That's how prison works

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La condanna non faceva che riecheggiare nella sua mente, non faceva che contare fino a dodici, tentando di convincersi che sarebbero volati.

Si rese conto che gli avrebbero strappato ben dodici anni di vita, e che nessuno glieli avrebbe poi restituiti.

Nessuno si sarebbe scusato per questo, anzi, avrebbe dovuto passare l'intera residenza in carcere a chiedere perdono per un crimine che non aveva commesso.

L'autobus viaggia a una velocità disarmante, come se persino l'autista non vedesse l'ora di liberarsi di questi brutti ceffi.

La verità è che cercava ancora un motivo per distinguersi dalla massa, e renderlo evidente a tutti, ma alla fine dei conti, per gli altri era tanto colpevole quanto loro.

Gli imposero di scendere ordinatamente e in fila indiana, ebbe chiaro dalle loro urla che da quel momento avrebbe avuto inizio una serie di suprusi e abusi.

Le guardie li guardavano tutti con sospetto, non sapevano cosa avessero fatto, ma erano piuttosto certi che tutti se lo meritassero.

Probabilmente cercavano già di individuare i più furbi, coloro che gli avrebbero dato filo da torcere.

Notò, che rispetto agli altri, lui era uno scricciolo, e le guardie, da un solo sguardo, lo avevano di già adocchiato come qualcuno di cui non temere.

Distolse lo sguardo rivolto alle guardie, e concentrò finalmente la sua attenzione sul mastodontico edificio che li attendeva.

E come se non bastasse, il grigiore regnava anche lì, come se i suoi pensieri avessero finalmente preso forma.

Dalla sua testa alla realtà, ed era tutto identico, se non peggio di ciò che credeva.

Varcò la soglia della grande muraglia circostante, ultimo della lunga fila, fu dinanzi all'ingresso che voltandosi gettò uno sguardo all'autista dell'autobus.

I suoi occhi lo implorarono, gridando, di riportarlo indietro con sé, finché una possente mano non lo strattonò, rimettendolo in posizione.

Il rumore delle porte, tutte fatte di sbarre, che si aprivano era assordante, e doveva abituarsi all'idea che quel suono sarebbe divenuto familiare.

Pensò che forse era ridicolo, perché gli altri non stavano di sicuro facendo caso a certe piccolezze.

I loro sguardi erano vuoti, privi di alcun bagliore di luce, altri invece sembravano semplicemente tornati in un posto come un altro, come se avessero già familiarizzato con posti del genere.

Vennero fatti fermare dinanzi a una porta, e una guardia, dai capelli color nocciola colmi di gel, li invitò a entrare a gruppi di cinque:

«Una semplice ispezione veloce, un po' intrusiva ma necessaria, riceverete la vostra uniforme e sarete spediti nelle rispettive celle, tutto chiaro?»

E in coro tutti acconsentirono o si limitarono ad annuire, Harry non ebbe il coraggio di fare alcuna mossa.

La fila iniziò man mano a diradarsi, e quando vide la robusta guardia avvicinarsi ne approfittò per chiedere alcune informazioni.

«Mi scusi, come funziona qui per effettuare delle telefonate» balbettò.
«Avrete a disposizione un gettone a settimana per utilizzare un telefono fisso, ma non devi preoccuparti, li riceverete assieme all'uniforme»

Dall'aria burbera sfociò un sorrisetto.
«Sembra meraviglioso, grazie» mentì, non era abituato ad avere cosi pochi contatti con la sua famiglia.

Le loro telefonate erano all'ordine del giorno, fatte di risate e pettegolezzi continui, e ne ebbe fortemente nostalgia.

Trapped || Larry stylinson Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora