Tempesta nell'anima

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Certe cose accadono e basta,
non ti chiedono il permesso.
Sono quelle che meritano tutto il coraggio e la forza che mai avresti pensato di avere.

Oliver
Nel corso della vita, accadono cose inaspettate, pronte a colpirti non appena volti le spalle nel senso opposto.
Puoi vivere, le battaglie più infime, più crudeli, ma non sarà mai la fine di quello che potrà accadere in futuro.
Alle battaglie già vissute, se ne aggiungono altre che possono essere anche ben peggiori.
Questo perché, si dice che le battaglie più difficili vengono assegnate ai guerrieri più forti, a quelli che sono in grado di superarle.
Ma io ritengo che sia una grande stronzata.
Perché qualcuno dovrebbe essere in grado di superare qualcosa che non aveva previsto?
Perché?
Nessuno è arrivato al mondo con la forza giusta per affrontare determinate cose, determinate situazioni.
La forza, a parer mio si acquisisce dopo aver vissuto tante battaglie, che pensavi non fossi stato in grado di superare, ma alla fine sei riuscito a farcela.
Il corpo di Henry, è inerme tra le mie braccia.
I miei respiri sono così accelerati, in grado di farmi mancare il respiro da un momento all’altro.
Ai sospiri, è collegato il movimento del mio petto che si muove prima verso l’alto, poi verso il basso, carico di tensione.
La paura di perdere Henry, in questo momento è più grande di qualunque altra cosa.
Accarezzo la sua testa, mentre alcune lacrime, ricoprono le mie guance senza alcuna sosta.
Avevo sempre pensato di perdere me, non di perdere la persona che amo, e devo ammettere che questa consapevolezza fa più male della rabbia che provo in questo momento in attesa che l’ambulanza arrivi.
Gioco con i capelli di Henry, con la speranza che riapra gli occhi da un momento all’altro e mi dica di smetterla perché gli dà fastidio.
Ma ciò non accade e dentro di me continuo a sentire una tempesta nell’anima in grado di sgretolarmi anche le certezze più profonde.
Quando ti ritrovi a perdere la persona che ami, ti rendi realmente conto di quanta importanza abbia nella tua vita.
E ti senti stupido.
Si.
Ti senti stupido perché prima pensavi che la sua presenza fosse scontata, che il suo rimanere al tuo fianco non fosse degno di nota.
Inizio a mordermi le unghie mentre lascio ricadere lentamente la testa di Henry sulle mie ginocchia.
Con la mano destra, gli tiro via dalla fronte alcune goccioline di acqua e gli accarezzo le guance.
“Pisolo, sono poche le cose che apprezzo della mia vita e tu sei una di queste. Vederti così, fermo tra le mie braccia, mi fa sentire l’uomo più debole, anzi, fragile del mondo.
Sono sicuro che mi riesci a sentire, e se ciò non sta accadendo, sono pronto ad urlare al mondo quanto mi hai reso la vita degna di essere vissuta. Tu che sei il mio pisolo, l’amore della mia vita, l’uomo con cui passerei il resto dei miei giorni senza annoiarmi mai. Ma che dico passerei. Tu sei l’uomo con cui passerò il resto dei miei giorni, perché c’è lo siamo promessi, e le promesse non si infrangono.” Non appena accenno le ultime parole, in un attimo tutto intorno a me scompare, l’unica cosa che riesco a vedere sono gli infermieri che scendono con la barella sulla spiaggia e vengono incontro a me.
Non riesco a percepire più nemmeno come mi sento, desidero con tutto me stesso che questo sia un fottuto sogno non riuscito, ma è la realtà, ed accettarla fa ancora più male.
Devo essere forte.
Per il mio pisolo.
In questo momento sono io la sua luce, quindi se non mi impegno io in questo momento a credere in noi, chi può farlo.
L’infermiere si china in ginocchio verso il corpo di Henry.
“Ci segua in ospedale.” Si limita a dirmi non appena solleva il corpo di Henry dalle mie gambe.
Mi sollevo anche io, con fare veloce e seguo gli infermieri che nel frattempo trasportano il corpo di Henry verso l’ambulanza.
Rimango in silenzio, anche se l’unica cosa che vorrei sapere è se Henry riuscirà a riprendersi.
Se le sue forze sono sufficienti per riuscire a farcela.
Perché io morirei per lui se fosse necessario.
Lui che la vita ha ancora da viverla, mentre io ho già fatto tutto quello che desideravo.
Salgo nell’ambulanza e mi torna in mente la mia vita di due anni fa: quando mi avevano detto che non ero più in salute, che mi rimanevano sei mesi di vita, e poi tutto sarebbe finito.
Devo ammettere che avrei pregato di non ritornare più tra quelle pareti bianche, ma stava accadendo l’esatto contrario.
L’ambulanza, sta andando così veloce che il paesaggio è quasi invisibile ai miei occhi.
Fisso Henry, mentre un leggero nodo alla gola mi blocca il respiro.
Il cuore sobbalza nel tempo, quasi come se stessi per vomitarlo.
Porto una mano verso il braccio di Henry e lentamente lo accarezzo.
Il suo corpo, ha iniziato a riscaldarsi a differenza di qualche ora prima, ma non sapere cosa fare mi rende ancora più agitato di quanto già non lo sia.
L’ambulanza accosta, e a questo punto mi rendo conto che siamo arrivati, che quelle pareti bianche stanno per ritornare a far parte della mia vita.
L’infermiere apre le porte con forza, e prende la barella di peso.
La poggia su una struttura che l’altro infermiere, nel frattempo aveva già preparato giù, e mentre io lentamente scendo, loro corrono verso l’interno.

***

Una sensazione di perdizione percorre il mio corpo, come se fosse un brivido felino.
Tutto è bianco qui.
Il colore dei miei pensieri, il colore delle pareti, il colore del camice degli infermieri che entrano ed escono da una sala all’altra.
Cammino lentamente verso la sala d’attesa, sperando che da un momento all’altro un infermiere esca per dirmi qualcosa a riguardo.
Guardo le lancette dell’orologio andare avanti, mentre io rimango lì seduto a fissarle mentre la mia vita si è bloccata d’un tratto…il tempo continua a scorrere.
E vorrei bloccarlo, per ritornare indietro, a quando con il mio Henry andava tutto per il verso giusto.
Ma certe cose non si possono cambiare, accadono e basta colpendoti fino a farti sentire soltanto un futile puntino nell’Universo.
Alcuni avvenimenti, non si possono cambiare, semplicemente vanno affrontati, accettati e infine combattuti, perché alla fine la differenza è situata proprio lì, nel modo in cui le cose si affrontano.
È passata un’ora da quando sono rimasto qui ad aspettare notizie sulla salute di Henry.
Mi alzo dalla sedia, ed inizio a camminare avanti e indietro per il corridoio, magari la testa riesce a placarsi, perché ha iniziato a fare così male, che sopportare questo tipo di dolore non fa altro che accentuarlo ancora di più.
Non appena mi chino per allacciarmi il laccio che nel mentre si è sciolto, una voce riempie il silenzio.
“Signor Smith.” Mi chiama qualcuno dietro di me.
Mi rialzo dopo essermi fatto il laccio, e l’infermiere è lì davanti la porta.
“Ci sono.” Dico io con fare impacciato.
“Ho una domanda da farle.” Mi dice mentre io mi avvicino a lui e un leggero timore si appropria del mio petto.
“Non ci sono problemi.” Esclamo non appena raggiungo la porta.
“Abbiamo riscontrato dei valori bassi, il suo ragazzo ha avuto delle difficoltà respiratorie, per questo il colore della sua pelle è apparso in questo modo.” Mi spiega lui, mentre io guardo verso il pavimento in attesa della domanda che l’infermiere sta per farmi.
La testa inizia a vorticarmi e quel profondo abisso delle tenebre inizia ad appropriarsi del mio corpo.
“Il suo ragazzo soffre di diabete?” Mi chiede d’un tratto l’infermiere cogliendomi del tutto impreparato.
Rimango in silenzio per qualche minuto, mentre sento i pezzi del mio cuore cadere a pezzi, e l’unica cosa che vorrei fare, sarebbe urlare in questo momento tutto quello che dentro di me, nonostante tutto continua a fare un rumore implacabile.
“Si.” Mi limito a dire mentre la voce mi si blocca tra le corde vocali, facendo quasi difficoltà ad uscire.
Ammettere la realtà è più difficile che accettarla.
Accadono cose indomabili e nessuna prova sembra essere più facile da superare.
“Da quanto tempo?” Continua a chiedermi l’infermiere con tono freddo e distaccato.
“Due anni.” Rispondo, mentre l’unica cosa che vorrei è vedere Henry.
Sapere come sta.
È così forte la voglia che ho di vederlo, così da calmare i battiti del mio cuore.
“Ha avuto una crisi di ipotermia.” Mi spiega con fare comprensivo.
‘Ipotermia.’
Continuo a ripetermi in loop quella parola nella mia testa. Mi sento così stupido a non saperne nulla a riguardo.
“Lei però anche senza saperlo è stato molto bravo. La prima cosa da fare in questi casi è proprio dare calore al corpo, dopo il contatto con acque molto fredde.” Mi dice l’infermiere.
‘Il mare lo fa sentire vivo, ma allo stesso tempo lo distrugge.’ Ripeto tra me e me come se tutto ciò fosse così grande anche per uno come me.
L’infermiere rientra nella sala e mi lascia fuori, da solo per la seconda volta.
‘O-L-I. Dice Henry in un soffio prima che si lascia cadere con la testa lungo le mie gambe.
Basta così poco per farmi sentire perso.
Sento il mondo precipitarmi addosso e l’unica cosa che riesco a fare è urlare.
Provo a chiedere aiuto mentre il corpo di Henry è lì, fermo tra le mie braccia.’
Un flashback si appropria della mia mente, e mi accascia contro la sedia.
Anche se mi sembra quasi impossibile, devo essere forte, per noi due.
Dall’abisso si può riemergere più forti di prima, perché niente è più forte della paura di perdere la persona che ami.
Mi guardo intorno, e riesco a percepire in maniera ancora lucida ciò che è intorno a me.
Prendo il pennarello attaccato alla lavagnetta e mi avvicino al muro.
Inizio a scrivere lentamente, tra le altre frasi, tra gli altri nomi.
Mi allontano dal muro e soddisfatto guardo ciò che ho appena scritto.

Per il mio pisolo.
Sei più forte della paura.

Ripongo il pennarello al suo posto, e ritorno verso la porta.
“Mi scusi.” Esclama un uomo mentre apre di scatto la porta.
“Lei è il signor Smith?” Mi chiede con fare agitato.
“Si. Sono io.” Dico in preda al panico.
“Potete entrare.” Esclama ed io inizio a sorridere come un bambino.
Seguo l’uomo che mi accompagna verso la sala in cui si trova Henry.
Non appena apre la porta scoppio a piangere.
Vedere Henry, lì sul quel letto, ricoperto di fili era l’unica cosa che non mi sarei mai aspettato in quest’ultimo periodo.

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