I counted day, I counted miles

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Chi decide chi è normale?
La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia.
Alda Merini

Henry
L’odio, alcune volte, può essere più forte dell’amore, due sentimenti apparentemente contrastanti, ma legati dalla stessa radice.
Mi muovo lentamente sotto al tavolo, mentre la paura, continua ad appropriarsi del mio corpo.
“Sbuff.” La voce di mia madre cattura la mia attenzione.
Cosa ci fa sveglia a quest’ora?
Chissà perché in ogni cosa che io desideri fare, lei è sempre in mezzo.
La sua presenza in questo momento inizia quasi ad irritarmi…e no.
Non mi era mai successo di provare un sentimento così impuro nei suoi confronti.
Ma in questo momento la odio, più di qualunque altra cosa.
Trattengo il respiro per qualche minuto, fino a quando mia madre si dirige verso il divano e con fare quasi sonnambulo, cade sopra di esso.
Approfitto di questo momento per ritornare nella mia camera.
Non posso permettermi di essere visto, altrimenti mia madre potrebbe comportarsi ancora peggio.

***

L

a sveglia inizia a risuonare ininterrottamente ed io tutto desidero tranne che alzarmi dal letto in questo momento.
Così, poggio la mano sulla sveglia e la spengo pronto per ritornare a dormire.
“Toc. Toc.” Qualcuno ha bussato alla porta.
Stamattina sembra quasi che l’Universo sia contro di me.
“Avanti.” Dico io alzando leggermente la voce.
“Permesso.” Esclama mio padre aprendo la porta.
“Buongiorno, ho una cosa per te.” Dice lui mentre io inizio ad alzarmi dal letto.
“Buongiorno, papà. Spero che sia qualcosa di importante.” Ribatto prendendolo un po' in giro.
Per fortuna che non è come mia madre, altrimenti non saprei come sarebbe andata a finire.
“Più importante di questo?” Risponde lui poggiando il mio cellulare sul letto.
“Ma è il mio tele-.” Mi blocco non appena mio padre mi fa cenno di abbassare la voce.
“Dove lo hai trovato?” Gli chiedo facendo attenzione a non alzare troppo la voce.
“L’ho trovato questa mattina nel cassetto di tua madre.” Mi spiega lui, mentre io mi allungo per dargli un abbraccio.
“Grazie.” Gli dico stringendomi il telefono al petto.
“Non voglio sapere perché lo teneva tua madre, ma fa attenzione a non farti scoprire.” Sottolinea lui mentre io inserisco la password e una lacrima mi copre le guance.
105 notifiche da parte di Oliver.
Ma ad attirare l’attenzione è l’ultimo messaggio.

Se ti va di parlarne, io ci sono.

Risale a ieri pomeriggio, e da quell’ora in avanti non ci sono più messaggi.
Mio padre mi guarda per qualche minuto, fino a quando io non mi giro di lato e lui si rende conto che lasciarmi da solo, in questo momento è la scelta migliore per il mio bene.
Senza esitare, scrivo un futile:

Buongiorno.

Dopo averlo inviato, però mi rendo conto che un semplice Buongiorno, non basta a colmare la mia assenza di queste ultime ore.

Quando posso chiamarti?
Devo spiegarti alcune cose.

Non appena invio il messaggio, un nodo alla gola prende il sopravvento sui miei sentimenti.
E se Oliver pensasse che voglio soltanto giustificare la mia assenza?
No. Non è da lui.
Sono sicuro che riuscirò a fargli capire cosa sia successo, senza intaccare la nostra relazione.
Non appena il telefono, vibra salto dal letto.
Non credo a quello che in questo momento sto leggendo.

Buongiorno pisolo.
Finalmente. Non c’è bisogno di chiamarmi, sono arrivato a Roma ieri sera.

Trattengo la voglia di urlare per qualche minuto, fino a quando non trovo le giuste parole per rispondere al suo messaggio.

Dove sei, Mr. Verde?

Invio il messaggio, e Oliver subito risponde.

Sono al Rose Hotel.

Ma è a cinque minuti da casa mia.

Lo so, pisolo.
Fatti trovare pronto.
Vengo a prenderti.

Come fai a sapere dove abito?

Non sono uno stalker, tranquillo.
Ricorda: essere puntuali, non sempre significa arrivare in tempo.

L’ultimo messaggio, mi lascia un branco di farfalle nello stomaco.
Oliver è a Roma.
Per me.
Salto su dal letto, e mi dirigo verso il mio armadio per scegliere l’outfit da indossare.
Tiro fuori varie cose, fino a quando un gilet a mezze maniche e un jeans baggy colgono la mia attenzione.
Esco dalla mia camera e mi dirigo verso il bagno.
Inizio a canticchiare, perché esprimere come mi sento in questo momento mi sembra dannatamente difficile.
Apro lo sciacquone della doccia e mentre l’acqua ricade sul mio corpo, non faccio altro che immaginare le mani di Oliver che modellano i miei fianchi.

***

“Papà, io esco. Ci vediamo dopo.” Esclamo.
Stranamente mamma non è in casa e questa cosa non fa altro che tranquillizzarmi.
“Va bene, Henry. A dopo.” Si limita a dire mio padre mentre io chiudo la porta pronto ad uscire.
Tiro fuori il cellulare dalla tasca, pronto a scrivere ad Oliver, ma non serve perché non appena esco dal cancello, me lo ritrovo lì, seduto sulla sua moto con il casco poggiato tra le gambe.
“I counted days, I counted miles…fino a quando non ci rivedremo. Te lo avevo promesso, pisolo.” Dice Oliver dandomi un bacio sulla guancia.
“Non volevo farti preoccupare.” Esclamo sentendomi immediatamente in colpa.
“Non serve che ti giustifichi. Sono sicuro che non è stata colpa tua.” Ribatte Oliver passandomi il mio casco.
“Salta su. Avrai modo di raccontarmi quello che è successo.” Sottolinea lui.
Mi era mancato così tanto, una settimana senza di lui è stata così difficile.
“Tieniti forte.” Mi ricorda lui, ma non serve perché le mie mani sono già salde attorno ai suoi fianchi.
Come un cerotto, il contatto con il corpo di Oliver riesce in pochi secondi a riparare qualcosa che pensavo fosse irreparabile.
Perché alla fine è sempre questo che ha fatto Oliver con me: ha riparato con delicatezza qualcosa che non ha rotto lui, prendendosi cura delle mie imperfezioni rendendole perfette, è riuscito a prendersi cura di me come se ogni giorno fosse destinato a durare per sempre senza interruzioni.
Oliver è stato la mia alba in un momento in cui il mio desiderio era soltanto quello di tramontare.
L’inadeguatezza ha sempre fatto parte di me, ma al suo fianco ho capito che essere inadeguati affianco a qualcuno che ogni giorno ti valorizza senza farti sentire sbagliato, è a dir poco impossibile.
“Dove mi porti?” Gli chiedo mentre il vento sfiora le mie guance.
“Cosa?” Ribatte Oliver.
“Dove mi porti?” Ripeto questa volta cercando di farmi capire.
“Dovresti essere tu a dirmelo. A Como sono stato io il Cicerone, qui dovresti essere tu a farlo.” Dice Oliver mentre una macchina ci sorpassa ed io mi limito a fare il dito medio.
“Sei già stato a Roma?” Gli chiedo.
“No. È la mia prima volta.” Risponde lui fermandosi al semaforo che nel frattempo è diventato rosso.
“Davvero?” Gli chiedo io sorpreso.
“Si. E l’ho fatto per te.” Mi spiega lui girandosi per guardarmi.
“Allora sarò io il tuo Cicerone, Mr. Verde.” Gli dico lasciando ricadere la mia testa contro le sue spalle.




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