13: Campanule di scuse

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Dopo aver medicato Allen, il suo respiro si era fatto più regolare, ma il silenzio nella stanza era carico di tensione. Mi sedetti accanto a lui, sperando che il riposo gli avrebbe portato un po' di sollievo. Ma la pace non durò a lungo. La porta si spalancò all'improvviso, sbattendo contro il muro, e Lily irruppe nella stanza con un'espressione furiosa e preoccupata.

"Allen, sei di nuovo nei guai?" gridò, la sua voce stridula spezzando il silenzio. La sua figura era tutt'altro che impeccabile rispetto a come l'avevo vista al gala: indossava una camicia da notte troppo grande, i capelli biondi scompigliati e tenuti su da una selva di bigodini, il volto ancora segnato dalla stanchezza.

Cercai di spiegarle cosa fosse successo, di rassicurarla, ma prima che potessi finire, lei iniziò a sbraitare, agitandosi nella stanza come una furia. Allen si coprì il volto con un cuscino, quasi a voler sfuggire al caos che lei stava creando. "Ti prego, Lily, basta... ho solo bisogno di un po' di silenzio," mormorò con un filo di voce, la sua stanchezza evidente.

"Attento!" gli urlai, avvicinandomi di scatto. "Potresti riaprire le ferite se ti muovi così!"

Allen annuì appena, ma sembrava già perso in un mezzo sonno. Sapevo che doveva riposare, e l'unico modo per farlo era portare Lily fuori dalla stanza. "Lily, che ne pensi di andare in camera tua?" dissi con dolcezza. "Allen ha bisogno di dormire, ed in questo modo possiamo parlare tranquillamente senza disturbarlo."

Lei si voltò verso di me, le mani che tremavano ancora per l'agitazione. "Va bene," disse, la sua voce più calma. "D'altronde fremo nel volerti conoscere meglio." ridacchiò.

L'accompagnai nella sua camera, una stanza luminosa e accogliente, con pareti color pastello e una finestra che lasciava entrare la luce della luna. "È davvero tardi, forse dovrei torn-" provai a dire, ma lei mi interruppe, prendendomi la mano con un sorriso affettuoso.

"Rimani con me stanotte. È da tanto che non parlo con qualcuno. E poi, possiamo parlare di Allen. Non sai quante ne combinava da piccolo... era sempre così solare, così pieno di vita."

Ci sedemmo sul letto, e Lily iniziò a raccontarmi di suo fratello, il volto che si illuminava di un affetto quasi materno. "Allen era una piccola peste," iniziò, sorridendo nostalgicamente. "Quando aveva sei anni, rubò le chiavi della macchina di nostro padre e cercò di metterla in moto. Naturalmente, non sapeva neanche come si accendesse, ma era convinto che sarebbe riuscito a guidare come un adulto."

Scoppiai a ridere, immaginando un Allen bambino, determinato e testardo. "Non posso crederci," dissi. "E che successe?"

"Oh, papà era furioso," continuò Lily. "Ma Allen riuscì a scappare via prima che potesse essere rimproverato. Si nascose nel dedalo di casa per ore, finché non tornò con un mazzetto di campanule selvatiche che regalò a mamma, sperando di farsi perdonare."

"Un ribelle con un cuore tenero," commentai, divertita dall'immagine che Lily stava dipingendo di lui.

"E non è finita qui," aggiunse lei, ridendo. "Una volta, decise che la fontana nel giardino non era abbastanza spettacolare, così ci versò dentro tutta la schiuma da barba di nostro padre. Puoi immaginare cosa successe? Schiuma ovunque, sembrava una scena di un film!"

"Stai scherzando!" risi di nuovo, immaginando il giardino invaso dalla schiuma.

"Giuro," rispose Lily, alzando la mano come per fare una promessa solenne. "La mamma non sapeva se sgridarlo o ridere. Alla fine, si mise a ridere e lo lasciò fare. Quella fontana fu il suo orgoglio per settimane."

"Deve essere stato davvero vivace," commentai, pensando a come quella vivacità potesse essersi trasformata nella serietà che ora sembrava caratterizzare Allen.

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