Johnnie Walker

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Arrivai a casa che si era fatto buio, avevo guidato letteralmente come un pazzo per diverse ora, alternando nella mente tutti i se e tutti i ma di una vita intera. 

Di scelte sbagliate ne avevo fatto a bizzeffe, rimediare ormai non sarebbe stato più possibile. Mi ero schierato dalla parte di suo padre e ne avrei pagato le conseguenze per il resto dei miei giorni, sarei rimasto solo, solo come un cane. Ma me lo meritavo e lo sapevo.

Scesi dalla mia auto con culo indolenzito dal viaggio, le gambe dure come pietra e le braccia doloranti dai gomiti alle spalle, ma non fu quello a turbarmi.  Per la prima volta intravidi la porta di casa chiusa e le finestre senza una lama di luce proveniente dall'interno. Mi era capitato tante volte, ma questa notte sarebbe stata diversa, era la mia prima notte senza di lei, la prima di una lunga serie, la prima di una vita intera. 

Abbassai la testa come uno che accetta il suo triste destino senza controbattere. 

Ero stato uno stronzo, aveva ragione.

L'avevo persa per sempre.

Con quella consapevolezza mi avviai verso l'interno di casa. Come previsto il silenzio era assordante. 

Mi cadde l'occhio sull'ultima borsetta che aveva lasciato sulla cassettiera dell'ingresso, quella marrone, la sua preferita, gliel'avevo regalata un Natale di tanti anni prima. Per la verità non era nemmeno un oggetto di grande valore, semplicemente me l'aveva fatta vedere un pomeriggio che ci eravamo incontrati in centro per fare un giro e mi era rimasta impressa per la sua forma e perchè si abbinava divinamente al colore del suo cappotto, così gliel'avevo fatta trovare sotto l'albero, incartata, con un nastro di raso rosso come finitura del pacchetto. 

Mi si strinse il cuore a pensare che questo Natale non l'avrei condiviso con lei, che non ci sarebbero stati regali da scartare sotto il grande albero in ingresso, nessuna cena romantica, nessuna colazione a letto la mattina di Natale, sotto le lenzuola ancora tiepide del calore dei nostri corpi abbracciati. 

Mi spogliai svogliatamente dirigendomi verso il bagno per fare una doccia. 

Un abitudine che mi era rimasta fin dai primi turni in reparto, quando mi sembrava di portarmi a casa, insieme al peso di una giornata di lavoro, anche tutte le patologie che avevo incontrato. Non era solo un fatto puramente igienico, era come se lavandomi potessi resettare la testa, una sorta di purificazione rituale da tutto quello che veniva da fuori. 

A pensarci bene avevo sempre cercato con così tanta foga di tenere fuori il mondo dalla nostra relazione che non mi ero nemmeno accorto che il pezzo forte aveva bussato alla porta e io gliel'avevo spalancata. 

Ma diciamoci la verità, sapevo bene che non era colpa sua, lui era tornato, come qualsiasi uomo avrebbe fatto di fronte alla donna che aveva amato e probabilmente mai dimenticato. Lei aveva reagito come se le si fosse materializzato un sogno davanti agli occhi. Il vero stronzo ero solo io, che avevo giocato sporco per anni. Non avrei potuto fare nulla per recuperare.

La mano ancora umida sbucò da sotto l'accappatoio e scivolò lentamente lungo la maniglia del frigorifero accarezzandone la superficie. 

Aprii e afferrai una birra dalla porta. 

Era fredda e leggermente umida, la sensazione di disagio che mi fece provare il contatto con la superficie del vetro in contrapposizione con la mia mano accaldata mi provocò un brivido che risalì dal braccio fino alla spalla e poi scese giù lungo la schiena. 

Il primo sorso mi fece rabbrividire ancora di più, quelli successivi cominciarono a scaldarmi dall'interno. 

Non ero mai stato un bevitore, solo un consumatore occasionale, davanti ad una partita, a cena con gli amici, reggevo comunque bene,  ma ero a digiuno da diverse ore e forse per quello sentii una sensazione di torpore invadermi le membra. 

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