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Nessun prezzo è troppo alto,
da pagare per il privilegio di essere sé stessi.
Nietzsche

Henry
Dovevo ammettere che ritornare a Roma, non era mai stato così difficile come in quel momento.
Ci sono cose che ci cambiano radicalmente e quella vacanza a Como, mi aveva stravolto la vita in tutti i sensi possibili.
Difficilmente accade qualcosa di autentico, quasi come se fosse un evento raro, ma ciò non vuol dire che sia impossibile: la verità è che le cose autentiche non sono per tutti, anzi difficilmente sono per qualcuno.
Ma in quel momento mi sentivo quasi privilegiato ad aver trovato qualcosa di autentico in una vita frivola come la mia.
Forse, era soltanto quella la cosiddetta ciliegina sulla torta che mi era mancata per tutta la vita: trovare qualcosa di autentico per provare che sapore ha l’essere felici.
Eravamo partiti presto, ma dovevo ammettere che non mi era pesato affatto.
Questo perché Oliver lo avevo visto fino a qualche ora fa, e mi consolava questo pensiero così tanto da farmi sentire bene per l’intero viaggio.
Per la prima volta, mentre viaggiavo in macchina e guardavo fuori dal finestrino ascoltando la musica, non mi sentivo più il protagonista di una serie tv, o di un film tra tanti, per un motivo ben preciso: adesso la mia favola la possedevo e immaginavo soltanto essa.
“Perché ci siamo fermati?” Esclamo d’un tratto.
“Siamo in anticipo, una pausa in Autogrill ci farà bene.” Risponde mio padre con fare pacato.
Lui a differenza di mia madre era la persona più tranquilla del mondo, era sempre presente anche se non riusciva a dimostrarlo del tutto poiché mia madre la maggior parte delle volte, lo sovrastava sempre, quasi come se quello fosse il suo unico obiettivo. E questa cosa un po' mi dispiaceva perché lei neanche riusciva a rendersene conto.
Mia madre era una donna autoritaria, che non si lasciava sfuggire niente, e quando dico niente intendo davvero tutto: riusciva a scoprire anche le cose più futili e riusciva a farle diventare problemi di fondamentale importanza. Ma ormai al suo modo di fare, mi ci ero abituato, anche se sembra brutto da dire.
Ma purtroppo ci sono cose a cui ci si abitua e nemmeno c’è ne si rende conto perché non tutti sono in grado di comprendere quando una cosa diventa abitudine.
Mi tolgo le cuffie e le rimetto nel mio zaino, così da tenerle al sicuro durante questa nostra, piccola, pausa.
Prima di scendere, mi sistemo i capelli e dopo essere sceso, la prima cosa che faccio è guardarmi intorno, così da immortalare anche i più piccoli particolari.
“Vado al bagno.” Esclamo, mentre i miei iniziano ad entrare.
“Fa attenzione.” Mi rimprovera mia madre.
‘Dannazione.’ Penso tra me e me.
“Mamma, vado al bagno, mica a fare una guerra.” Dico nascondendo una leggera risata.
“Non mi sembra il momento di essere sarcastico, Henry.” Sospira lei quasi infastidita.
“Lascialo stare, per una volta.” La voce di mio padre quasi mi emoziona.
“James, non iniziare anche tu adesso.” Risponde mia madre quasi irritata.
“Altrimenti, Elizabeth?” Ribatte lui sicuro di sé.
“Non mi sembra il luogo adatto per iniziare una discussione.” Sottolinea lei.
“Sei tu che trovi sempre un modo diverso per iniziare un litigio dopo l’altro. Ti ho soltanto detto di lasciare stare Henry.” Controbatte lui ed io mi sento così felice che non si stia facendo mettere i piedi in testa.
“Lasciarlo stare? Lo sai anche tu che Henry è malato. Oppure te ne sarei dimenticato?” Gli chiede mia madre con aria di sfida.
“Quindi? Va soltanto al bagno, è grande e sa come comportarsi. E no, mia cara, per tua fortuna di mio figlio ricordo ancora le cose più importanti.” Risponde mio padre a tono.
“Non mi sembra.” Continua lei.
“Sai che ti dico…” Mio padre si interrompe e si gira nella mia direzione.
“Henry.” Mi chiama a sé.
“Devo andare anche io al bagno, aspetta andiamo insieme.” Mi dice mentre la mia attenzione viene catturata dall’espressione derisoria di mia madre.
“Niente meno.” Sussurra lei mentre mio padre mi raggiunge.
“Non dovevi.” Gli dico con fare vago.
“Fare cosa, Henry?” Mi chiede lui.
“Difendermi da mamma.” Mi limito a dirgli.
“Certe volte diventa così pesante, non meriti di essere trattato ancora come se fossi un bambino.” Esclama lui ed io a quelle parole sento un vuoto dentro indescrivibile.
Mio padre è così premuroso che quasi me ne ero dimenticato.
“Lo so, ma da due anni a questa parte ha iniziato ad essere più protettiva.” Dico io.
“Essere protettiva non giustifica sempre i suoi comportamenti e le sue reazioni.” Mi spiega mio padre mentre scendiamo le scale per andare al bagno.
“Ti aspetto fuori.” Mi dice non appena io entro in bagno.
“Va bene.” Rispondo soltanto.
“Vorresti mangiare qualcosa?” Mi chiede mentre mi lavo le mani.
“Si.” Esclamo.
“Ma mamma inizierebbe a dire cosa posso mangiare e cosa no.” Spiego con fare quasi preoccupato.
“A tua madre ci penso io.” Mi sorride lui.
“Sei diventato grande Henry e lei lo capirà.” Afferma lui.
C’era una linea sottile, quasi fine tra quello che mio padre immaginava di me, e quello che io ero realmente.
“Ma con i suoi tempi.” Ribatto io sorridendo.
“Non giustificare sempre i suoi comportamenti.” Mi dice lui dopo avermi dato una pacca sulla spalla.
E quel gesto, mi fa sentire davvero piccolino, è in grado di farmi ritornare un bambino anche se ormai non lo sono più.
“C’è l’avete fatta.” Esclama mia madre non appena ci vede arrivare.
“Non ci siamo mica soltanto noi.” Mio padre la risponde a tono, mentre io rimango in silenzio, anche se per poco.
“Cos’è Henry, il topo ti ha mangiato la lingua, o tuo padre ti ha fatto un lavaggio del cervello?” Mi attacca lei.
Rimango in silenzio, perché di iniziare a discutere perché di farlo, proprio non mi andava.
“Allora?” Mi chiede per la seconda volta.
“Nessuna delle due, sono appena le 9 di mattina e l’unica cosa che voglio è fare colazione.” Dico io mentre mia madre non contenta si gira a guardare mio padre.
“Lo vedi cosa succede quando sta con te?” Mia madre sembra quasi sull’orlo di sbraitare.
“Cosa succede, Elizabeth?” Risponde lui.
“Cambia.” Afferma lei.
“Mi sembra un’affermazione esagerata.” Ribatte mio padre.
“Addirittura?” Gli chiede lei.
“Si. Io lo vedo sempre uguale.” Mio padre resta vicino a me, mentre io, dentro di me iniziavo a capire che forse quello ad avere ragione era lui.
“Cosa prendi?” Mi chiede mio padre mentre ci avviciniamo alla vetrina.
“Un cornetto vuoto.” Rispondo mentre mia madre è rimasta seduta a tavola.
“Sicuro?” Mi chiede di nuovo.
“Si.”

*

Il viaggio continua nel silenzio più totale, ed è forse il motivo per il quale ho sempre utilizzato le cuffie per distogliere la mia attenzione dalla realtà.
Una realtà che forse ha iniziato a starmi stretta, e viverla per davvero è più difficile di immaginare soltanto di farlo.

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