Sospiri e sorrisi

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Affrettai il passo verso il bagno, il mio turno sarebbe iniziato solo verso le quattordici, avevo tutto il tempo di un lento e rigenerante bagno nella  vasca idromassaggio e una capatina nel mio ristorantino preferito con il mio amico Richard. 

Sorrisi soffermandomi sulla mia immagine riflessa nello specchio, non avevo nulla da invidiare a nessuno, un corpo snello e slanciato, qualche muscolo definito e preciso al punto giusto. Capelli neri appena screziati dall'arrivo dei primi bianchi, persino la barba incolta che portavo da qualche anno, rasandomi solo la zona del collo, mi conferiva un'aria più seria e sicura.  Gli occhi azzurri, profondi intensi erano il tratto che Emily preferiva di me. 

Ero davvero un bell'uomo per essere prossimo ai cinquanta. Emily era dieci anni più giovane di me, ma questo non aveva mai costituito un problema, forse per i suoi trascorsi era una donna molto più matura della sua età. A pensarci bene gliene erano capitate così tante nella vita che in certi momenti era sembrata più vecchia di me. 

Quando avevamo cominciato a frequentarci sembrava votata a distruggere il suo stesso corpo sfinendolo con digiuni e sedute in palestra, ci erano voluti anni di terapia e amore incondizionato del sottoscritto per portarla dove eravamo adesso. 

Anche per me non era stato facile.

Per anni ero stato ossessionato dal ritorno di quel Taylor, la notte sognavo che me l'avrebbe portata via un'altra volta, ma dopo quasi vent'anni potevo stare sereno quel babbeo era sparito e la mia Emily sembrava essersene fatta una ragione . 

Avviai l'acqua della vasca ancora assorto nei miei pensieri. Poco dopo immersi il mio corpo completamente tra schiuma e bollicine cercando di richiamare alla mia memoria la prima volta in cui l'avevo fatta sorridere. 

Emily era stata ricoverata il giorno precedente insieme al primario e ad alcuni miei colleghi stavamo facendo il giro visite. Quando entrai nella stanza fui subito catturato dalla sua bellezza: capelli color cioccolato e occhi smeraldo, lineamenti fini, la sua bellezza abbagliante stonava con l'espressione triste. Alzava raramente lo sguardo fissando la sagoma delle sue gambe coperta dal lenzuolo. Si tirava le maniche del pigiama fino alle unghie tentando di nascondere le fasciature ai polsi. Annuiva o negava muovendo la testa senza proferire parola, non guardò nessuno negli occhi, nemmeno un istante. Era chiusa in se stessa, soffriva, si poteva vedere lontano un miglio, non era il suo corpo a stare male ma il suo cuore. 

Finita la visita mi soffermai appena un istante in più degli altri, mi precedettero uscendo e io ne approfittai per guardarla e sorriderle. Lei alzò lo sguardo e incatenò i suoi occhi ai miei per un istante che mi sembrò eterno e poi li richiuse. Quel gesto semplice si fissò nella mia mente in modo indelebile. 

Ci volle una settimana intera per veder fare capolino a un sorriso triste. 

Ogni volta che entravo nella sua stanza uscivo soffermandomi un istante di troppo, era il mio gesto di saluto, con il passare dei giorni quel gesto semplice divenne per me fondamentale. 


Era il mio giorno di riposo. Mi ero alzato presto comunque, non riuscivo a dormire o a rilassarmi ero ancora in quella fase in cui tenere la mente occupata era necessario, anzi fondamentale. Decisi di fare un salto in clinica, non so nemmeno perché, mi ritrovai davanti alla porta della sua stanza. Bussai e attesi qualche istante nessuno rispose, così entrai con cautela pensando che dormisse. 

D'improvviso mi venne in mente che non le avevo portato nulla, mi sentii in imbarazzo così a mani vuote; ma cosa stavo pensando? Non ero lì per flirtare con lei! ma allora perché ero lì? Era davvero una domanda interessante. 

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