Cuore in pezzi

8 1 2
                                    

Si può essere gelosi di un pensiero? di un idea? di quel chiodo fisso che è il suo primo ansito al mattino e l'ultimo prima di andare a letto?

Si può crogiolarsi fino alla follia pensando ad ogni sguardo, ad ogni gesto che l'abbia come fine?

Il mio cuore scoppiava da quattro giorni, da quando con fare distante e un po' scostante mi aveva informata che si sarebbe assentato perchè sua moglie aveva bisogno di lui. 

Erano state questa parole ad uccidermi più di tutto, sua moglie. Aveva voluto mettere il punto e la fine sulla nostra storia ancora una volta e allora quel bacio rubato che cosa significava? 

Mi scoppiava la testa e non riuscivo a pensare ad altro, per torturarmi lo immaginavo stretto a lei, proteggerla con le sue braccia possenti, asciugare le sue lacrime, placare i suoi fremiti. Lo immaginavo ad aspettarla preparandole la cena, un gesto così semplice e naturale che però nessuno mi aveva mai rivolto, nemmeno Paul.  Un gesto che voleva dire, ti penso, ti vedo, mi accorgo di te e so che al tuo ritorno avrai bisogno di ricaricarti e di rilassarti, allora faccio qualcosa per te perchè a te ci tengo. 

E' nei gesti piccoli che si vede l'amore, non nelle dichiarazioni al chiaro di luna, nei gesti che nessuno mi aveva mai rivolto. Veramente mi ero aspettata che fosse stato fermo li tutti quegli anni che non avesse avuto altra storia oltre a me, che fosse rimasto in qualche modo legato a me come io lo ero rimasta a lui, che ingenua, lui era andato avanti certo delle sue scelte e della sua vita, del suo amore e della donna a cui aveva scelto di donarlo. 

E' solo che quando i miei occhi si inchiodavano ai suoi, il mondo smetteva di girare e all'improvviso c'eravamo solo io e lui. 

Mi aveva avvicinata, accarezzata, ci eravamo quasi baciati, appena sfiorati le labbra ma era stato come esplodere, qualcosa mi si era generato dentro, un'entità fluida lattiginosa e calda che scivolava serpeggiando nel mio petto e nel mio stomaco, impedendomi di ragionare, mangiare e a tratti persino di respirare. 

Da quel momento avevo smesso di esistere, c'erano solo i miei pensieri il ricordo di quell'istante rivedevo ogni volta che chiudevo gli occhi. 

Sicuramente non era così per lui, eppure i suoi occhi mi avevano mandato un altro messaggio. Erano rimasti inermi su di me, come persi, affondati nel mare dei ricordi, nel fremito delle mani incerte che cercavano un contatto e che avevano paura di essere respinte. 

Forse non eravamo niente, non lo eravamo mai stati, ma quel tempo passato insieme bruciava nel mio ventre come un desiderio. 

Avevo provato a chiamarlo nel delirio interiore della sera precedente, diverse volte, ma non mi aveva mai risposto, mi ero torturata immaginandolo a letto con lei, sfiorare il suo corpo, ma la mente mi aveva tradita e al suo posto improvvisamente c'ero io. 

Mi ero lasciata afferrare da quel pensiero, sapevo che era sbagliato, sapevo quanto mi avrebbe fatto male, ma sapevo anche che la mia mente ne aveva bisogno. Allora avevo chiuso gli occhi lasciando che vagasse nel profondo del mio desiderio, avevo immaginato il suo respiro caldo sulla mia pelle, le sue mani esigenti infrangere i limiti del mio intimo. 

Il calore era esploso nel mio corpo, liquido. Insopportabile. La mia mano era scesa sotto il bordo degli slip, in un istante il suo nome era sulle mie labbra come un sussurro, scossa da fremiti di piacere, accaldata e ansimante rividi per un attimo il suo viso su di me e mi sembrò quasi di percepire la sua presenza e il suo profumo misto al mio, in quell'alchimia che mi aveva stregata. 

Quando ripresi il controllo di me stessa la realtà mi piombò addosso come un macigno e mi sentii davvero stupida, per i miei pensieri, per i miei gesti. Dovevo mettere la parola fine a questa storia che quasi sicuramente esisteva solo per me. 

Non sarebbe stato facile ma ci dovevo provare. Mi addormentai stremata e provata da tutto quel malessere, mi accolsero sogni agitati e malsani, demoni e titani.  

Mi svegliai presto, più stanca di quando mi ero coricata. 

Decisi che non era il caso di indugiare oltre tra le lenzuola, pena lasciare che la mente vagasse di nuovo dietro a Jake. 

Era il mio giorno di riposo, mi sarei data una sistemata, dovevo incontrare mia sorella in una caffetteria in centro verso l'ora di pranzo, portarle i soldi che le avevo promesso, controllare che fosse tutto a posto e occuparmi di spesa e pulizie. Erano tante cose ma il vantaggio era una giornata intera che, se piena di impegni, significava meno tempo in cui pensare a lui. 

Mi avviai sotto la doccia e mi lavai velocemente tenendo fermi i capelli con una grossa pinza colorata, indossai un paio di leggings neri e una grossa felpa, semplice e comoda, ai piedi un paio di sneakers nere. Completai il tutto con il mio cappotto preferito e una grossa sciarpa a quadrettoni. Afferrai la borsa con dentro tutto ciò che mi serviva e mi avviai verso la fermata dei bus.

Il cielo era terso e la temperatura ancora frizzantina, non mi pentii affatto di essermi coperta un po' di più. 

Era presto per l'appuntamento, mancava ancora più di un ora, così decisi di impiegarlo facendo  compere. 

Entrai in uno di quei negozi pieni di ogni genere di oggetti, dalle tazzine del caffè agli abiti, mi aggirai a lungo tra i corridoi. 

Comprai un portachiavi a forma di farfalla in legno, l'avrei attaccato alle chiavi della casa nuova per ricordarmi che era il mio nuovo inizio, per ricordarmi che adesso ero una meravigliosa farfalla libera di volare dove voleva. Anche lontano da Jake, pensai, ma non ne ero troppo convinta. 

Per mia sorella comprai due tazze per la colazione e me le feci incartare , erano semplici, una sui toni dell'azzurro e una su quelli del rosa, la superficie leggermente lavorata con dei motivi floreali in rilievo, nel manico due fori sostenevano un cucchiaino di legno chiaro dal profilo spigoloso. Avrebbe potuto usarle o anche solo esporle, pensai che fosse un bel gesto, un augurio di un nuovo raggiante inizio anche per lei. 

Era quasi ora, mi affrettai ad uscire e a raggiungere il bar dove avevamo appuntamento. 

Di mia sorella nemmeno l'ombra. 

Mi accomodai in un tavolino che dava sulla vetrata principale, distante dalla porta d'ingresso ma in posizione strategica, per vederla arrivare. 

Nel marciapiede di fronte una giovane donna parlava animatamente con un ragazzo decisamente più giovane di lei, non potevo vederla ma i suoi jeans e il maglione ampio che portava addosso coprendosi con le maniche fino alle unghie doveva essere a malapena sufficiente per non prendersi un accidente. Si intravedeva il profilo delle ossa delle scapole e dei fianchi, era di una magrezza sconcertante. Portava calzato sulla testa un cappello di lana da cui uscivano ciuffi di capelli neri e scompigliati. 

Lui aveva un aspetto rozzo e trascurato, pur trasudando bellezza da tutti i pori, non mi sarei mai fatta nemmeno guardare da uno così, eppure lei gli buttava le braccia al collo e lui la respingeva tenendola a distanza, le parlava agitando le mani troppo vicino al suo viso, come se volesse minacciarla. Le si stagliava davanti nella sua altezza, era tutt'altro che prestante, anche lui magro da far paura era però sufficientemente alto da risultare minaccioso.

Si alzò il cappuccio della felpa sulla testa e si allontanò da lei senza nemmeno voltarsi. 

Vidi le spalle della ragazza incurvarsi leggermente come se portassero il peso del mondo. 

Poi si voltò e il mio cuore andò in mille pezzi.  




TruthsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora