15 La stronza.

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La stronza della storia sbagliata.

-POV MEGAN-
In ogni storia c'è la stronza, quella che non se ne fotte di niente e di nessuno. Per molte persone la stronza sono io, ma per me, beh, la stronza è lei.

Mia madre mi guarda una volta tanto lucida, ma i brividi che mi trasmette sono gli stessi di quando ero piccola.

<Devi Meg> mormora avvicinando la mano al mio viso. Rimango di sasso osservando gli occhi castani così simili ai miei.

<Perché?> domando con il fiato sospeso. Faccio un respiro profondo sentendo le ossa non reggere. Vorrei fare un passo indietro e scostarmi.

Ma è mia mamma. Forse è di nuovo lei.

<Il proprietario mi ha fatto un torto> risponde lei allontanando la mano ma guardandomi sempre negli occhi.

<Quale?> chiedo.

<Questo non è importante> replica. Mia madre è un pendolo. Va avanti, poi indietro. Vive nel lastrico ed è proprio lì che ha incontrato mio padre. Di lui ho pochi e vaghi ricordi, ma uno è inciso sulla porta di casa mia mentre con la scusa di trasferirsi per lavoro trascinava una valigia eccessivamente pesante. La verità? Lui c'è l'ha fatta. È scappato prima che la mente e gli avvenimenti lo strangolassero, prima che i vetri si infrangessero e il cuore si appesantisse.

<Mamma> la richiamo. <Ian dov'è?> Lei si gira cose se l'avessi inchiodata al muro.

<Abbiamo litigato> sbuffa come una bambina. Incrocio le braccia con un sorrisetto.

<Guarda caso lo fa sempre nel momento del bisogno> esclamo e lei mi fulmina con lo sguardo.

<Almeno lui è meglio di tuo padre> afferma. Susan Miller non ha paura dell'abbandono. È cresciuta bastandosi e rimboccandosi le maniche, o per lo meno è quello che dice lei. Quello che dico io? Non è mai cresciuta e usa ancora il biberon per berci tutta quella merda che le uccide lo stomaco, ma su una cosa ha ragione: ciò che ci rende donne è la nostra indipendenza. Sono nata e cresciuta col suo cognome perché secondo lei nessun uomo può dare il cognome a una donna in quanto siamo nati per dieci minuti di gloria loro e nove mesi di sofferenze di una donna. Forse questa visione è eccessiva, ma è ciò che per me più la rappresenta.

<Almeno papà non beve ogni giorno>

<Smettila Megan. È urgente> mi redarguisce lei. Un brivido di freddo mi attraversa e mi mette in guardia.

<Di chi è l'auto?> chiedo avendo una brutta sensazione.

<Di nessuno che può darvi il tormento> mi rassicura.

<Perché non lo fai tu?> sbotto. Dio non la capirò. Voglio andarmene. Susan mi afferra il braccio e lo stringe con forza e prepotenza. La pelle sotto il suo tocco si arrossa. Le cicatrici e le ferite si nascondono dietro la chiazza di colore che mi circonda il braccio.

<Perché devo oscurare le videocamere> risponde puntando quegli occhi castani simili ai miei su di me. Giuro, vorrei non esserlo così tanto. Vorrei essere più simile a mio padre e ricordarlo così. Di lui mi rimane una piccola foto tutta sgualcita e strappata tenuta insieme dallo scotch. Mamma le ha distrutte bruciandole dentro una pentola. Potrà non aver paura dell'abbandono ma so che la lontananza da papà l'ha peggiorata. Lo so perché lo vista. Tornavo a casa vedendola rigettare l'alcol che il corpo non sopportava più. L'ho vista portare a casa uomini per mancanza e l'ho controllata quando nel frigo rimanevano bottiglie vuote. L'ho fatta ragionare quando in preda alla rabbia spaccava i vetri di emozioni infrante. L'ho giustificata e aiutata anche quando non dovevo. Mi sono asciugata le lacrime quando era lei a procurarmele e me ne sono andata. L'ho abbandonata anche io.

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