di loro reprimendo qualsiasi mio tentativo di scoppiare a ridere avanti a tutti. Sbircio ancora una volta il viso di Pierre, ora voltato sul suo pc con un paio di occhiali da vista neri per proteggere i suoi occhi. Lo osservo in silenzio, curiosa ed impaziente di sapere come reagirà al mio racconto.
Senza contare che oltre a lui, dovrò avere a che fare anche con Isa; anzi, soprattutto con lei. Tra loro due, forse la mora è quella che temo di più.
Sorrido a me stessa, e faccio lo stesso; imito i suoi movimenti e dopo esser tornata a fissare il mio schermo che rimanda ad un meraviglioso paesaggio al tramonto sulla spiaggia di chissà quale isola caraibica, lascio uscire un ennesimo sorriso furbo che evidenzia appena le mie rughe di espressione: inevitabilmente i ricordi indelebili del pomeriggio e della serata appena trascorsa riaffiorano nella mia mente, probabilmente devono essersi sentiti ignorati dato il ritardo di questa mattina, facendomi viaggiare leggera. Riemergono ora, come un galleggiante fuori dall'oceano.
Sospiro, rassegnata e sentendomi in dovere di accantonarli di nuovo; non posso di certo distrarmi troppo al lavoro!
Sarà una lunga e lenta mattinata quella che ci aspetta, cara Mina, conforta la mia coscienza, mentre le mie dita si mettono al lavoro ed iniziano a digitare spedite sulla tastiera davanti a me.
Che questo lunedì inizi!

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